Riprende la rubrica “Recensioni” con questa  nuova intervista  doppia a Alessandro dellabottega_dello_scienziato_DellaCorte_Russo Corte e a Lucio Russo autori del libro “La bottega dello scienziato. Introduzione al metodo scientifico”.

Lucio Russo, autore,  fra gli altri, di  libri come “La rivoluzione dimenticata” e “Segmenti e bastoncini” è docente universitario nella facoltà di Tor Vergata dove ha tenuto  corsi come “Istituzioni di Fisica Matematica”, “Storia delle Matematiche”  e “Storia della Scienza”. Sul nostro sito è già stato   intervistato  per il suo libro “Stelle, Atomi e velieri”.

Alessandro Della Corte, invece, ha lavorato per Da Agostini Scuola, ha collaborato come biomatematico con l’Istituto Superiore di Sanità, e al momento è dottorando in Meccanica Teorica e Applicata presso La Sapienza e presso l’Institut de Mathematiques di Toloneè. E’ autore anche de testo “Giacomo Leopardi. Il pensiero scientifico”.

 Il testo “La bottega dello scienziato. Introduzione al metodo scientifico” è disponibile, per esempio, qui e qui.

Per leggere le precedenti recensioni ospitate su “Math is in the Air” cliccate qui.


“Le idee che hanno enormi conseguenze sono sempre idee semplici” Lev Tolstoj

Leggendo il vostro libro si rimane colpiti dal taglio che avete scelto per questa vostra comunicazione-scientificaopera di introduzione al metodo scientifico. Nel testo è contenuta non solo una critica ad un certo tipo di divulgazione, ma anche una ampia serie di esempi che in concreto mostrano come si dovrebbe fare divulgazione dal vostro punto di vista.

Il libro si presta quindi, almeno dal nostro punto di vista, ad essere proposto come approfondimento a studenti di scuola superiore o universitari e, al contempo, da insegnanti e ricercatori. Ad ognuna di queste persone il libro offre, secondo noi, degli spunti di interesse non banali.

Speriamo di riuscire con questa intervista a rendere l’idea di quanto detto.

Iniziamo quindi con le domande.

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Prima pagina dell’indice del libro “La bottega dello scienziato”

– Come è nata l’idea di questo libro? 

LR: La prima idea del libro è nata per lo meno 10 anni fa. Da lungo tempo ero convinto che la domanda di cultura scientifica trasmessa in forma semplice e accessibile per un pubblico non specializzato non trovasse quasi mai, specialmente per quanto riguarda le scienze esatte, risposte adeguate nella letteratura divulgativa esistente. La maggior parte della divulgazione, infatti, non tenta davvero di spiegare (eventualmente in una forma opportunamente semplificata) i problemi affrontati dagli scienziati e le soluzioni da loro proposte. Al contrario propone in forma inevitabilmente decontestualizzata, e spesso volutamente paradossale, alcuni dei contenuti più “problematici” (per usare un eufemismo) delle teorie che sono in voga al momento. Si tratta di una letteratura che chiaramente non è rivolta a chi vuole cominciare a capire la scienza in modo attivo, partendo dal semplice e muovendosi verso il complesso, ma di un particolare genere di quella letteratura di evasione basata sul fascino del mistero.

L’idea del libro è quella di ribaltare questo modello: invece di incrementare l’alone di mistero che circonda il lavoro degli scienziati, parlare con chiarezza di alcuni concetti semplici.

– Nella Premessa del testo criticate l’approccio secondo cui fare divulgazione equivale a far in modo che nella testa dei lettori si rafforzi l’idea dell’importanza della scienza anche correndo il rischio di far apparire gli scienziati come stregoni e avvolgendo le loro ricerca con una coltre di mistero. La divulgazione dovrebbe invece, se abbiamo capito correttamente la posizione espressa nel libro, far conoscere la scienza, far ragionare il lettore e, al contrario, svelare la coltre di mistero del lavoro di persone come fisici, chimici, matematici, ecc… Potreste spiegare meglio questa idea di fondo del vostro testo?

LR: Rispondo riprendendo un brano del nostro libro.

Nella voce Divulgazione scientifica della Wikipedia in italiano è scritto:

Con l’espressione divulgazione scientifica si intende l’attività di comunicazione rivolta al grande pubblico da parte della comunità scientifica a mezzo di figure professionali opportune come il divulgatore scientifico, che concorre a diffondere la cultura scientifica senza specifiche intenzioni formative, per accrescere la percezione dell’importanza della scienza e dei suoi risultati nell’ambito delle attività umane e rafforzarne il radicamento nella società.

I fini della divulgazione scientifica sono qui individuati con disarmante chiarezza: non si tratta di far conoscere i metodi e le idee della scienza, ma di accrescere la percezione della sua importanza e rafforzarne il radicamento nella società; a questo fine può essere certamente utile avvolgere i risultati scientifici di mistero e presentare i suoi cultori come stregoni iniziati a conoscenze esoteriche inattingibili ai comuni mortali.

L’obiettivo di questo libro è diverso: cercare di eliminare un po’ del mistero che avvolge il lavoro degli scienziati. Non abbiamo cercato di convincere il lettore a trascurare le ciò che appare (ossia, i fenomeni) ma al contrario abbiamo tentato di mostrare con esempi, quanto più possibile semplici e pienamente comprensibili, come la funzione della scienza sia proprio quella di studiare i fenomeni inquadrandoli entro schemi razionali.

ADC: “Far ragionare il lettore” era in effetti uno dei nostri principali obiettivi. L’idea (indubbiamente ambiziosa) era quella di un libro che potesse trasmettere le principali caratteristiche della scienza e alcune importanti idee a un lettore disposto a compiere un serio sforzo autonomo per capire. Quando qualcuno mi chiede un parere su un libro di divulgazione scientifica rispondo con quello che chiamerei il “criterio di pagina 100”: aprite il libro a pagina 100 e cominciate a leggere; se capite quello che state leggendo, con buona probabilità il libro non vale molto. Di solito vuol dire, infatti, che il livello richiesto per la lettura è rimasto “appiattito” su quello iniziale, ovvero che le prime 100 pagine non sono servite a elevare la capacità di comprensione: un tratto tipico della divulgazione finalizzata all’intrattenimento.

Altra scelta (coraggiosa lasciatecelo dire!) che caratterizza la vostra opera è quella di non parlare di relatività, né di meccanica quantistica, né buchi neri o onde gravitazionali. Perché questa decisione? 

LR, ADC: In effetti nel libro non si parla di relatività né di meccanica quantistica, quindi niente big bang, buchi neri, bosone di Higgs e onde gravitazionali. I motivi di questa scelta sono due: il primo è che si tratta di sviluppi scientifici che vanno, a nostro avviso, motivati attraverso una seria comprensione dei limiti delle teorie classiche. Già questo rendeva secondo noi «sano» escluderli da un libro che si proponesse come un testo elementare rivolto a un pubblico vasto, soprattutto perché i limiti delle teorie classiche poggiano su una base sperimentale sofisticata che non è immaginabile descrivere in poco spazio con qualche serietà.

Il secondo motivo è che la «nuova fisica» in molti casi (non sempre) utilizza, anche se a un livello di astrazione superiore, le stesse idee base che hanno sostanziato le teorie scientifiche fin da quando la scienza è nata. In relatività generale, ad esempio, sono ancora fondamentali la geometrizzazione della realtà, il concetto di invariante, di equilibrio, di sistema deterministico, e tutti gli altri «mattoni» elementari che già erano utilizzati, a un livello inferiore di complessità e di astrazione, dalle teorie scientifiche precedenti.

Ma in un’introduzione che si concentri su elementi di metodo, come questa, è secondo noi preferibile presentare gli strumenti concettuali nella loro forma più semplice. Questo non vuol dire affatto che non vengano citati sviluppi scientifici recenti. Al contrario, uno dei nostri obiettivi è stato quello di mostrare come, nonostante l’impressione opposta diffusa dai media, spesso vi sia una notevole continuità tra sviluppi scientifici recenti e idee anche molto antiche.

L’introduzione del vostro libro è dedicata ad una riflessione sulle teorie scientifiche. Quali sono le caratteristiche essenziali che, secondo voi, delineano la natura di una teoria scientifica? 

LR, ADC: La conoscenza scientifica non è affatto un semplice insieme di “affermazioni vere” sulla realtà. Si articola in teorie scientifiche che tra loro possono avere un grado di connessione molto variabile.

Ogni teoria consiste di una serie di affermazioni riguardanti enti astratti (teorici, appunto), che tra di loro devono essere coerenti. Nel caso delle scienze esatte, inoltre, tutte le affermazioni sono dedotte in modo rigoroso da un piccolo insieme di assunzioni preliminari. Naturalmente gli enti astratti non sono puri “giocattoli concettuali”, ma sono connessi al mondo reale attraverso una serie di “regole di corrispondenza” che consentono il passaggio dal modello astratto alla realtà fenomenologica.

Le teorie scientifiche hanno limiti e vantaggi rispetto alle descrizioni «dirette» della realtà concreta. Il loro limite è quello di non riuscire mai a descrivere completamente la realtà (tranne naturalmente la «teoria del tutto», che ha il grande pregio di spiegare appunto tutto, ma il non trascurabile difetto di non essere stata ancora elaborata), ma solo un suo modello parziale. D’altro canto, la grande utilità delle teorie scientifiche consiste nel fatto che al loro interno è possibile dimostrare non solo le proprietà di oggetti e fenomeni osservabili (a questo fine basterebbe l’osservazione diretta), ma anche quelle di realtà virtuali non esistenti, permettendo di progettare e realizzare quelle con proprietà utili. Le teorie scientifiche hanno permesso cioè di creare un nuovo tipo di tecnologia, basata sulla progettazione scientifica.

Perché invece di parlare di teoria scientifica falsificata (prendendo in prestito la nota terminologia di Popper), si dovrebbe parlare di limite di applicabilità della medesima? E perché questa scelta è importante nella didattica/divulgazione?

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Il filosofo ed epistemologo Karl Popper

LR: La “falsificabilità” di Popper sottintende l’esistenza di teorie “false”, e quindi anche di teorie “vere”; sottintende cioè, ingenuamente, l’esistenza potenziale di teorie assolutamente vere, definitive e non suscettibili di essere migliorate. Nell’ambito della fisica rientrano nella categoria delle teorie “falsificate” l’elettromagnetismo classico, la meccanica classica, la meccanica relativistica non quantistica, la meccanica quantistica non relativistica, e così via: cioè quasi tutte le teorie scientifiche usate oggi con efficacia. Ne restano escluse pochissime teorie, accessibili solo a qualche superspecialista, che d’altra parte (se la storia della scienza non avrà improvvisamente fine) saranno falsificate tra qualche anno. Sarebbe del tutto assurdo concentrarsi, nella didattica e ancor più nella divulgazione, su queste ultime: è evidente che occorre invece apprendere innanzitutto teorie che, essendo più comprensibili, sono ancora molto utili, e che non mi sembra opportuno classificare come “false”.

Sempre rimanendo nel tema esaminato dalla vostra introduzione sulle teorie scientifiche, in che cosa consiste il nuovo tipo di tecnologia basata sulla progettazione scientifica?

LR: la scienza permette di parlare non solo di oggetti ed eventi reali, ma di fare anche affermazioni su enti teorici che forniscono un modello della realtà. Questo secondo piano di discorso ha il difetto di non descrivere esattamente la realtà, ma anche il vantaggio di produrre affermazioni che, all’interno del modello scelto, sono assolutamente vere, in quanto dimostrabili. Diviene allora possibile studiare il comportamento di “realtà virtuali”, che nessuno ha mai realizzato. Se tale comportamento è utile, trattandosi di oggetti non esistenti dei quali ho un modello, posso cercare di costruirli. Saranno possibili due esiti: o avrò realizzato qualcosa di utile o avrò scoperto un limite del mio modello.

– Vi ritrovate, almeno in parte, nella introduzione iniziale fatta all’inizio di questo articolo? C’è qualcosa che vorreste aggiungere o puntualizzare?

LR, ADC: Ci ritroviamo, e in particolare ci fa piacere che il libro sia apparso potenzialmente utile come strumento integrativo dell’attività didattica nella scuola.

Disegno del XIII secolo rappresentante il fenomeno della rifrazione della luce da parte di un contenitore sferico (fonte Wikipedia)

Disegno del XIII secolo rappresentante il fenomeno della rifrazione della luce da parte di un contenitore sferico (fonte Wikipedia)

Dopo l’introduzione, il libro si suddivide i due parti. Nella prima mostrate degli esempi di teorie scientifiche molto diverse fra loro. Affrontate la genetica mendeliana al pari del moto dei pianeti, della teoria atomico molecolare e l’ottica geometrica. Ovviamente lasciamo ai nostri lettori il compito di leggere ognuno di questi esempi. Per stimolare la loro curiosità vi chiediamo di illustrarci per esempio perché avete scelto di parlare dell’ottica geometrica.

I quattro esempi proposti hanno tutte le caratteristiche delle teorie scientifiche, essendo in più particolarmente semplici nella loro struttura interna. Inoltre, esse descrivono fenomeni accessibili immediatamente a chiunque. Ci sembrava importante, infatti, che il lettore avesse la possibilità di controllare tutti i passi che dalla fenomenologia portano alla costruzione di teorie scientifiche, senza doversi fidare ciecamente di alcuna “autorità”.

L’ottica geometrica, in più, è una tipica teoria scientifica ellenistica. Illustra quindi particolarmente bene le caratteristiche della scienza esatta al momento della sua nascita.

Nella seconda parte del libro introducete quelli che, secondo voi, sono gli strumenti del mestiere di uno scienziato. Ci sono sembrati illuminanti. Sicuramente se davvero fossero il bagaglio culturale che uno studente ereditasse dai suoi studi potrebbero essere più importanti dell’avere  tante conoscenze affastellate. Anche in questo caso rimandiamo i nostri lettori ad approfondire leggendo il vostro testo, però vi chiediamo di accennarci ad almeno qualcuno di questi “ferri del mestiere”. 

– Per prima cosa vorremmo per esempio chiedervi di spiegarci lo strumento “geometrizzazione della realtà” e in particolare del curioso paragrafo dal titolo “elefanti, topi e bombe alla crema”

LR, ADC: Supponiamo che ci sia una proprietà fisica che dipende dall’area della superficiebombe-alla-crema-o-al-cioccolato di un certo corpo e un’altra che dipende dal suo volume. Se le dimensioni lineari del corpo cambiano le due proprietà cambieranno in modo diverso. Avremo quindi una nuova versione del corpo che dal punto di vista geometrico sarà identica a meno di un fattore di scala, ma che nel complesso «funzionerà» diversamente. Superfici e volumi, cioè, non si comportano allo stesso modo se un oggetto viene riprodotto in scala maggiore o minore: si tratta di un’idea semplice ma per nulla intuitiva, e di grande potenza dal momento che aiuta a progettare tecnologia efficace e a spiegare le forme di moltissimi corpi, inclusi organismi viventi.

Nel libro illustriamo questa idea con vari esempi, uno dei quali riguarda appunto tre dolci tipici, che nella tradizione napoletana sono chiamati «zeppoline», «bombe alla crema» e «graffe». La ricetta base è la stessa per tutti e tre: pastella fritta ricoperta di zucchero semolato. Poiché di solito la pasta non è molto dolce, il ruolo dello zucchero esterno è fondamentale. Ma quanto zucchero serve per dolcificare abbastanza il dolce? La quantità necessaria sarà chiaramente proporzionale alla quantità di pasta, ovvero al volume del dolce, mentre la quantità di zucchero esterno sarà proporzionale alla superficie. Nel caso delle zeppoline, che hanno un diametro di pochi centimetri, lo zucchero superficiale è sufficiente a dolcificare in modo adeguato. Nel caso della bomba, che è una versione in scala maggiore della zeppolina, il solo zucchero esterno sarebbe invece insufficiente: e infatti la bomba viene tipicamente farcita anche con crema o cioccolato al suo interno. La graffa ha tipicamente un volume grosso modo paragonabile a quello della bomba, ma di solito non viene farcita. Essa, infatti, presenta rispetto alla bomba una differenza fondamentale nella forma: essendo a forma di ciambella, ha un rapporto superficie/volume più vantaggioso; il «buco» interno fornisce infatti una parte di superficie supplementare su cui può essere deposto lo zucchero, che nel caso della bomba manca.

 Un altro strumento secondo voi fondamentale è quello caratterizzato dalla “ricerca di invarianti”. In che cosa consiste? Come è possibile che uno scienziato, per esempio, abbia utilizzato questo strumento per spiegare l’estinzione dei dinosauri? 

LR, ADC: Quando si studia scientificamente una trasformazione del mondo circostante è di solito molto utile identificare le caratteristiche, qualitative o quantitative, che devono restare costanti, invarianti, per come la trasformazione funziona. L’identificazione degli invarianti, o l’idea di usarli in un ragionamento scientifico, è di solito molto fruttuosa, ma anche in casi semplici può essere lontana dall’essere banale.

Luis Walter Álvarez

Luis Walter Álvarez

Uno degli esempi che facciamo nel libro riguarda la scoperta e la stima delle dimensioni dell’asteroide che ha colpito la Terra 65 milioni di anni fa. Nel 1980 il fisico Luis Álvarez si accorse che, in corrispondenza del sottile strato di transizione tra le rocce datate al periodo detto Cretacico e quelle datate al Cenozoico (uno strato risalente appunto a circa 65 milioni di anni fa), vi era una concentrazione di iridio molto più elevata rispetto alle normali percentuali dello stesso metallo nella crosta terrestre. Misure provenienti da siti molto lontani (dall’Italia alla Danimarca) confermavano il dato. Dal momento che l’iridio è presente in concentrazioni molto più alte negli asteroidi e nei meteoriti che nella crosta terrestre, Álvarez ebbe a questo punto l’idea che quel sottile strato fosse il residuo del catastrofico impatto di un gigantesco asteroide avvenuto circa 65 milioni di anni fa. Solo un evento catastrofico, infatti, poteva essere all’origine di una concentrazione anomala di iridio in posti distanti migliaia di chilometri. L’asteroide sarebbe stato completamente vaporizzato in conseguenza dell’enorme velocità dell’impatto, e le polveri sollevate dall’impatto stesso si sarebbero diffuse fino alla stratosfera, da dove avrebbero potuto circolare e poi precipitare raggiungendo tutta la superficie terrestre.

Per stimare la grandezza dell’oggetto, Álvarez partì dalla semplice idea che la circolazione di iridio nella stratosfera deve conservare invariata la sua massa. Capì allora che si poteva calcolare la massa totale dello strato di iridio moltiplicando la sua densità superficiale nello strato in cui era stata rilevata la concentrazione anomala per l’area della superficie terrestre, e poi ricavare la massa dell’asteroide dalla frazione di massa degli asteroidi costituita da iridio. Il calcolo di Álvarez portò a un ordine di grandezza di circa 10 chilometri per il diametro dell’asteroide, un risultato che è considerato sostanzialmente esatto ancora oggi.

La potenza del ragionamento teorico dovrebbe essere chiara da questo esempio. Álvarez non ha avuto bisogno di studiare in che modo le polveri si sono diffuse dopo l’impatto, come sono state trasportate dai venti di alta quota, o altre complicate questioni di questo tipo. Ha solo dovuto notare un invariante abbastanza ovvio (la massa di una certa sostanza in un sistema sostanzialmente chiuso), e da uno strato di 1 centimetro di roccia con poche parti per miliardo di iridio ha dedotto con le quattro operazioni una delle più colossali catastrofi della storia del nostro pianeta.

Il settimo capitolo dal titolo “Scegliere le variabili giuste” parla appunto del problema della scelta delle giuste variabili. Potete spiegare ai nostri lettori anche questo potente strumento?

LR: Si tratta di un caso particolare, tipico delle teorie matematizzabili, della regola generale che afferma che per ottenere risposte corrette e utili il passo essenziale consiste sempre nello scegliere bene le domande. Nella descrizione matematica di un fenomeno fisico si possono introdurre molte diverse variabili, ma solo alcune sono particolarmente utili. Se ad esempio voglio descrivere il moto di un pianeta intorno al Sole, posso studiare come varia nel tempo la sua velocità o la sua velocità angolare, ma in entrambi i casi la descrizione sarà complessa. Se invece, come fece Keplero, decido di considerare la sua “velocità areolare” scopro che si tratta di una quantità costante; si tratta evidentemente della variabile giusta. Anche in problemi puramente matematici, spesso per trovare il valore di una quantità che interessa conviene esprimerla in termini di altre quantità molto più semplici da calcolare. Nel libro facciamo diversi esempi.

Come ultima curiosità vi chiediamo di accennare ai nostri lettori il “gioco della vita” inventato dal matematico J. H. Conway. In che modo un gioco rientra nei “ferri del mestiere” di uno scienziato?

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Esempio di configurazione generata per mezzo del sito https://bitstorm.org/gameoflife/

ADC: Il gioco della vita è un «gioco senza giocatori», ossia semplicemente di un sistema dotato di un insieme di regole di evoluzione. Il «terreno di gioco» è un reticolo piano quadrettato. Ogni sito del reticolo può essere pieno o vuoto: scegliendo una certa configurazione di pieni e vuoti si stabilisce la configurazione di partenza del gioco. Si definiscono «vicini» di un certo sito gli otto siti a esso più prossimi in orizzontale, verticale e diagonale. Il sistema evolve con le seguenti regole:

1) un sito pieno che ha tra i vicini meno di due siti pieni diventa vuoto;

2) un sito pieno che ha tra i vicini quattro o più siti pieni diventa vuoto;

3) un sito pieno che ha tra i vicini due o tre siti pieni rimane pieno;

4) un sito vuoto che ha tra i vicini esattamente tre siti pieni diventa pieno;

5) un sito vuoto che ha tra i vicini un numero di siti pieni diverso da tre rimane vuoto.

Le regole si applicano contemporaneamente a tutti i siti di una certa configurazione, e in questo modo si passa dalla configurazione iniziale alla seconda, poi applicando di nuovo le regole si passa da questa alla terza, e così via. Come si vede si tratta di un gioco molto semplice, che presenta però una grande varietà e complessità dei possibili esiti.

In realtà, il gioco della vita non è tanto un “ferro del mestiere” in se stesso. Piuttosto è un modello semplice per illustrare diversi concetti che lo sono a tutti gli effetti. Ad esempio, rappresenta uno dei più semplici casi in cui è immediatamente chiaro il carattere semi-deterministico dell’evoluzione temporale (il presente determina il futuro ma non consente di ricostruire il passato), e di comportamento caotico. Il gioco è inoltre un’ottima palestra per la risoluzione di problemi che, pur essendo formulati in un contesto del tutto elementare, non consentono il ricorso a tecniche “tipiche” ma richiedono ragionamenti ad hoc.

Video: Un’evoluzione possibile del gioco della vita fino a una configurazione statica

In base a quanto fin qui scritto, il vostro libro offre veramente molti spunti. Come suggerireste di usarlo ad un docente di scuola superiore, per esempio, nel suo insegnamento di materie come fisica, matematica o scienze?

LR, ADC: Speriamo che il libro si presti a essere usato a scuola come lettura integrativa, ma vorremmo precisare meglio in che senso. I vari capitoli del libro non sono una serie di proposte di materiali “addizionali” rispetto ai contenuti curricolari. Piuttosto, abbiamo cercato di intervenire (non in modo astratto, ma attraverso esempi ed esercizi) per provare a correggere quelli che secondo noi sono alcuni difetti “tipici” dell’insegnamento scientifico nella scuola.

Ad esempio, crediamo che il capitolo sulla geometrizzazione della realtà possa essere un utile strumento per evitare che la geometria appaia come un puro gioco intellettuale con contatti solo fortuiti con il mondo reale. Una delle idee che vengono di solito recepite (spesso inconsapevolmente) dallo studio scolastico, e che a nostro avviso deve essere smontata, è infatti che la geometria è una disciplina che si occupa di un mondo a sé, formato dalle cosiddette «figure geometriche»: trapezi, prismi, piramidi e tanti altri strani oggetti presenti esclusivamente nei manuali di scuola. Chi ha assorbito questo punto di vista tende a pensare che i casi in cui i risultati geometrici si possono applicare alla realtà sono al più quelli in cui ci si imbatte in oggetti la cui forma sostanzialmente coincide con quella di una qualche «figura geometrica». In realtà la ragione profonda che rende importante la geometria è che essa permette di arrivare a conclusioni interessanti su oggetti di qualsiasi forma. Il motivo per cui a scuola si studiano con cura le proprietà di oggetti come triangoli, cerchi e sfere risiede nel fatto che possiamo usare questi oggetti e loro combinazioni come strumenti elementari per la descrizione e l’approssimazione di oggetti molto più irregolari.

Per finire abbiamo una curiosità sulla vostra esperienza di scrivere un libro a “quattro mani”. Ad Alessandro Della Corte vorremmo chiedere come è stato scrivere un libro a quattro mani con un noto pensatore come Lucio Russo?

ADC: Ho conosciuto Lucio più di venti anni fa, e posso dire con soddisfazione di essere stato abbastanza bravo da accorgermi immediatamente di quanto fortunato fosse per me quell’incontro. Da allora sono stato profondamente influenzato dalle sue idee nel mio percorso di formazione, e le lunghe discussioni con lui hanno rappresentato lo stimolo culturale di gran lunga più importante che io abbia avuto.

Sono stato ovviamente molto contento quando, anni fa, Lucio mi parlò dell’idea di questo libro e mi propose di scriverlo insieme a lui. Da allora ne abbiamo discusso a lungo i potenziali contenuti (se rivedo i miei file di appunti trovo che il materiale che abbiamo scartato è almeno equivalente a quello utilizzato), e alla fine l’attività di scrittura vera e propria è stata tutto sommato abbastanza facile e veloce.

Ovviamente la stessa domanda la facciamo anche a Lucio Russo: come ci si trova a scrivere un libro insieme con un dottorando in Meccanica teorica e applicata?

LR: Io non ho scritto questo libro con “un” dottorando in Meccanica teorica e applicata, ma con Alessandro, cioè con un amico che ho cominciato a stimare quando era solo un ragazzino, una ventina d’anni fa, e ho apprezzato sempre più negli anni successivi. Le competenze di Alessandro non si esauriscono affatto nella disciplina in cui sta conseguendo il dottorato, ma gli consentono di guardarla anche dall’esterno. Nello scrivere un libro come questo, basato da un lato su precise scelte epistemologiche e di politica culturale e dall’altro su esempi tratti da vari settori della scienza, era possibile collaborare solo con chi avesse un’ampia cultura scientifica e condividesse le mie scelte. Alessandro (che, tra le altre cose ha lavorato su modelli matematici di fenomeni biologici, ha scritto un libro, che ho apprezzato molto, sul pensiero scientifico di Giacomo Leopardi, ha una profonda cultura scientifica e filosofica ed è anche un pianista e un maestro di scacchi) era ben difficilmente sostituibile.

Infine chiediamo ad Alessandro Della Corte (al prof. Russo l’abbiamo chiesto qui (link) in una sua precedente intervista): c’è un argomento che le piacerebbe che fosse trattato nel nostro blog? E in caso si offrirebbe di aiutarci a trattarlo?

ADC: Mi piacerebbe che si facesse qualche riflessione sulla celebre frase di Feynman “le stesse equazioni hanno le stesse soluzioni” (dalla lezione 12 del secondo volume della Fisica di Feynman), così spesso citata nei contesti più diversi. L’idea di Feynman è che quando studiamo un fenomeno attraverso un suo modello matematico, acquisiamo automaticamente conoscenze su tutti i fenomeni che sono formalizzati matematicamente in modo identico o molto simile. I motivi del mio interesse sono due. Il primo è che si tratta ovviamente di un concetto importante e dotato di grande potere unificante. Allo stesso tempo, tuttavia, ho l’impressione che questo potere sia a volte sopravvalutato, mentre viene trascurato il ruolo dalla natura concreta del fenomeno in esame nel discriminare cosa è o non è interessante studiare nella sua modellizzazione matematica. Spesso, anche se le equazioni sono le stesse, le domande che ci poniamo sono ben diverse: alcune motivazioni concrete possono portarci a interrogare in modo nuovo un modello che ritenevamo ormai ben noto, offrendoci così punti di vista che prima non avevamo neppure immaginato. Si potrebbero fornire vari esempi interessanti, e naturalmente sarei felice di dare una mano!

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