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Rudi Mathematici

Ed ecco finalmente  la seconda parte dell’intervista ai Rudi Mathematici. Se vi siete persi la prima parte in cui si parlava del loro libro “Storie che contano”, cliccate qui.

Vi lasciamo all’intervista, non meno interessante della prima,  in cui si parlerà di letteratura, della collaborazione con la rivista “Le Scienze”, di divulgazione, di Vico e della sua idea di “ingegni minuti”,  della loro e-zine e di molto altro…. state pronti a giocare al “calcetto della matematica” !

Parte 2

Veniamo quindi alla seconda parte dell’intervista incentrata più su temi di carattere generale. Preparatevi anche a domandone “da un milione di dollari” a cui però vi chiediamo di non sottrarvi.

– Anche se collaborate insieme da molto tempo, attraverso la vostra e-zine Rudi Mathematici e la rubrica sulla rivista “Le Scienze”, vi chiediamo se il libro “Storie che contano” (nonché i precedenti) è stato difficile da scrivere in tre? Come vi siete organizzati il lavoro?

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Logo della e-zine Rudi Mathematici

Già l’espressione “organizzare il lavoro” è espressione impegnativa e persino un po’ aliena, per noi tre. Scherzi a parte, questa è una di quelle domande a cui effettivamente un po’ ci piacerebbe sottrarci, ma non per reticenza nel rivelare pubblicamente chissà quale segreta formula di successo: semplicemente perché descrivere le attività come organizzate e compartimentate rischia di trasmettere idee sbagliate su quanto effettivamente avviene. Sia ben chiaro, non vogliamo neppure spacciare come vera l’idilliaca immagine di tre persone che fanno ogni cosa insieme, pariteticamente, senza nessuna reale specializzazione o campo riservato d’azione: abitiamo lontani l’uno dagli altri, gli incontri reali sono preoccupantemente rari, eppure ogni mese rilasciamo un certo numero di “prodotti”; questo inevitabilmente comporta non solo certe forme di ripartizioni dei compiti, ma addirittura degli automatismi. Però è anche vero che lo spirito iniziale, quello del 1999, quando l’e-zine è stata fondata senza alcun programma per il futuro e soprattutto senza nessuna consapevolezza se non quella di provare a divertirci con la matematica, quello spirito, dicevamo, ci teniamo molto a che sia salvaguardato anche adesso, quasi vent’anni dopo, e anche se anziché un foglietto formato A4 da rifilare agli amici siamo chiamati a scrivere articoli di divulgazione su importante riviste nazionali, o se ci cimentiamo addirittura in un progetto impegnativo come quello di scrivere un libro. La collaborazione tra Hardy e Littlewood, protagonisti di uno dei racconti, è passata alla storia quando Harald Bohr, il matematico fratello del più celebre fisico Niels, la rivelò nel 1947, anno della morte di Hardy. Si basava su quattro regole:

  1. Quando uno dei due scriveva all’altro, era del tutto indifferente se quel che scriveva era giusto o sbagliato.

  2. Quando uno dei due riceveva una lettera dall’altro, il ricevente non aveva alcun obbligo di leggerla, e tanto meno aveva l’obbligo di rispondere.

  3. Sebbene non fosse in fondo importante che entrambi pensassero simultaneamente allo stesso dettaglio, alla fin fine era preferibile che non lo facessero.

  4. Era assolutamente senza importanza se uno di loro avesse realmente contribuito o meno a una memoria che sarebbe poi stata comunque pubblicata sotto il nome di entrambi.

Noi tre siamo ben lontani dal poterci confrontare con questi due giganti della matematica, ma un tentativo di seguirne le regole di collaborazione, nel nostro piccolo, cerchiamo dirudisimmetrie farlo. Ci sono numeri di Rudi Mathematici che sono stati scritti da solo da due dei tre redattori; qualcuno, soprattutto all’inizio, da uno solo. Ci sono attività che spesso finiscono per essere gestite prevalentemente da uno o da un altro, ma questo non cambia affatto il principio: tutto quanto ha la firma di RM deve essere fatto soprattutto per la voglia e il piacere di farlo, e deve portare in calce sempre tre nomi. L’unica eccezione significativa a questa regola è stata il primo libro, “Rudi Simmetrie”, che porta in copertina solo due nomi su tre, e questo perché in realtà si trattava di un regalo a sorpresa fatto dal terzo (con relativo conseguente paradosso: l’unica firma che non figura è quella di chi ha fatto da solo tutto il lavoro…). Il nostro ultimo libro, “Storie che contano”, che è anche il primo con una distribuzione vera e propria, segue perfettamente le stesse regole: la ripartizione del lavoro c’è stata, perché c’è sempre, per definizione. Ognuno ha fatto tutto quello che poteva, al meglio che poteva, per produrre il libro: e il fatto che in copertina, come autore, figuri solo il nome del gruppo “Rudi Mathematici” è un’ottima manifestazione del principio di fondo.

– Nell’opinione pubblica persiste a volte ancora adesso l’idea che chi ha la cultura umanistica sa scrivere e chi, invece, possiede una cultura scientifica non sa scrivere. Voi nel vostro testo sembrereste rappresentare un ottimo controesempio. Cosa ne pensate di questo annoso problema delle “due culture”?

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Il filosofo Giambattista Vico (fonte Treccani) e la sua idea di “ingegni minuti”

Quando ci lasciamo cogliere dagli attacchi compulsivi di vanteria ed eccesso di autostima (per fortuna ci capita abbastanza raramente) ripetiamo a noi stessi che con il nostro giornalino abbiamo portato avanti un paio di battaglie culturali: la prima, quella di provare a mettere in evidenza gli aspetti piacevoli e divertenti della matematica anche a scapito del rigore: il rigore è fondamentale nella matematica vera, quella fatta dai matematici, ma se serve a superare il timore di sbagliare, che così spesso frena anche gli appassionati, ben venga un po’ di approssimata cialtroneria. Se si gioca la finale di Champions League si ha l’obbligo di saper fare un cross ben calibrato, ma se si gioca a calcetto con gli amici anche lisciare un gol a porta vuota può essere divertente. E l’idea di convincere molte persone a giocare con noi “al calcetto della matematica” ci è sempre piaciuta; naturalmente anche per finire poi a guardare insieme le partire dei Mondiali. L’altra battaglia è quella che risponde alla domanda: l’idea della separazione tra cultura scientifica e cultura umanistica è semplicemente un abominio. Abominio logico, oltre che culturale: non si capisce proprio perché dovrebbe esserci questa artificiale segregazione tra le molteplici forme della creatività della mente umana. Ne parliamo spesso perché sì, purtroppo sì, il pregiudizio è ancora lontano dallo scomparire; e non riusciamo davvero a capire come abbia potuto radicarsi così a fondo: ci sono migliaia di controesempi, anche nella nostra letteratura più alta; eppure permane una sorta di “diritto acquisito”, presso diversi intellettuali umanisti, che ritengono che per un umanista sia in qualche modo lecito, se non addirittura consigliabile, rimanere vergine delle più elementari conoscenze scientifiche. C’è da dire che esistono anche partigiani della scienza che la pensano in maniera opposta e complementare, ma sono senz’altro molti, molti di meno; c’è da consolarsi constatando che, di anno in anno, questa segregazione si sgretola sempre più; e c’è anche qualche occasione di rimpianto nel constatare che questa aberrazione ha trovato storicamente terreno più fertile in Italia che in altri paesi.

Forse è davvero colpa della famigerata definizione di “ingegni minuti” di Vico, o più ancora di Croce, che la fece sua sbattendola in faccia ad Enriques e ai matematici, e dell’esortazione che poi rivolse ai filosofi inducendoli a “pensare, non calcolare”, come se fossero azioni in antinomia. Ma gli uomini sbagliano, anche se sono grandi filosofi, e non glie se ne può fare una colpa per più di tanto tempo; dovremmo però davvero smetterla di tenerne conto, questo sì. Decisamente sì.

– Colpiscono, inoltre, alcune frasi nel vostro libro che rendono l’idea di una atmosfera. Il primissimo capitolo esordisce, per esempio, con:

“La luna, tagliata a metà come una focaccia ben divisa fra due fratelli, non si decideva a impallidire nonostante l’aurora fosse ben vicina”.

Quali sono i vostri riferimenti letterari? A chi dovete il merito per questa capacità di scrittura?

Alla pigrizia, naturalmente: intendiamo essere invitati ai maggiori festival sia della Scienza che della Letteratura facendo la fatica di scrivere solo un libro.

Scherzi a parte, la domanda in realtà ci lusinga molto, perché se si parla di “atmosfera” o addirittura di “riferimenti letterari”, come se fossimo dei veri narratori, non possiamo che essere contenti e riservarci di vantarci a lungo con amici e parenti. Ma non essendo veri scrittori, non possiamo che fare appello ai riferimenti letterari che abbiamo in qualità di semplici lettori, e questi sono verosimilmente quelli che hanno gran parte delle persone che hanno più o meno i nostri stessi interessi e più o meno la stessa età. O forse non vale neppure questa prima approssimazione, perché l’universo della letteratura è troppo vasto per arrischiare conclusioni.

Il punto che probabilmente è più universalmente condiviso (alla fin fine siamo sempre in tre, con esperienze e gusti anche diversi) è la curiosità di leggere e di ascoltare: così magari Alice può mostrare disponibilità a sentire Rudy e Piotr che, forti d’una età meno verde, le raccontano per l’ennesima volta le prime letture della fantascienza dell’etàtolkien-signore-anelli dell’oro, o dei reading improvvisati nelle aulette studenti della facoltà di fisica delle poesie dei poeti della Beat Generation; e i due ascolteranno con altrettanta curiosità e attenzione i parallelismi che magari lei vi trova, insospettabilmente, con la prosa potente e calma di Saramago. O magari saranno Alice e Rudy che si lanciano in escussioni complicate su aspetti minori del Signore degli Anelli mentre Piotr, che è un po’ più affezionato all’epica classica che al fantasy, magari commenta ogni tanto le gesta di Sauron con qualche endecasillabo dell’Iliade nella versione del Monti.

Ma anche detta così sembra una cosa troppo snob e intellettuale, e non rende l’idea: si leggono i grandi romanzi russi, ma anche cosacce pulp che non meriterebbero il tempo d’una scorsa veloce; ci riserviamo il diritto di adorare Douglas Adams come non ci dispiace sentire Rudy che ripete pezzi del Gargantua e Pantagruel di Rabelais, che gli altri due – anche se non glielo hanno mai confessato – non hanno ancora letto. Insomma, nessun vero riferimento, solo normale voracità onnivora di letture. Sulla nostra “capacità di scrittura”, invece, possiamo sinceramente e obiettivamente dire che, se davvero c’è, è in gran parte dovuta all’esercizio. Non all’esercizio scolastico o professionale; più semplicemente, all’esercizio a cui siamo chiamati ogni mese per mettere a punto il numero dell’e-zine. Qualunque fossero le capacità di scrittura di ognuno di noi, diciotto anni fa, RM le ha necessariamente fatte crescere e sviluppare. Non fosse altro che per la constatazione che, dietro i monitor sui quali si componevano le nostre parole, c’erano in attesa due o tre migliaia di potenziali lettori che meritavano, in quanto tali, attenzione e rispetto.

– Come è nata l’idea nel 1999 di fondare una e-zine dedicata alla divulgazione della matematica?

Questa lunga intervista potrebbe già aver annoiato oltremodo i lettori, quindi limiteremo al massimo possibile la risposta, che altrimenti potrebbe occupare una ventina di pagine. Quindi, per una volta, faremo nomi e cognomi associando anche le relative responsabilità, ma molto velocemente. La colpa primaria è di Rudy, che un bel giorno decide di rompere le scatole ai colleghi con un problema di matematica “senza parole”. Tra i colleghi c’è Alice, che si macchia della colpa secondaria, commentando:

“Carino! Bella idea, perché non ne fai anche altri?”.

Piotr, che non era collega dei due, viene mobilitato per meriti di fratellanza universitaria al secondo numero, e qualche tempo dopo si macchia della colpa terziaria di inoculare Rudi Mathematici in qualche angolo della rete. Chiudiamo la risposta pubblicando il muto, storico problema numero zero di RM; in rete, negli ultimi tempi, prolifera un problema basato sulla magica e infinita produzione di quadretti di cioccolato; noi non c’entriamo nulla, ma è indubbio che la “sostanza geometrica” del gioco sia la stessa:

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– Perché scrivete di aver contribuito all’incremento delle vendite di aspirina con Rudi Mathematici?

Perché supponevamo, almeno all’inizio, che i problemi pubblicati avrebbero costretto i solutori a lunghe meditazioni che sarebbero inevitabilmente sfociate in perduranti mal di testa; e questo non solo per la difficoltà dei problemi, ma anche e soprattutto per la maniera – appunto un po’ “rude” – di presentarli: con ambientazioni strane, approssimazioni e omissioni seminate a volte volontariamente e a volte per sbaglio, e così via. Quel che poi è successo è che i lettori – per lo meno quelli che rispondevano, inviando soluzioni – erano immancabilmente più bravi di noi, risolvevano tutto nonostante gli ostacoli, passavano ad elaborare variazioni sul tema e a compilare ardite generalizzazioni. In breve, sono più spesso loro che fanno venire il mal di testa a noi, ormai da svariati anni. Lo sviluppo della previsione era quindi sbagliato, ma il risultato finale, dal punto di vista della Bayer, ugualmente esatto: incremento di vendita di aspirina.

– Quando avete capito che la vostra e-zine iniziava veramente ad avere successo?

Ma davvero abbiamo successo? D’accordo, d’accordo… ne abbiamo avuto certamente molto di più di quel che avremmo immaginato diciotto anni fa, quindi la domanda è legittima, inutile cercare di evitarla con una modestia forzata. Ma non è facile rispondere, perché ogni passo avanti, quando è arrivato, ci sembrava un progresso incredibile, perché inatteso. Abbiamo fatto festa quando abbiamo scoperto che l’e-zine veniva letta anche da qualcuno che non conoscevamo, ad esempio. Ci meravigliavamo molto, ogni volta, per come aumentassero gli iscritti alla mailing-list, e così via… Certo, il periodo a cavallo tra il 2007 e il 2008 è stato un po’ uno spartiacque, con la vittoria della “segnalazione speciale” della giuria nel Premio Peano per “Rudi Simmetrie” e, quasi contemporaneamente, l’invito a tenere una rubrica di matematica ricreativa su “Le Scienze”. Forse non abbiamo capito neanche allora di aver avuto successo, ma di certo è stato allora che abbiamo capito che ormai non potevamo continuare più di tanto a dichiararci solo “dilettanti cialtroni”, perché non saremmo più stati creduti da chi non ci conosce di persona; le persone che ci conoscono, invece, sanno benissimo che è proprio così.

– Nella pagina “Storia di RM” del vostro sito raccontate un po’ la storia di come è nata RM. C’è qualche aneddoto che vorreste condividere ai nostri lettori?

Il nostro povero sito… non abbiamo mai il tempo di aggiornarlo come si deve. In merito agli aneddoti… beh, a dire il vero c’è una cosa curiosa abbastanza recente, potremmo dire che è tuttora in corso, addirittura. Potremmo chiamarla “il mistero di Alice”: come i nostri lettori ben sanno, Francesca – cioè Alice – vive a Zurigo, e riusciamo ad incontrarci di persona abbastanza di rado. Negli ultimi anni ci è capitato più volte di essere chiamati a tenere conferenze o a fare presentazioni o, ancora più banalmente, a incontrarci con quegli editori che hanno il coraggio e la follia di pubblicarci. La distanza, il confine, i molti impegni – e anche, a dire il vero, un certo grado di ritrosia nei confronti dei palcoscenici – hanno congiurato, specialmente negli ultimi anni, a far sì che le “uscite pubbliche di RM” fossero inevitabilmente interpretate solo dai due terzi maschili della redazione. Un po’ per scherzo, un po’ per celia, un po’ perché le fantasie misteriose sono sempre più affascinanti della realtà, è cominciata a girare la voce che Alice in realtà non esista, e sia solo un’invenzione, più o meno come Bourbaki. Noi abbiamo pubblicato foto, mostrato codici fiscali, chiamato a testimoniare testimoni autorevoli, ma non riusciamo ancora a tacitare del tutto la voce. Naturalmente Francesca esiste eccome, e se non esistesse non esisterebbe neppure RM, ma è evidente che se le cose continuano così, finirà che non sarà più creduta come “Alice realmente esistente” neppure quando riapparirà in pubblico. Le leggende metropolitane e le teorie del complotto sono indistruttibili.

– Cosa ne pensate della divulgazione scientifica (in particolare quella matematica) nell’attuale panorama editoriale italiano? E’ cambiata dal 1999 ad oggi?

Continuità e discontinuità, identità e differenze… ci sono entrambe le cose, nella divulgazione scientifica italiana. Le differenze hanno probabilmente una causa ben precisa e identificabile, che peraltro ha cambiato l’intera società, e non solo la divulgazione: la Rete.

Quando abbiamo cominciato la Rete c’era già, ma era ancora un terreno di caccia per pochi: qualche professionista (con accademici e ricercatori a farla da padroni: un humus fantastico, per la comunicazione della scienza), qualche giovane nerd, e tutti rigorosamente nascosti dietro il loro nickname, che noi su RM abbiamo sempre chiamato “allonimo”. È curioso pensarci adesso, ma i nostri nomi anagrafici sono rimasti celati per una buona mezza dozzina d’anni, dalla nascita di RM fino all’arrivo dei primi pezzi pubblicati su carta. Ora la Rete è territorio assai più densamente popolato, ed è uno strumento indispensabile a ogni tipo di comunicazione, specialmente se scientifica: quindi anche per la divulgazione. E infatti si trovano, anche in lingua italiana, molti siti ottimamente organizzati e curati di matematica (ma queste sono cose che voi di Math Is In The Air sapete benissimo, assai meglio di noi), e un’infinità di possibilità di interazione diretta (si tende a dimenticarlo, ma nei primi tempi un “sito” era un posto che si poteva solo guardare, non c’era la possibilità di cliccare alcunché, o quasi…).

L’offerta divulgativa, sotto questo aspetto, è enormemente aumentata, sia come qualità che come quantità. Resta però il fatto – e qui salta fuori la continuità – che se l’offerta sul web è aumentata, la “domanda” in generale è probabilmente ancora costante, ovvero troppo bassa. Le case editrici raccontano che i libri di matematica sono una nicchia curiosa, perché il numero dei lettori/acquirenti sono oggettivamente pochi, ma sono quantomeno affezionati e costanti, cosa che capita di meno con le altre discipline. E comunque, la tradizionale divulgazione su carta deve fare i conti la crisi selvaggia dell’editoria, oltre che con una certa inerzia – forse particolarmente presente in Italia – del pubblico dei non addetti ai lavori nell’avvicinarsi alla divulgazione scientifica. Solo Piero Angela riesce forse a superare il gap, e gliene va reso grande merito: ma il fatto che il papà della divulgazione scientifica televisiva italiana sia virtualmente l’unico ancora oggi, proprio come era l’unico quarant’anni fa, dovrebbe far preoccupare almeno un po’ gli addetti ai lavori.

– Secondo voi, la politica ed i mezzi di comunicazione moderni si occupano a sufficienza di scienza e, quando lo fanno, è nel giusto modo?

Questa domanda sembra quasi un invito a sparare sulla Croce Rossa… è inevitabile, e forse fin troppo facile, rispondere di no. Il livello medio della conoscenza scientifica di base, quella che dovrebbe essere patrimonio comune condiviso da tutti, ci sembra davvero insufficiente: senza voler essere catastrofici e pessimisti, resta indubbio il fatto che la maggioranza delle persone non ha un’idea neanche approssimativa di quanto sia grande l’universo in cui vivono, della differenza di funzionamento tra un vaccino e un antibiotico, di quali siano gli errori logici in cui più facilmente si cade in una dichiarazione pubblica, o quali siano i principi di base della teoria dell’evoluzione: e sono tutti esempi che oggettivamente sono necessari anche per la vita dell’uomo della strada, non solo per quella degli intellettuali o degli specialisti. C’è quindi per forza una carenza di divulgazione scientifica: i media, verosimilmente, la trascurano per questioni di mercato; c’è stato un tempo, forse, in cui i media tentavano di avventurarsi in missioni culturali a fini educativi, ma da diversi anni sembrano preferire la logica – appunto di mercato – di dare ai lettori solo quello che i lettori chiedono, per quanto sciocco possa essere. La politica ha colpe maggiori, perché sembra funzionare allo stesso modo: basta sostituire il termine “logica di mercato” con “logica del consenso”. Ma la sua colpa è maggiore perché non è solo la divulgazione scientifica a pagarne il prezzo in questo caso, ma anche le sue sorelle maggiori e di gran lunga più importanti: la scuola e la ricerca universitaria.

– Quali indicazioni/suggerimenti vi sentite di dare ad agli studenti di scuola superiore che seguono realtà come il nostro blog e che stanno pensando di iscriversi ad una facoltà?

È davvero difficile rispondere. I “non più giovani” tendono a dimenticare troppo facilmente quanto sia cruciale quel periodo della vita in cui tutto è ancora da decidere, e però l’urgenza di decidere si fa davvero pressante: è inevitabilmente un periodo di crisi, nel senso più etimologico del termine. Per di più, a questa generazione il compito è reso ancora più difficile perché è in crisi anche la società nel suo insieme. È una scelta di vita, e come tale vi confluiscono fin troppe variabili: la ricerca di indipendenza, la sicurezza (per quanto possibile) economica, la stessa futura identità, perché l’identità professionale è una parte importante dell’identità dell’individuo. In via del tutto generale, possiamo solo suggerire di non trascurare troppo l’elemento puramente passionale: sono così forti, in questi anni, le pulsioni date dall’incertezza economica che è facile essere tentati di mettere del tutto da parte le preferenze dettate dal puro piacere intellettuale di intraprendere studi che interessano realmente: però anche l’entusiasmo e la passione sono elementi importanti, in una scelta di vita, non dovrebbero essere trascurati, almeno non del tutto. Ma la domanda, per fortuna, restringe un po’ il campo: i ragazzi che seguono blog come “Math Is In The Air” hanno inevitabilmente, almeno in una certa misura, già mostrato un preciso tipo di interesse, di curiosità; almeno un certo grado di entusiasmo. E se decideranno di intraprendere un corso di studi scientifico (che poi, oggettivamente, sembra tuttora l’indirizzo in grado di assicurare le migliori possibilità di sbocco professionale), possiamo avventurarci a dare qualche consiglio un po’ meno vago, e cioè quello di mantenere acceso, anche in ambito scientifico, l’entusiasmo per le emozioni di questo strano oggetto che è la specie Homo sapiens. Se vi iscrivete ad una facoltà scientifica, non perdete di vista la necessità, l’obbligo quasi, di raccontare anche emotivamente le scienze che studiate. Se decidete che è meglio iscriversi a una facoltà umanistica, non dimenticate la necessità, l’obbligo quasi, di raccontare le scienze, che grondano emozioni ed umanità come fanno tutte le grandi avventure umane.

Insomma, raccontate le scienze. E fatelo anche se non vi iscrivete ad una facoltà: tra noi c’è ci ricorda ancora un amico che, molti anni fa, in una notte di Natale passata per necessità lontana dai tradizionali parenti e amici, riuscì a trasformare la descrizione tecnica della brasatura di una bistecca in un’epopea fantasy di due ore.

– C’è un argomento che vi piacerebbe che fosse trattato nel nostro blog? E in caso chi di voi si offrirebbe di aiutarci a trattarlo?

Prima di rispondere, ci permettiamo di dare ai lettori un riepilogo delle coordinate spaziotemporali e di contorno che caratterizzano la prima stesura di questa risposta: sono le ore 06:40 AM di domenica 9 luglio 2017. RM222, il numero di luglio della e-zine, che sarebbe dovuto uscire canonicamente il primo giorno lavorativo del mese (e cioè sei giorni fa), è spaventosamente incompleto e lontanissimo dall’uscita. Queste coordinate mostrano alcuni dei punti deboli cronici di Rudi Mathematici, quali: i tre redattori lavorano alla matematica ricreativa sostanzialmente nei weekend (e vi lasciamo immaginare cosa pensino della cosa parenti e amici), perché tutti e tre hanno anche un lavoro “ordinario” del tutto ortogonale a RM, che si ruba (almeno) tutti i giorni feriali. Sono 222 mesi che scriviamo dalle 20 alle 30 pagine di matematica al mese, e la caccia agli “argomenti non ancora trattati” assomiglia sempre di più alla ricerca del Graal. Soprattutto, stiamo riuscendo a trasformare il “ritardo di RM” in un mantra, un soggetto mitico e mistico, un’appercezione trascendentale kantiana più assoluta dello spazio e del tempo newtoniani. Ciò non di meno, l’invito a giocare insieme a Math Is In The Air è invito lusinghiero e prestigioso, e quindi ci troviamo in profonda ambascia: pertanto, in merito all’argomento, ci permettiamo di ricordare che non è tanto il tema, ad interessarci, quanto lo svolgimento, proprio come nei compiti in classe di italiano. Su chi di noi può aiutarvi, beh… vi ricordate quanto abbiamo detto prima in merito alle domande che iniziano con la frase “Chi di voi…”, vero? Per il resto, nessun problema! Probabilmente riusciremo a fare la nostra parte di lavoro con non più di sette lustri di ritardo, se ci mettiamo di buona lena.

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