euro-2387086_1920Riceviamo e molto volentieri pubblichiamo un nuovo contributo di contributo esterno  di Giovanni Conti, ingegnere elettronico che si occupa di software per le segnalazioni di vigilanza. Il tema è di assoluto interesse poiché affronta la problematica delle misure di rischio nelle banche.

1 Introduzione

Nei post precedenti (clicca qui, qui  e qui)  ho parlato del rischio di credito e delle perdite attese e inattese, dei modelli IRB , della formula regolamentare per il calcolo dell’ assorbimento patrimoniale. Rimango su questo tema con questo post, ma allargando molto la visuale.

Partiremo dalla fine, cioè da cosa succede quando una banca è soggetta al “meccanismo di risoluzione” ( si parlerà anche di bail – in ) e arriveremo a descrivere le idee alla base delle misure di rischio. I punti di partenza e di arrivo routano intorno al concetto di capitale.

2    Il capitale

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Cos’è il capitale? Il capitale è innanzitutto un debito: un debito dell’azienda nei confronti dei soci.
Naturalmente l’azienda per funzionare ha bisogno non soltanto del denaro preso in prestito tramite le azioni immesse sul mercato, ma anche di altre forme di prestito, ad esempio obbligazioni. Nel caso di una banca oltre a queste forme di finanziamento ci sono anche i depositanti, quindi i conti correnti, i risparmi dei clienti.

Si crea quindi tutta una serie di creditori della banca, dagli azionisti, agli obbligazionisti, ai correntisti. Ma che succede se una banca non va bene? Se deve sostenere delle perdite o addirittura rischia il fallimento?

Certamente se l’ azienda sostiene perdite può diminuire la sua capacità di rimborsare i suoi creditori risultando potenzialmente capace di rimborsarne alcuni e non altri. Emerge, quindi, una gerarchia di creditori, un livello di “seniority” come si dice:  alcuni creditori hanno più diritto ad essere rimborsati in via privilegiata, a scapito di altri.

I correntisti al di sotto dei 100.000 euro in Italia sono tra i creditori più privilegiati mentre gli azionisti sono, evidentemente, all’ ultimo posto di questa gerarchia e si dice che sono i creditori con maggior “capacità di assorbimento delle perdite”.
Ad oggi una situazione critica come quella descritta è disciplinata , tra le altre normative, dalla direttiva “BRRD” (v. [2] ) che definisce i meccanismi di “risoluzione” di una banca in difficoltà.

Lo spirito di fondo della BRRD è l’idea di ristrutturare una banca in difficoltà nel modo più indolore possibile verso i contribuenti dello stato di appartenenza della banca stessa ed il sistema finanziario in cui la banca è inserita (si veda anche [3] “single resolution board”). Uno dei meccanismi di risoluzione è il “bail-in” che prevede, in estrema sintesi, che a concorrere al salvataggio della banca possano essere chiamati i suoi creditori, in modo che siano principalmente essi, a cominciare evidentemente dagli azionisti, a sostenerne le perdite.
Rimane, quindi, di fondamentale importanza capire la genesi delle perdite, la loro natura, le modalità con cui si misurano.

L’argomento, evidentemente  vastissimo, chiama in causa competenze di varia natura; qui ci limitiamo soltanto alle modalità con cui le perdite si misurano.

3    Come si misura il rischio

In definitiva misurare il rischio significa misurare le perdite inattese e quantificare il capitale necessario per farvi fronte. A questo scopo esistono precise leggi, regolamenti europei, direttive , volte ad elaborare un criterio uniforme e applicabile a tutte le banche.

Il modello più popolare e normativamente adottato è il modello del valore a rischio ossia del VaR, che è una misura delle perdite “probabili” di un determinato insieme, o meglio, portafoglio composto da attività finanziarie che possono registrare delle perdite in un determinato intervallo di tempo.

Il VaR di un portafoglio in un certo intervallo di tempo prefissato è il valore delle perdite che verosimilmente si ritiene che si registreranno in quell’ intervallo di tempo, con un certo livello di probabilità.

In altri termini se α è una probabilità fissata, ad esempio del 99%, indichiamo in simboli con $$VaR_{\alpha}$$ il valore delle perdite del portafoglio dato che, nell ‘ intervallo di tempo dato, non è superato con probabilità α o maggiore. In simboli, detta P la perdita stimata, e Pe la perdita effettiva:

$$VaR_\alpha = \{ inf P| Prob(P_e< P ) >= \alpha \}$$ (1)

La definizione è molto intuitiva, semplice, e, di fatto, viene utilizzata nei modelli più avanzati per il rischio di credito ed il rischio di mercato che sono i due rischi, tra quelli sopra ricordati, su cui ci concentreremo maggiormente. Il problema di fondo del Var è che non dice nulla, di per sé, sull’ entità delle perdite che superano il Var stesso.

La funzione di distribuzione della probabilità, infatti, potrebbe essere la più varia e presentare, ad esempio, delle pericolose concentrazioni su perdite elevate, oppure spegnersi pian piano dolcemente come una gaussiana. Inoltre, secondo importante limite, il Var non è subadditivo. Questo significa che se ho due portafogli X e Y distinti, nell’ intervallo di tempo dato può risultare:

$$VaR_\alpha(X + Y) >= VaR_\alpha(X) +VaR_\alpha(Y)$$ (2)

in netto contrasto con un principio elementare di diversificazione.
Questi limiti rendono il Var una misura di rischio “non coerente” e rendono necessaria una definizione rigorosa , mediante opportuni assiomi, di che cosa sia una “misura di rischio” proprio dal punto di vista della sua essenza, dal punto di vista “ontologico”.

Non riporto qui gli assiomi che devono essere soddisfatti perché una misura di rischio possa considerarsi tale, sono facilmente reperibili sul web (v. [5]) , dirò che la subadditività sicuramente ne fa parte. Ma non c’è soltanto un elenco di assiomi che devono essere soddisfatti, ci sono anche dei principi che rimandano direttamente addirittura alla tradizione galileiana: una qualsiasi teorizzazione ideale del concetto di misura di rischio deve poter essere messa a confronto con l’esperienza.

Una misura di rischio deve poter essere, cioè, “backtestable”, vale a dire deve poter superare un test su dati dell’ esperienza storica. Il backtesting è fondamentale perché un modello sia validato dalle autorità competenti in termini di vigilanza bancaria.

Per capire il concetto di backtesting possiamo pensare ad un’analogia con le previsioni del tempo: supponiamo di avere un modello che fa le previsioni del tempo per domani, ricevendo una serie di informazioni sul tempo che fa oggi. Per testare il modello potrei semplicemente vedere se avrebbe predetto correttamente il tempo di oggi – che è noto – inserendo la serie di informazioni di cui sopra ma misurata ieri.

Il backtesting è  la verifica Y, ex post, di una quantità X stimata ex ante; se Y=X il modello di stima è ideale, se Y<> X è più o meno buono: insita nel concetto stesso di backtesting c’è anche una misura di quanto il modello sia buono, che permetta il confronto tra modelli. Questo, in termini elementari, il concetto di backtesting: una misura di rischio deve superare opportune verifiche di backtesting, come ulteriore requisito da aggiungere alla coerenza teorica offerta dagli assiomi sopra ricordati.
Solo come aggiunta finale a questa sezione è opportuna una “postilla” filosofica: il VaR è un modello astratto, ideale a cui “tendono” i modelli reali, le strutture e gli algoritmi reali intesi a stimarne il valore.

Il Var è un po’ la “cavallinità” di Platone che vive nella sua perfezione nel mondo delle idee, mentre ciascun modello reale di stima del Var è il “cavallo” che è, sempre platonicamente parlando, la rappresentazione terrena, più o meno precisa, di un’ entità ideale.

Nella seconda parte del post, che sarà pubblicata prossimamente, vedremo il  ruolo importante che l’hypothesis testing gioca nel backtesting del Var.

Riferimenti bibliografici

[1] Resti, A. , Sironi A. Rischio e valore nelle banche, EGEA Editrice, Milano, 2008.
[2] Direttiva “BRRD” 2014/59/UE
[3] https://srb.europa.eu/ (single resolution board)
[4] Papoulis Athanasios Probability, random variables and stochastic processes third edition, McGraw-Hill, 1991
[5] Lisa Wimmerstedt, Backtesting Expected Shortfall: the design and implementation of different backtests www.math.kth.se
[6] Regolamento “CRR” 575/2013 dell’ Unione Europea
[7] Kisiala Jakob, Conditional Value-at-Risk: Theory and Applications www.maths.ed.ac.uk
[8] Carlo Acerbi, Balazs Szekely, Backtesting Expected Shortfall MSCI Inc. October 27, 2014 , https://www.msci.com
[9] www.bis.org/publ/bcbs265.pdf

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