Correva l’anno 1954 quando Totò, improbabile scrivano, inneggiava all’ignoranza;

Lei è ignorante? Bene, viva l’ignoranza. Tutti così dovrebbero essere. E se ha dei figliuli non li mandi a scuola per carità. Li faccia sguazzare nell’ignoranza!

Oggi, ben 62 anni dopo, quelle parole sembrano quanto mai appropriate e assumono un amaro sapore profetico.

Inizio…

Ma facciamo un pò di ordine e proviamo a tirare su qualche paletto.

Quello che si intende qui per ignoranza è ben lontano dall’accezione neutra e non dispregiativa del termine. Il termine ignorante, nella sua accezione neutra, sta ad indicare qualcuno che ignora un informazione o una competenza. Per mio conto posso affermare, senza troppo timore, di essere ignorante in letteratura Coreana (non che la cultura Coreana non sia degna di nota, magari è il contrario. Non lo so). Di per se, ignorare un campo del sapere umano in parte o interamente non è un problema. Se tutti sapessimo tutto non ci sarebbe bisogno di ingegneri, fisici, medici, insegnati.

Al tempo stesso non stiamo parlando di persone completamente analfabete. Un analfabeta, per definizione, non è capace ne di leggere ne di scrivere testi, anche semplici, in nessun linguaggio compreso il suo linguaggio madre. Questa percentuale, in Italia come in tutti i paesi sviluppati o in via di sviluppo, è decisamente molto bassa.

Quello a cui ci riferiamo è il livello di analfabetismo funzionale. Cosa si intende con questo termine? Una persona funzionalmente analfabeta è capace di leggere e scrivere testi semplici, nella sua lingua nativa, con un grado di correttezza più o meno elevato. Un analfabeta funzionale ha difficoltà nella vita di tutti i giorni e, in generale, in tutte quelle situazioni che richiedono un analisi ed un elaborazione delle informazioni. Per tanto, un analfabeta funzionale ha problemi nella lettura di articoli di giornali o nel capire contratti legalmente vincolanti. Per fare un esempio più vicino alla vita di tutti i giorni un analfabeta funzionale è incapace di compilare una domanda per una richiesta di impiego o il proprio cv. Infine, ma non meno importante, un analfabeta funzionale ha problemi nell’interazione con le tecnologie dell’informazione e della comunicazione a partire da smarphone e personal computer.

PIIAC

La sigla PIIAC sta per Programme for the International Assessment of Adult Competencies. Il PIIAC è un programma dell’OCSE che in Italia è a carico del Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Il programma mira a fotografare le competenze della popolazione adulta (età compresa tra i 16 e i 65 anni) in ambiti ben definiti. In particolare, il PIIAC investiga le capacità logico-numeriche (categoria definita numeracy), le abilità in letteratura (categoria definita literacy) e nell’ambito dell’interazione con le tecnologie e nella risoluzione dei problemi (categoria problem solving in technology-rich environments). Per ognuna di questa categorie vengono individuati livelli da 1 (il più basso) fino a 5 (il più alto). L’analfabetismo funzionale è indicato con un apposito livello “below level 1”, ovvero al di sotto del livello 1.

Le informazioni sul PIIAC possono essere trovate nella pagina ufficiale del OECD dedicata al programma, informazioni più dettagliate circa il PIIAC in Italia sono fruibili invece alla pagina Isfol dedicata.

Di seguito viene mostrato il video di presentazione del programma con alcuni degli ultimi dati ottenuti dal PIIAC. L’Italia non ci fa certo una bella figura usata, insieme con la Spagna, come esempio negativo di analfabetismo funzionale.

Risultati…

Tutti i risultati del progetto PIIAC possono essere consultati nella pagina OECD e liberamente scaricati.

Ho girato sulla pagina per qualche ora sfogliando la miriade di dati presenti, incrociando differenti indici e provando a farmi un idea di quella che è la situazione italiana nel contesto globale. Invito ognuno di voi a fare lo stesso e scorrere con occhio critico.

La situazione che ne emerge è quanto meno critica. L’Italia ne esce in ginocchio e a capo chino. Consideriamo l’Italia e confrontiamo il suo livello rispetto ad altri due paesi, la Polonia e la Repubblica Ceca nella categoria numeracy (in fondo siamo scienziati non poeti). Considerando solo i nomi dei tre paese ci si aspetterebbe da parte dell’Italia una vittoria a mani basse. Invece non è così.flags

Cominciamo con qualcosa di facile. Il numero di persone che non raggiungono il livello 1. La media dell’OECD è del 22.7%, vi sembra molto alta? Bene, allora vi farà piacere sapere che quella dell’Italia è 31.7% contro il 23.5% della Polonia; si, avete capito bene, in Polonia ci sono più persone con conoscenze matematiche di base. Non ho ancora parlato della Repubblica Ceca, il livello di persone che non raggiungono nemmeno il livello 1 scende al 12.9%. Per gli stessi paesi il punteggio medio ottenuto su un test atto a valutare le capacità logico-matematiche per l’Italia è stato di 247 contro un valore medio 263. Repubblica Ceca e Polonia fanno meglio di noi con 276 e 260 rispettivamente.

chart_1Non ne avete abbastanza? Credete che l’Italia sia un paese con centri di eccellenza e realtà scientifiche all’avanguardia? Potete sempre pensare che le persone che studiano sono poche ma, quelle poche che lo fanno, lo fanno certamente ad altissimi livelli. Se volete continuare a vivere con questa concezione smettete di leggere ora. Infatti, se consideriamo le persone che raggiungono almeno un livello 4 la percentuale italiana è del 4.5% contro l’11.3% di media OECD. Di per se questo dato non dice molto ma quel 4.5% assume un significato diverso se confrontato con l’8.4% della Polonia e con l’11.4% della Repubblica Ceca. Morale della favola in Italia si studia poco e male e anche chi si impegna nello studio raggiunge risultati modesti rispetto agli altri stati.

Per quanto drammatico il quadro non può essere esaustivo. Le variabili in gioco sono troppe, si parte dall’età per passare alla condizione familiare e giungere al grado di istruzione, senza contare le componenti demografiche globali come la percentuale di immigrati nel campione considerato. Proviamo dunque a restringere il campione per eliminare alcune di queste variabili.

Per prima cosa consideriamo le persone laureate e consideriamo il punteggio medio ottenuto allo stesso test di prima. Il valore medio italiano è 280 contro un valore medio OECD di 292 (il punteggio massimo è 500). Anche in questo caso Polonia e Repubblica Ceca ci superano rispettivamente con 290 e 310. I punteggi dei nostri laureati sono mediamente inferiori a quelli dei laureati negli altri due paesi in esami.

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Una seconda analisi che è possibile fare con i dati PIIAC è considerare solo le persone nate nel paese in questione e per cui la lingua del paese è anche quella madre, praticamente parliamo di persone nate e cresciute in Italia che hanno come lingua madre l’italiano. Per loro il punteggio medio al test è 249 contro la media OECD di 266. La Polonia raggiunge valore di 260 e meglio fa la Repubblica Ceca con un 276.

Un risultato significativamente statistico che mi è saltato agli occhi è il punteggio al test diviso per fascia di età. La prima fascia analizzata è quella 16-24, per Italia Repubblica Ceca e Polonia i risultati sono 251, 278 e 269 rispettivamente. La media OECD è di 267. Quello che risulta notevole è che il valore ottenuto da Polonia e Repubblica Ceca non viene eguagliato in nessuna fascia di età dagli intervistati italiani. Il punteggio più alto in Italia è stato ottenuto nella fascia di età compresa tra i 25 e i 34 anni con un valore di soli 262. Nella stessa fascia la Repubblica Ceca raccoglie un impressionante 288 e la Polonia un 270 di tutto rispetto.

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Ultimo dato che voglio mostrare è l’influenza della condizione familiare. Prenderemo in esame tre casi; il primo in cui nessuno dei genitori ha avuto un istruzione secondaria, paragonabile al nostro diploma di liceo; il secondo caso è quello in cui almeno uno dei due genitori sia diplomato (o equivalente per i paesi esteri); il terzo in cui almeno uno dei due genitori sia in possesso di un istruzione terziaria (laurea). Per il primo caso Italia, Repubblica Ceca e Polonia raggiungono valori di 239, 250 e 239. Una differenza decisamente minima rispetto a quanto visto in precedenza. Per il secondo caso, per gli stessi paesi, i punteggi sono 267, 276, 264 finalmente non siamo ultimi, una magrissima consolazione. Per il terzo caso, invece, otteniamo 278, 300, 289. Per i tre casi la media OECD è di 245, 270, 288 rispettivamente.

Conclusioni

C’è ben poco da aggiungere ai dati presentati fino ad ora. Il quadro dipinto dai dati PIIAC è davvero sconfortante e lascia poche speranze per il futuro. In Italia si studia poco e male. L’informazione scientifica viene sottovalutata e dichiararsi ignoranti, pardon analfabeti funzionali, risulta all’ordine del giorno.

In un primo momento avevo pensato di argomentare tutti questi dati con esempi concreti; sui social, e non solo, se ne trovano tanti. Avevo pensato di proporre stati e commenti che fotografassero la situazione italiana. Avevo pensato di dare un volto a tutti questi numeri, in fondo le persone contano più dei numeri. Avrei voluto, e potuto, portare a testimonianza di questi dati esempi di persone che credono che mettere un cellulare in forno a microonde acceso sia una buona idea, che la terra sia piatta, che un rimedio omeopatico sia più efficace di un medicinale, che una casalinga quarantenne con un blog sulla salute ne sappia più di un medico o che l’opinione sui vaccini della cassiera del supermercato dove andiamo di solito a fare la spesa abbia un valore superiore a quella di fior fiore di ricercatori solo perché la figlia di un amica della sua amica abbia avuto una brutta esperienza con un vaccino.

Mi sono trattenuto dal farlo. Il motivo? Davvero molto semplice; questo post non vuole essere né polemico né tanto meno denigratorio verso le persone analfabete funzionali. Questo posto vuole solo mettere in evidenza un fenomeno quanto mai diffuso in italia e che non può essere ignorato.

Spesso, quando si fa divulgazione scientifica, si prova a spiegare concetti complessi della teoria quantistica o della relatività generale con parole semplici per renderle fruibili a tutti. Quei concetti non sono mai davvero alla portata di tutti, sono comprensibili solo al 4.5% della popolazione mentre ben il 31.7% di essa non sa nemmeno cosa sia un vettore. Quindi mi chiedo, se questo è il quadro generale dell’Italia che valore ha il lavoro di persone come me che si prodigano per la divulgazione scientifica? Escluso quel 4.5% della popolazione, chi può davvero comprendere un posto dove si parla di meccanica quantistica e vi si applica l’algebra matriciale per tracciarne una formulazione semplice ma coerente?

Spesso ho visto persone criticare il lavoro di chi divulga scienza in modo semplice ed accessibile anche solo per passione. Pur rispettando la loro opinione non posso fare a meno di dissentire ribadendo l’importanza di informare ed educare.

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