Prosegue la nostra serie di interviste “esclusive” ad autori di opere di divulgazionematematica_incertezza_licalzi scientifica.

Questa volta pubblichiamo questa interessante intervista a Marco Li Calzi docente di  “Metodi matematici per l’analisi economica” all’università “Ca’ Foscari Venezia” e autore del libro “La matematica dell’incertezza” edito dal Mulino.

Il prof. Li Calzi si occupa, fra le altre cose, di “Teoria delle Decisioni” e “Teoria del Giochi” ed è attivo anche nel campo della divulgazione (cfr qui).

Il libro “Matematica dell’incertezza” fa parte della collana “Raccontare la matematica” ed è acquistabile in rete, per esempio, qui e qui.

Per leggere le precedenti interviste ospitate su “Math is in the Air” cliccate qui.


Parte 1: La matematica dell’incertezza

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Marco Li Calzi durante il Festival della Scienza di Genova del 2016 (fonte RAI Scienza)

– Com’è nata l’idea di scrivere questo libro “La matematica dell’incertezza” nella collana “Raccontare la matematica” del Mulino?

Un po’ per caso (proprio così!). L’editore mi ha avvicinato per propormi una collaborazione alla collana e abbiamo lavorato insieme per trovare un tema centrato sulla presenza della matematica nelle vicende umane, per fornire una prospettiva alternativa alla teoria e alle applicazioni alla scienza.

– La matematica, scrive nel preludio, “ci aiuta a riconoscere le analogie e a percepire le differenze”. Può fare ai nostri lettori un esempio di questa affascinante attitudine della matematica?

Sappiamo tutti che, dal punto di vista pratico, una scommessa è molto diversa da un’assicurazione. Eppure dal punto di vista matematico ci sono importanti analogie. Proviamo a riconoscerle senza usare formule, mediante un semplice confronto fra definizioni.

Nel linguaggio dei giuristi, una scommessa è la promessa dell’allibratore, a fronte del pagamento della puntata, di riconoscere allo scommettitore la posta se si verifica un determinato evento.

Riprendiamo questa definizione mettendo fra parentesi quattro termini: “la promessa dell’[allibratore], a fronte del pagamento della [puntata], di riconoscere allo [scommettitore] la [posta] se si verifica un determinato evento.”

Basta sostituire i quattro termini fra parentesi e abbiamo una definizione di assicurazione non troppo lontana da quella ufficiale (art. 1882 del Codice Civile): un’assicurazione è una promessa dell’[assicuratore], a fronte del pagamento del [premio], di riconoscere all’[assicurato] la [somma assicurata] se si verifica un determinato evento.

Dal punto di vista matematico, le analogie fra una scommessa e un’assicurazione consentono di ragionare di entrambe facendo ricorso allo stesso strumento (il calcolo delle probabilità).

Video di presentazione del testo “La matematica dell’incertezza”

Il libro da lei scritto è davvero interessante e ogni capitolo presenta moltissimi spunti sia storici sia applicativi, nonché diversi riferimenti letterari. Vista la quantità di possibili argomenti di interesse proveremo a fare alcune domande senza pretendere di esaurire la totalità del libro ma semplicemente cercando di incuriosire i nostri lettori. Ecco quindi le nostre domande sul testo:

– Il primo capitolo parte dalla celebre affermazione di Cesare “Alea iacta est” per affrontare una serie di problemi che storicamente hanno portato alla nascita del calcolo delle probabilità. Può fare un esempio ai nostri lettori? 

Nel thriller Improbable di Adam Fawer (costruito per portare alle estreme conseguenze il adam_fawer_improbabledibattivo fra caso e necessità), il protagonista David T. Caine tiene una lezione in veste di giovane assistente dove riporta questo esempio.

Nel 1654, prima che Pascal abbandonasse i numeri, un aristocratico francese di nome Chevalier de Méré gli pose una serie di domande. Affascinato dai problemi matematici sollevati da tali domande, Pascal cominciò uno scambio epistolare con un vecchio amico di suo padre, un consigliere del governo in pensione di nome Pierre de Fermat.

Il caso volle che de Méré fosse un giocatore d’azzardo incallito e la sua domanda riguardava un famoso gioco in cui bisognava lanciare quattro dadi. Se il giocatore riusciva a farlo senza che uscisse un sei, vinceva una somma pari a quella che aveva puntato, ma se invece usava un sei, vinceva il banco. De Méré voleva sapere se le probabilità erano a favore del banco o no. […]

Pascal e Fermat diedero una dimostrazione matematica (guarda, guarda) del fatto che le probabilità erano, in effetti, a favore del banco. Dimostrarono che se un giocatore lanciava i dadi cento volte, probabilmente per 48 volte non gli sarebbe uscito un sei e avrebbe vinto, ma per 52 volte gli sarebbe uscito un sei e avrebbe perso. Quindi le probabilità erano a favore del banco: 52 a 48. E fu così che nacque la teoria della probabilità: perché un aristocratico francese voleva sapere se scommettere che non gli sarebbe uscito un sei su quattro dadi era una mossa intelligente o meno.”

L’esempio di Caine è un po’ semplificato a fini narrativi, ma gli ingredienti cruciali ci sono tutti: il gioco d’azzardo e le scommesse sono alla base dell’invenzione del calcolo delle probabilità, partorito da due grandissimi matematici dai molteplici talenti. Fermat era di professione un magistrato; Pascal si è distinto anche come fisico e come filosofo, oltre a essere l’inventore della prima macchina calcolatrice.

– Sempre all’interno dell’interessante primo capitolo ci ha molto incuriosito leggere cheParadosso_Enrico_Fermi Fermi, colpito da insonnia, invece di enumerare le pecore, contava altro… Ci può spiegare perché questo non era un inizio di follia per il noto fisico ma l’avvio di un potente strumento che la matematica offre alla fisica (e non solo)?

Si racconta che il fisico Enrico Fermi occupasse le sue notti insonni facendo ciò che oggi chiameremmo simulazioni numeriche. Sceglieva a caso i valori dei parametri di un problema e ne calcolava la soluzione. Ripetendo l’esercizio più e più volte, con parametri sempre diversi, riusciva a farsi un’idea piuttosto chiara della gamma delle possibilità e della frequenza con cui attendersi certi risultati. In termini moderni, questo procedimento stima “per forza bruta” la distribuzione di probabilità di ciò che può accadere. La versione ufficiale di questa tecnica fu realizzata dai fisici impegnati a Los Alamos nello studio delle reazioni nucleari, dove il numero di fattori aleatori è troppo alto per potersi affidare esclusivamente alle formule. Curiosamente, giacché le misure di sicurezza imponevano un nome in codice, la tecnica fu chiamata Monte Carlo in omaggio al casinò frequentato da uno zio del fisico Stanislaw Ulam.

– Il capitolo 2 inizia con questa interessantissima osservazione:

“quando un matematico apre un dizionario e prende a prestito una parola, al momento della restituzione di solito bisogna aggiungere al lemma al nuovo significato”.

I matematici, per esempio, parlano di anelli che non si mettono al dito e di alberi o assi che non sono di legno. Vuole accennare ai nostri lettori, per esempio, come si è modificata l’idea di probabilità nel corso della storia?

Gli antichi Romani chiamavano probabile ciò che appare “convincente, o credibile, o verosimile”. In questa accezione, probabile sta per attendibile. Il probabilismo è una dottrina filosofica (tra i suoi aderenti c’è anche Cicerone) che combina un atteggiamento scettico sulla nostra capacità di giungere a conoscere la verità con la fiducia che ciò che ci appare attendibile è spesso una valida guida per le nostre azioni. In breve, anche se non possiamo conoscere la verità assoluta, siamo capaci di apprezzarne una buona approssimazione.

Il termine ha avuto oscillazioni di significato a seconda delle modalità con le quali le opinioni diventano attendibili: si può ritenere probabile ciò che afferma una fonte autorevole (ipse dixit) o ciò che i fatti o le testimonianze avvalorano. In parallelo, si sviluppa un’accezione più mondana che considera probabile ciò che è degno di approvazione o di considerazione, a prescindere dalla sua attendibilità. Nel XVII secolo, infine, i filosofi convengono sull’esistenza di due forme di conoscenza: la conoscenza certa (che riguarda idee ed enti astratti, come quella ottenuta con la matematica) e la conoscenza probabile (che riguarda il mondo). La prima volta nella quale il termine “probabilità” appare associato ad una valutazione quantitativa è nel volume “La logica, o l’arte di pensare”, apparso anonimo nel 1662 ma attribuito ai giansenisti con i quali Pascal aveva strette frequentazioni. E’ del tutto verosimile un’influenza diretta della teoria matematica sviluppata da Pascal nella sua corrispondenza con Fermat.

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Frontespizio del libro ‘”Ars Conjectandi” (fonte Wikipedia)

– Perché il libro Ars conjectandi di Bernoulli è così fondamentale? 

I Bernoulli sono una famiglia che ha dato al mondo molti matematici di vaglia. Jakob, l’autore dell’Ars conjectandi, è forse il più noto e, per una curiosa coincidenza, nacque nello stesso anno (1654) nel quale Pascal e Fermat davano origine alla teoria della probabilità. Nei pochi testi scritti prima dell’Ars, i concetti della probabilità erano usati in forma implicita per studiare i giochi d’azzardo e le relative ragioni di scommessa. Bernoulli si propose invece di dare un fondamento teorico all’uso della probabilità come valutazione numerica, esplorandone le implicazioni anche negli ambiti della politica, degli affari, delle procedure giudiziarie. Egli fu il primo a vedere chiaramente come le idee delle probabilità potessero essere usate anche fuori dall’ambito dei giochi d’azzardo. L’Ars è la prima monografia scientifica imperniata sul concetto di probabilità e mostrò ai contemporanei come “esportare” il calcolo delle probabilità dai giochi d’azzardo verso la vita quotidiana.

– Il centro del capitolo 2 è, probabilmente, la riflessione sull’opinione e sul ruolo della almostbayes2matematica nel gestirla. Ad un certo punto si parla di una “formula reverenda” e del “sofisma del pubblico ministero”.  Per incuriosire ulteriormente i nostri lettori, ci può anticipare quanto indicato dal libro?

La “formula reverenda” è un gioco di parole sulla formula del reverendo Bayes, che fu il primo a spiegare come risolvere un importante problema di inferenza. Supponete di conoscere la probabilità con la quale ciascuna fra più cause possibili produce effetti diversi; conducete un esperimento e, in base all’effetto osservato, calcolate la probabilità di quale causa sia intervenuta. Per esempio, se una soffiata vi ha rivelato che il colpevole è uno dei sette nani, la formula di Bayes spiega come risalire dagli indizi che avete a disposizione alla probabilità che il colpevole sia Brontolo.

Il sofisma del pubblico ministero è un noto esempio di ragionamento mal posto, in opposizione alla formula di Bayes. Supponiamo che la soffiata del vostro informatore sia “è stato uno dei sette nani”: ciascuno di loro ha la stessa probabilità di essere il colpevole. Il pubblico ministero rileva sulla scena del crimine un’impronta genetica molto rara (presente solo nel 2% della popolazione) che combacia con quella di Brontolo. Senza controllare gli altri sei sospetti, il pubblico ministero accusa Brontolo di essere il colpevole (con probabilità 98%) perché, se fosse innocente, la probabilità di trovare la sua impronta genetica sulla scena del crimine sarebbe il 2%. L’errore sta nel calcolare le probabilità rispetto alla popolazione invece che rispetto ai sospetti. Se la rara impronta genetica è correlata alla statura, è perfettamente possibile che sia condivisa anche dagli altri sei sospetti e quindi non si può concludere che Brontolo sia quasi certamente il colpevole senza sottoporre al test tutti i sospetti.

– Nel capitolo terzo dal titolo “Azzardare una ipotesi” scrive: “Proviamo ad immaginare il mondo come una stanza chiusa e malamente illimitata, dalla quale cerchiamo di indovinare l’arredamento sbirciando dal buco della serratura.” Che ruolo ha in questo sbirciare la matematica? 

Un oggetto bidimensionale, per esempio un quadrato, è molto facile da disegnare. Un oggetto tridimensionale, per esempio, un cubo si può toccare, manipolare e, all’occorrenza, si può addirittura usare come dado per giocare d’azzardo. Ma se occorre descrivere che cosa sia l’equivalente di un quadrato o di un cubo con quattro dimensioni (un tesseract) dobbiamo rifarci alla nostra immaginazione “matematica” che ci aiuta a sbirciare un mondo che non possiamo né disegnare né toccare, ma che la nostra mente riesce a intravedere.

– Proseguendo all’interno di questo capitolo cita il fisico Lippmann secondo il quale tutti sono convinti che gli errori siano distribuiti normalmente perché: “gli sperimentatori pensano sia un teorema matematico e i matematici che sia un fatto sperimentale”. Vorrebbe spiegare ai nostri lettori il commento caustico di questo fisico?

Questo commento è una versione umoristica del noto adagio “l’erba del vicino è sempre più verde”.

Dal punto di vista dei matematici, Gauss ha dimostrato che, sotto opportune ipotesi, lagauss2 distribuzione di certi fenomeni tende ad assomigliare alla distribuzione normale. In modo un po’ impreciso, si potrebbe dire che la normale è un caso limite per molte (anche se non tutte) situazioni. I matematici sanno benissimo che il caso limite non è la situazione effettiva, ma vi ricorrono per cogliere gli elementi comuni a più situazioni. Insomma, i matematici interpretano il teorema di Gauss come un’utile semplificazione.

Da parte loro, i fisici (a cominciare da Galileo) hanno notato empiricamente che la distribuzione normale fornisce spesso un’eccellente approssimazione con la quale si possono decifrare i dati sperimentali e interpretare l’evidenza. Dal loro punto di vista, l’ipotesi che i dati seguano una distribuzione normale è un valido strumento empirico, anche se il motivo non è del tutto chiaro.

La battuta di Lippmann punzecchia entrambi. Ai matematici rinfaccia di pensare che il teorema sia importante perché i fisici ne fanno uso, e ai fisici di non fare lo sforzo di comprendere i limiti dello strumento empirico perché c’è un teorema che lo fa al loro posto (che ricorda una versione aggiornata dell’antico “ipse dixit”!).

– Nel successivo capitolo 4 si affronta la tematica della decisione a partire dalle riflessioni di Pascal e il suo iniziale studio dell’incertezza tramite la sua scommessa Pascaliana (che lei analizza come un primo esempio di applicazione della Teoria delle Decisioni). Può anticipare ai nostri lettori qualcosa in merito a ciò?

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Blaise Pascal (fonte Princeton.edu)

Pascal era un’anima tormentata. Accorgendosi di non avere sufficiente fede, si pose il problema di come giustificare a sé stesso una vita condotta secondo i pesanti dettami religiosi del suo tempo. Con un’audacia intellettuale che, se fosse stata resa pubblica, avrebbe destato scandalo nel clero, si chiese se fosse razionale comportarsi come se Dio esistesse. In altre parole, si chiese se fosse più conveniente decidere di credere in Dio (e condurre una vita morigerata per accedere alla vita eterna) oppure non farlo (e darsi ai piaceri terreni). L’impresa intellettuale fu osare porsi la domanda, che riconduce un dilemma etico e religioso ad una ponderazione calcolata di vantaggi e svantaggi. La risposta fornita da Pascal, invece, pur se matematicamente corretta, invoca ipotesi estreme che molti non condividono.

– Sempre in questo capitolo per introdurre il problema delle decisioni ha parlato dell’opera di Daniel Bernoulli dal titolo: “Sull’esposizione di una nuova teoria sulla misura del rischio”. Perché questa opera è importante?

Daniel Bernoulli era nipote di Jakob, autore dell’Ars conjectandi: abbiamo già osservato come molti Bernoulli siano stati valenti matematici (per gli appassionati di pettegolezzi storici, aggiungiamo che talvolta i parenti litigavano furiosamente fra loro). L’articolo di Daniel, scritto in una prosa ancora oggi chiara ed elegante, propone di valutare le situazioni rischiose soppesando sia la probabilità con cui si possono verificare sia l’importanza delle conseguenze effettive per il decisore. La novità è nel secondo criterio, in base al quale conta più l’uso che faremmo del denaro che possiamo vincere o perdere che il suo mero ammontare. Come scrisse Cramer, contemporaneo di Daniel ed eponimo della famosa regola per il calcolo dei determinanti

I matematici valutano il denaro in proporzione alla sua quantità, mentre gli uomini di buon senso lo valutano in proporzione all’uso che ne fanno.”

L’articolo di Daniel Bernoulli tiene in conto il comportamento degli uomini di buon senso e la sua formulazione dei problemi di decisione è una diretta antesignana di quella moderna.

– Nel successivo paragrafo parla del problema delle decisioni che si prendono affidandosi all’istinto o alla ragione e del problema dell’”induzione a ritroso” che deve essere fatta ogni volta che si è di fronte ad una concatenazione di scelte possibili. Può offrire qualche spunto ai nostri lettori anche su questo ambito?

Nei problemi di decisione sequenziale, bisogna prendere decisioni concatenate. Per esempio, se si organizza un viaggio fai-da-te, bisogna decidere dove andare, con quale compagnia viaggiare, dove dormire, dove mangiare, che cosa visitare etc. etc. Un approccio comune è risolvere il problema un passo alla volta. Ma ci sono modi diversi di interpretare la gradualità: se comprate il biglietto low-cost non rimborsabile prima di aver controllato il prezzo degli alloggi, potreste risparmiare sul volo molto meno di quanto sarete costretti a spendere successivamente per dormire.

L’induzione a ritroso organizza una decisione sequenziale intorno al principio che gli anglosassoni molto efficacemente chiamano look before you leap (guarda prima di saltare): ossia, dai un’occhiata a tutte le voci di spesa prima di ottimizzarne una con una scelta irreversibile, perché potresti pentirtene. In un’altra forma, lo stesso criterio suggerisce che il modo migliore di giocare una partita è porsi in condizione di sapere anticipare le mosse dell’avversario. Quando un intervistatore chiese a Wayne Gretsky, considerato il più grande giocatore di hockey su ghiaccio di tutti i tempi, quale caratteristica lo rendesse diverso dagli altri giocatori, questi rispose: “io mi concentro sempre su dove finirà la palla”.

– Nel capitolo 5 dal titolo “Valutare un premio” si inizia analizzando le consonanze fra la matematica e il diritto, di vitalizi e di giovani ragazze selezionare da banche ginevrine. Ci può spiegare la storia di come sono state introdotte le “rendite”, il ruolo della matematica in tutto questo e che c’entrano queste giovani ragazze ?

Tanti anni fa le pensioni non esistevano. Chi poteva permetterselo versava una cifra allo Stato dal quale acquistava una rendita vitalizia, ossia il diritto di ricevere una somma fissa ogni mese fino alla morte. A fronte dell’investimento iniziale, la rendita mensile era la stessa indipendentemente dall’età dell’individuo, che per giunta poteva essere diverso dal beneficiario della rendita. In altre parole, una banca poteva acquistare dallo stato una rendita mensile fissa pagando lo stesso prezzo, sia che la persona fosse un ottantenne o una giovanetta in buona salute con una lunga aspettativa di vita (la banca controllava persino che avesse già contratto il vaiolo e quindi fosse “vaccinata”). Come si può facilmente immaginare, gli istituti finanziari approfittavano di questa opportunità, acquistando rendite intestate a giovane ragazze in buone salute (in cambio di una frazione della rendita) e tenendo per sé il guadagno. Naturalmente, i guadagni che l’operazione fruttava alla banca finivano per gravare sul debito pubblico, perché nel lungo periodo lo Stato finiva per versare rendite complessivamente molto più alte degli incassi.

– Che ruolo hanno avuto figure come il politico e matematico de Witt o l’astronomo Halley in tutto questo?

Questi scienziati mettono mano al problema, ben consapevoli che il valore della rendita mensile deve essere commisurato all’aspettativa di vita dell’individuo. I loro percorsi personali, però, sono molto diversi. Halley lavora da matematico, costruendo tavole per la determinazione delle rendite e dimostrando che le rendite offerte dalla Corona inglese sono in perdita a meno che l’individuo non abbia compiuto 60 anni. De Witt, oltre ad essere un matematico, occupa la posizione di primo ministro della Repubblica delle Sette Province Unite (oggi si chiamano Paesi Bassi), uscita dalla pace di Westfalia con un debito pubblico molto elevato. De Witt mette mano a misure rigorose per la riduzione del debito pubblico, incontrando pesanti resistenze. (Proprio così: alcuni dei problemi che oggi affliggono l’Italia non sono tanto diversi da quelli che cinque secoli fa ha affrontato l’Olanda.) De Witt mette a punto anche una “riforma delle rendite” (oggi diremmo “delle pensioni”) che raddrizzi i conti pubblici, ma non riesce a farla approvare. La vicenda ha un triste epilogo: nell’anno successivo un colpo di stato rovescia il governo e De Witt finisce assassinato.

– Sempre in questo capitolo parla della crisi dei mutui immobiliari subordinati del 2007 con riferimento alle mele e ai fulmini. Non possiamo non chiederle, vista la chiarezza del suo esempio, di illustrarcelo.

Questo esempio illustra l’importanza di affrontare rischi indipendenti. Restiamo in ambito gastronomico ma questa volta preferirei far riferimento alle cassette di frutta. Immaginate che ogni mutuo sia una mela: la maggior parte dei mutui è ripagata con gli interessi (mele buone), ma ogni tanto qualche debitore fa fallimento (mela marcia). Chi presta i soldi deve prestare attenzione alla qualità delle mele, sincerandosi di comprare soprattutto mele buone. Un mutuo cartolarizzato impacchetta molte mele in una sola cassetta. Fino a quando la maggioranza delle mele è buona, la cassetta è un investimento fruttifero.

A un certo punto, qualcuno ha l’idea di re-impacchettare le cassette di frutta in altre cassette: si comprano nove cassette di qualità A (90 mele buone e 10 mele cattive) e una di qualità B (50 mele buone, 50 cattive) e si rimescolano le mele da ciascuna cassetta per fare 10 nuove cassette di qualità AB (86 mele buone, 14 cattive) leggermente inferiore alla A. Se non c’e un controllo di qualità, si possono nascondere le mele brutte sul fondo e vendere le cassette AB allo stesso prezzo delle cassette A. A chi compra le cassette AB e trova qualche mela marcia in più della media, si può rispondere che è stato solo un caso sfortunato. Ma l’appetito vien mangiando: qualcuno si accorge che si possono rimescolare otto cassette A e due cassette B per produrre cassette ABB di qualità ancora peggiore da vendere allo stesso prezzo, purché il primo strato sembri buono. E così via. A lungo andare, il prezzo delle cassette in vendita smette di avere alcun rapporto con la genuina qualità delle mele. Certo, finché si tratta di mele che si possono gustare e prendere in mano è difficile pensare di farla franca a lungo. Ma quanti di noi leggono le clausole di un contratto finanziario fino in fondo per essere sicuri di capire che cosa stanno comprando?

– Infine, nell’ultimo capitolo dal titolo “Affrontare il rischio” parla di mercanti, della genesi, delle lampadine degli addobbi natalizi. Può spiegare a chi ci legge come fanno a stare insieme tutte queste cose così diverse fra loro?

Si tratta di spiegare che cosa è la “gestione del rischio”, un termine che a ben guardare ha il sapore di un ossimoro. Se il rischio è una situazione di pericolo o di danno che può crearsi in seguito a eventi imprevedibili, pensare di gestirlo è un obiettivo ambizioso. Nella Genesi si racconta di come Giuseppe interpreti i sogni del faraone egizio come segni del rischio di una carestia, mettendo in opera le azioni necessarie per contrastarne gli effetti. Antonio, il mercante di Venezia, commercia per mare ed è soggetto al rischio di perdere il carico per un naufragio o per un attacco dei pirati; per contenere i rischi, distribuisce le sue spedizioni su più navi in modo che, se anche una non dovesse rientrare, possa almeno recuperare il carico delle altre navi. Si può gestire persino il rischio che gli addobbi smettano di funzionare proprio nella notte di Natale: se le lampadine sono collegate in serie, è sufficiente che se ne fulmini una perché si spengano tutte; ma se si cura di collegarle in parallele, le altre continueranno a far luce.

Intervista al prof. Li Calzi su La7

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