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L’unica esperienza più terribile di una riunione di condominio o di una fila alla posta è, probabilmente, quella dei colloqui pomeridiani dei genitori con i professori.

E’ temibile per i genitori che sono costretti a lunghe file, è fonte di panico per gli studenti che temono l’arrabbiatura di riflesso del padre e della madre, ma vi assicuro che è temibile anche per i professori.

Ovviamente, visto che nella scuola italiana (ma la cosa è vera in tutto il mondo) le insufficienze in matematica abbondano, la fila davanti al docente di questa disciplina è interminabile  proprio come nelle code alla posta. In genere in questi casi l’attesa prolungata riesce sempre a tirare fuori il meglio ed il peggio dell’umanità.

La mia esperienza d’insegnante mi porta a suddividere i genitori in tre categorie: gli attaccanti di sfondamento, i remissivi  e quelli che provano a blandirti.

Gli attaccanti di sfondamento sono i più divertenti. Si siedono, ti chiedono come va il loro figlio e prima ancora che tu abbia finito il discorso ti attaccano. Lo fanno a testa bassa, senza pensare, tirando fuori argomentazioni palesemente false tipo:

  •  “Lo scorso anno mio figlio con l’altro docente andava bene” (veramente aveva 3, almeno con me è passato a 4).
  • “Ma in prima elementare con suor Rosaria mio figlio andava benissimo” (guardi sono passati 12 anni, ora stiamo facendo il concetto di limite, se permette qualche differenza di difficoltà c’è).
  • “Io sono ingegnere e la materia la conosco. Mio figlio mi ha detto che i risultati degli esercizi erano giusti. Non capisco perché ha preso 4” (sì, peccato che ha scritto il risultato copiando senza mettere nessun passaggio intermedio. Come è giunto al risultato? Per illuminazione divina?).
  • “Il ragazzo di ripetizione che segue mio figlio dice che con lui gli esercizi vengono sempre” (ma cosa dovrebbe dire il povero studente universitario che prova ad aiutare vostro figlio se non che gli esercizi  vengono con il suo aiuto?).

Con queste persone, la strategia vincente è rimanere calmi, aspettare che si sfoghino e al limite, se vedi che stanno per menarti, provare a parare il colpo (di questi tempi tutto può succedere).

I genitori che ti blandiscono sono, invece, quelli più pericolosi. Esordiscono sempre dicendo cose del tipo:

  •  “Mia figlia mi ha detto che finalmente capisce la matematica grazie a lei. Con il professore dello scorso anno non capiva niente”. Tu gli vorresti dire: “Guardi che molto probabilmente lei ha appena detto la stessa cosa al mio collega per suo figlio minore. Peccato che il professore precedente in quel caso ero io”, ma taci e fai finta di stare al gioco, mentre il genitore ti squadra cercando di capire nei tuoi occhi se quel fesso del docente ci sta cascando o no.
  • “Non solo spiega benissimo ma mio figlio si sta davvero impegnando. Purtroppo il suo impegno nel compito sugli esponenziali non ha dato frutto….ma se lei potesse venirle incontro sono sicuro che si rimotiverebbe. Sarebbe davvero un vero peccato che  perdesse la motivazione con un professore bravo come lei.” E magari subito dopo provano a parlarti male degli altri docenti aspettando da te un supporto contro tizio che insegna filosofia o caio che insegna scienze.

Anche con questi genitori io in genere tengo un basso profilo. Non mi espongo e li lascio parlare. Poco ma li lascio parlare. Per fortuna ho la scusa che c’è fila.

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I genitori remissivi, infine, sono quelli che provano a giocare la carta compassione:

“Sa mio figlio sta avendo tanti problemi di salute e ha difficoltà a mangiare e in questo periodo è molto debole”. E tu “Ma chi signora Alessandro? Quello alto 1 metro e 90 che gioca a calcio 4 volte a settimana nelle giovanili della ProQualcosa?” E dopo aver sfoderato tutti i più improbabili problemi fisici e parentali e aver detto che la carriera scolastica del figlio è stata costellate di sfortunati e continui cambi di docente, in genere, il genitore remissivo cala quello che secondo lui è l’asso nella manica:

“Ma poi comunque, professore, cosa possiamo pretendere da mio figlio. In famiglia nessuno capisce niente di matematica”.

A quel punto volta vorresti dirgli: “La stupidità, per fortuna, così come le difficoltà in matematica, non sono ereditarie. Per suo figlio ci sono quindi, in realtà, ottime speranze”. Ma ovviamente non lo dici e cerchi di incoraggiare ricordando che per recuperare in matematica ci vuole tempo.

Il problema alla fine è proprio questo. Viviamo in una società in cui non è considerato socialmente sconveniente dire:

“Non ho mai capito la matematica”

Molti quasi si vantano di questo. Possibile che non si rendano conto che dichiarandolo apertamente davanti al proprio figlio gli stanno dicendo: “Lascia stare. Non serve la matematica. Io ce l’ho fatta senza mai studiarla”.

Il problema è proprio nei genitori (e anche in qualche collega di area umanistica) che in modo aperto e spontaneo dichiarano di non sapere nulla di matematica e non si accorgono che dicendolo, indirettamente, stanno autorizzando il figlio a non occuparsene!

Di fronte a questo un insegnante è quasi impotente. Finché la famiglia e la società daranno per scontato che si può vivere senza matematica e che la matematica non fa parte del patrimonio culturale necessario di un cittadino, la battaglia da combattere è dura.

Si incontreranno sempre studenti che diranno “Professore io la matematica non l’ho mai capita” e si sentiranno autorizzati a farlo dal contesto sociale.

Per fortuna i colloqui con i genitori prima o poi finiscono e al termine della giornata il professore di matematica se ne torna a casa un po’ tartassato, un po’ inebetito dalle tante parole pensando con nostalgia quei colloqui con i genitori “normali” (ce ne sono ovviamente) a cui sono capitati dei figli “normali” (fortune della vita).

E riprendi il giorno dopo a fare lezione sperando di far cambiare idea agli studenti, convinti di non capirci niente di matematica, e a cercare di far amare il più possibile la materia che hai avuto la fortuna di amare tu stesso grazie  qualche bravo insegnante.

P.S. Sono sicuro che fra qualche anno quando andrò ai colloqui come genitore e non più come professore cadrò anche io in una di quelle categorie. Non c’è niente da fare, essere genitori è proprio difficile…più difficile addirittura della matematica!

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