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Gian Italo Bischi

Pubblichiamo questa intervista a Gian Italo Bischi docente di Metodi Matematici per l’Economia  dell’Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”. In particolare le domande verteranno sul suo libro “Matematica e Letteratura. Dalla Divina Commedia al Noir”.  Il testo è reperibile qui e qui.

Queste domande sono stare scritte a partire da quelle raccolte fra gli studenti del 5 Liceo Scientifico sezione H del Liceo B. Russell di Roma a seguito della lettura del libro all’interno del percorso “Matematica è cultura” per il Premio Archimede dell’UMI


 

– Da dove è nata l’idea di scrivere questo libro? Cosa lo ha portato ad matematica-e-letteraturaaccostare la letteratura e la matematica ?

Da diversi anni svolgo lezioni e conferenze divulgative sui contatti fra la matematica e altri campi del sapere. Ma il tema dei rapporti fra matematica e letteratura è stato quello di gran lunga più richiesto da studenti e insegnanti di scuola media superiore soprattutto in vista della tesina interdisciplinare per l’esame di maturità, per la quale si presenta spesso il problema, appunto, di collegare la matematica con le materie letterarie. Per la realizzazione di queste lezioni e conferenze ho accumulato, nel corso degli anni, parecchio materiale su autori e temi particolarmente rilevanti per mettere in luce punti di contatto, contaminazioni, riferimenti da vario genere, citazioni e considerazioni che potessero fornire spunti e collegamenti per le tesine, privilegiando ovviamente quegli autori che si studiano a scuola. Ho quindi pensato di raccogliere parte di questo materiale sotto forma di libro.

L’idea di mettere a confronto letteratura e matematica comunque rispecchia le mie passioni e i miei interessi culturali. Fin da bambino ho letto molto, sviluppando una vera e propria passione per la letteratura. Sono sempre stato un lettore onnivoro, spaziando fra vari generi letterari e per ogni genere saltando dai classici alle novità, sotto la spinta della curiosità e degli stimoli più disparati. Nel contempo ho seguito studi scientifici, mi sono laureato in fisica e dedicato a ricerca e insegnamento nel campo della matematica. L’accostamento è quindi scaturito in modo naturale.

– Nella primo capitolo al suo libro espone il noto problema della “separazione fra le due culture” (umanistica e scientifica) e osserva che a livello di scuola superiore gli stessi docenti frappongono dei muri. Vuole riassumere ai nostri lettori la sua tesi relativa, invece, all’unicità delle due culture?

Matematica e letteratura sono spesso considerate discipline separate, addirittura lontane fra loro, ed è opinione comune che questa distanza si sia accentuata nel corso del Novecento a causa della crescente specializzazione e dei linguaggi sempre più esclusivi adottati sia dalla matematica sia dalle discipline scientifiche che ne fanno uso. Penso invece che negli ultimi 150 anni matematica e letteratura si siano molto avvicinate, fino a condividere gli stessi scopi e influenzandosi a vicenda. Dopo la rivoluzione delle geometrie non euclidee, il formalismo e la crisi dei fondamenti che hanno caratterizzato la matematica dei primi del Novecento, anche la matematica, come la letteratura, si occupa di pure creazioni del pensiero, e i suoi metodi e concetti si basano sulla coerenza logica e formale e non sono necessariamente legati alla realtà empirica. Inoltre per un letterato, che sia scrittore o lettore o critico letterario, una conoscenza dei concetti e metodi di base della matematica non può che arricchire le proprie capacità interpretative della realtà e essere in grado di intendere o apprezzare situazioni, concetti, analogie, interpretazioni di carattere matematico, cioè attraverso chiavi di lettura che non sono accessibili a chi non ha quel tipo di cultura. Viceversa, una conoscenza della letteratura e delle sue recenti evoluzioni e tendenze è molto utile a chi si occupa di matematica, sia perché dalla letteratura si possono ricavare nuove idee, sia perché la capacità di collegare concetti matematici a personaggi e storie della letteratura costituisce un elemento prezioso per esposizioni didattiche e divulgative della conoscenza scientifica. I concetti della matematica, per quanto astratti e idealizzati, hanno quasi sempre le loro radici nella realtà dalla quale ciascuno di noi trae ispirazione per le proprie idee e immagini, per quanto trasfigurate e rielaborate esse possano apparire. E allora, se è vero che la letteratura, così come il teatro e il cinema, offre storie, situazioni e personaggi che ritraggono, ampliano e trasformano la realtà vissuta, essa non può che accrescere e rafforzare le fonti di suggestione e ispirazione anche per le idee matematiche. A questo aggiungiamo che spesso i matematici, e gli scienziati in genere, sono tenuti a spiegare concetti astratti, espressi mediante i linguaggi formali delle loro discipline, attraverso i termini del linguaggio comune e mediante immagini condivise anche dai non specialisti. Questo risulta talvolta un problema non banale, e una conoscenza di termini, immagini, situazioni e sensazioni estratti dalla letteratura può risultare molto utile per affrontarlo. Si pensi alle difficoltà che i matematici incontrano nell’esporre a un pubblico di non specialisti il contenuto di un teorema o il percorso seguito in una sua dimostrazione, oppure ai fisici che devono proporre immagini e descrizioni comprensibili e convincenti di ambienti lontani dalla comune realtà, come quelli del mondo subatomico governato dalla meccanica quantistica o quelli su scala cosmica soggetti alle leggi della relatività generale.

– Per avvalorare la sua tesi riporta il pensiero di Calvino, Primo Levi e di Leonardo Sinisgalli. Può anticipare il loro pensiero?

Questi scrittori, insieme a tanti altri, hanno saputo muoversi lungo itinerari in apparenzaPrimo-Levi-img difficilmente conciliabili, stabilendo grazie alla loro formazione, competenze e sensibilità, contatti fra la cultura umanistica e quella scientifica. Questa vastità di interessi e conoscenze potrebbero indurre a pensare a un senso di dispersività e superficialità. In realtà, pur operando sul difficile terreno della contaminazione multidisciplinare, sono stati in grado di creare particolari sinergie e fusioni che hanno dato luogo a visioni più profonde e originali di quelle che sono in genere ottenute in una logica interna alle singole discipline. Autori in cui l’atteggiamento scientifico e quello letterario sono compenetrati allo scopo di completarsi vicendevolmente per uno studio e interpretazione della realtà sotto diversi punti di vista, trasfigurandola e rappresentandola attraverso varie chiavi di lettura, ricerca, scoperta e invenzione. La letteratura che si nutre di scienza si arricchisce di un lessico rigoroso e di un patrimonio di metafore con cui ampliare i modi di accostarsi alle cose e di ancorarsi al reale. D’altro canto la scienza che si nutre di letteratura riesce a ottenere risultati più convincenti e a stabilire collegamenti e sinergie più forti e talvolta inaspettati.

– Nel secondo capitolo analizza l’opera di Dante Alighieri. Cosa lo ha portato a studiare Dante e la Divina Commedia da un punto di vista matematico?

Dante è stato un grande divulgatore della scienza. Non a caso Calvino accosta Galileo edante-alighieri Dante che da due sponde diverse (poeta l’uno, scienziato l’altro) hanno saputo comunicare le conquiste della conoscenza scientifica alla gente utilizzando la lingua parlata da tutti, la lingua volgare. Dante sotto forma poetica (pochi sapevano leggere, i poemi si declamavano dopo averli imparati a memoria e la rima aiuta in questo); Galileo sotto forma di dialoghi, una forma letteraria che aiuta a seguire le vicende come se fossero rappresentate a teatro, un’anticipazione dei talk show ma senza fare la confusione che si fa oggi in tv, parlando uno alla volta.

Però non sarei stato all’altezza di trovare da solo tutti i punti della Divina Commedia in cui Dante parla di matematica e di logica se non avessi ascoltato (e registrato) circa trent’anni fa a Pesaro una conferenza del prof. Bruno D’Amore su Dante e la matematica. Ovviamente quello che ho riportato nel libro è solo una piccola parte. In generale, ogni capitolo del libro può essere sviluppato ulteriormente, in pratica costituisce un punto di partenza per invogliare il lettore ad approfondire l’argomento.

– Perché all’epoca era “normale” per un poeta come Dante utilizzare riferimenti alla matematica? Può fare un esempio di questo utilizzo in Dante?

Ai tempi di Dante chi si accostava al sapere, alla cultura, veniva indirizzato sia verso le cosiddette “arti del quadrivio”, Musica, Aritmetica, Astronomia, Geometria, sia alle “arti del trivio”, Grammatica, Retorica, Dialettica (che oggi chiamiamo Logica). Oggi nel lavoro si premia la specializzazione, chi è dedicato a una professione sembra che sprechi tempo se si interessa a saperi non strettamente inerenti alla propria professione. Ai tempi di Dante invece un medico, ad esempio, era tenuto a conoscere l’astronomia, e quindi la matematica e la fisica per capire l’influenza degli astri, oltre alla grammatica e la retorica per esporre in modo corretto i propri ragionamenti. Analogamente un giurista studiava la logica, e quindi la geometria che spesso era considerata una scuola di logica. Nella storia sono stati tanti i giuristi che hanno significativamente contribuito a risultati di matematica, basti pensare a Leibniz e Fermat. Oggi invece c’è una maggiore separazione, all’università ci sono addirittura settori disciplinari rigidamente separati, e le conoscenze che un docente ha in settori diversi da quello in cui è inquadrato non vengono affatto considerati nella sua carriera. Io che sono in un settore di matematica per l’economia sto sprecando il mio tempo occupandomi di letteratura, anche se connessa con la matematica, e potrei scrivere un saggio o un romanzo famosissimo (persino vincere il Nobel per la letteratura) senza che questo venga minimamente considerato per la mia valutazione come docente universitario. Questo disincentiva il sapere interdisciplinare, che come abbiamo detto è più fecondo nel portare a nuove idee.

Tornando a Dante, le sue conoscenze matematiche gli hanno permesso di ottenere risultati stupefacenti nel proporre analogie e metafore che costituiscono la parte qualificante e caratterizzante delle sue opere (così come di ogni opera letteraria). Ad esempio, nel libro riporto le terzine tratte dal Canto XXXIII del Paradiso in cui si parla del mistero dell’incarnazione, ovvero immaginare come una stessa cosa possa rappresentare due cose contemporaneamente, nel caso specifico la natura umana e quella divina. Una cosa difficile da capire, ma che deve essere possibile per i credenti. Per spiegare questo con un’analogia Dante ricorre alla geometria, e dice che è difficile capire come risolvere il problema della quadratura del cerchio, ovvero determinare le dimensioni di un rettangolo la cui area è uguale a quella di un cerchio di raggio dato. Un problema che si sapeva benissimo risolvere, pigreco per raggio al quadrato, ovvero un rettangolo di base πr e altezza r. Però nell’antica Grecia i problemi di geometria dovevano essere risolti mediante costruzioni geometriche che prevedessero il solo uso di riga (non graduata) e compasso. Una specie di ginnastica mentale, o prova di abilità, una regola prefissata. Quindi la sottigliezza della similitudine è davvero notevole: non è il problema che è impossibile da risolvere in sé, ma risulta impossibile con gli strumenti limitati con cui ci si prefigge di operare. Allo stesso modo non è impossibile l’incarnazione di Cristo, solo che è impossibile capirla a pieno per la mente umana, a causa della sua natura limitata. Sarebbe stato poco elegante se Dante avesse utilizzato come similitudine per capire questa difficoltà qualcosa di realmente impossibile.

– Nel suo testo non parla di autori, parimenti fondamentali, come Petrarca e Boccaccio. Non ha avuto ancora modo di studiarli o questi autori rispetto a Dante hanno un atteggiamento diverso rispetto alla matematica?

Entrambe le cose. Non li ho altrettanto approfonditi, comunque credo anche che non possano essere paragonati a Dante nel ruolo di divulgatore della scienza. Dante si prefigge esplicitamente di comunicare la scienza per rendere partecipe il numero più ampio possibile di persone alla “mensa della conoscenza”. Come infatti scrive esplicitamente nel Convivio (1307) la gente deve desiderare di conoscere, in quanto “la scienza è l’ultima perfezione de la nostra anima”. E in particolare, sempre nel Convivio, si riferisce alla geometria dicendo: “la Geometria è bianchissima, in quanto è senza macula d’errore e certissima per sé”. Non credo che Petrarca e Boccaccio abbiamo espresso così esplicitamente la loro “mission” di divulgatori scientifici.

– Il terzo capitolo è dedicato alla prosa di Galileo Galilei definito da Calvino come il più grande scrittore della letteratura italiana di ogni secolo.

Può farci un esempio della capacità di Galileo di coniugare le capacità dello scienziato con quelle di scrittore?

Galileo rappresenta in modo eclatante il sapere interdisciplinare. Studente di medicina Galileo-Galilei(non si è mai laureato) si interessa di matematica alla quale si appassiona. Ma contemporaneamente è critico letterario, musicista, pittore e critico d’arte. Le sue prime lezioni pubbliche a Firenze, nel 1588, sono “Circa la figura , sito e grandezza dell’Inferno di Dante”, e i suoi primi scritti sono saggi di critica letteraria: “Le Postille al Petrarca”, “Le Postille all’Ariosto”, “Le Considerazioni al Tasso”, oltre ad aver pubblicato componimenti in rima, spesso con attitudine polemica come il divertente poemetto in rima “Contro il portar la toga”. Nella“Crestomazia Italiana, cioè scelta di luoghi insigni o per sentimento o per locuzione raccolti dagli scritti italiani in prosa di autori eccellenti di ogni secolo per cura del Conte Giacomo Leopardi”, lo scrittore più rappresentato è proprio Galileo, con ben 18 brani.

Un esempio? Consideriamo il seguente, tratto dal “Dal Dialogo sopra i due massimi sistemi”, in cui si parla del confronto fra la Terra e i corpi celesti, in polemica con gli aristotelici che consideravano la Terra di materia corruttibile e gli astri ben diversi, in quanto di materia incorruttibile.

SAGREDO. Io non posso senza gran repugnanza al mio intelletto, sentir attribuir per gran nobiltà e perfezione a i corpi naturali ed integranti dell’universo questo esser impassibile, immutabile, inalterabile etc., ed all’incontro stimar grande imperfezione l’esser alterabile, generabile, mutabile, etc.: io per me reputo la Terra nobilissima ed ammirabile per le tante e sí diverse alterazioni, mutazioni, generazioni, etc., che in lei incessabilmente si fanno; e quando, senza esser suggetta ad alcuna mutazione, ella fusse tutta una vasta solitudine d’arena o una massa di diaspro, o che al tempo del diluvio diacciandosi l’acque che la coprivano fusse restata un globo immenso di cristallo, dove mai non nascesse né si alterasse o si mutasse cosa veruna, io la stimerei un corpaccio inutile al mondo, pieno di ozio e, per dirla in breve, superfluo […]; ed il medesimo dico della Luna, di Giove e di tutti gli altri globi mondani. E qual maggior sciocchezza si può immaginar di quella che chiama cose preziose le gemme, l’argento e l’oro, e vilissime la terra e il fango?

e come non sovviene a questi tali, che quando fusse tanta scarsità della terra quanta è delle gioie o de i metalli piú pregiati, non sarebbe principe alcuno che volentieri non ispendesse una soma di diamanti e di rubini e quattro carrate di oro per aver solamente tanta terra quanta bastasse per piantare in un picciol vaso un gelsomino o seminarvi un arancino della Cina, per vederlo nascere, crescere e produrre sí belle frondi, fiori cosí odorosi e sí gentil frutti?

Questi che esaltano tanto l’incorruttibilità, l’inalterabilità, etc., credo che si riduchino a dir queste cose per il desiderio grande di campare assai e per il terrore che hanno della morte; e non considerano che quando gli uomini fussero immortali, a loro non toccava a venire al mondo. Questi meriterebbero d’incontrarsi in un capo di Medusa, che gli trasmutasse in istatue di diaspro o di diamante, per diventar piú perfetti che non sono.

SALVIATI. E forse anco una tal metamorfosi non sarebbe se non con qualche lor vantaggio; ché meglio credo io che sia il non discorrere, che discorrere a rovescio.

– Il successivo capitolo è dedicato a Giacomo Leopardi ed evidenzia, cosa non a tutti nota, come la scienza sia stata per il poeta un riferimento costante e importante. Può spiegare spiegarci però quali furono i rapporti contrastanti che ebbe con la matematica?

La scienza è stata la prima grande passione di Leopardi, che studiando nella biblioteca Giacomo-Leoparti-matematica-fisicapaterna rimane affascinato dal metodo e dal rigore della scienza, tanto che a soli 13 anni scrive le Dissertazioni filosofiche, che includono esposizioni molto erudite di logica, fisica e principi morali.

Ovviamente a Leopardi non sfugge la limitatezza dei modelli proposti dalla scienza rispetto alla molteplicità e complessità della natura. Però nello Zibaldone, oltre alla critica rivolta alla Matematica per la sua incapacità di cogliere la complessità del mondo a causa del riduzionismo sempre implicito nell’uso dei modelli matematici, si coglie anche una certa avversione per il linguaggio della Matematica, intesa come concatenazione di simboli per eseguire calcoli. Nello stesso tempo esalta la matematica dell’antica Grecia, fatta soprattutto di dimostrazioni geometriche svolte con argomentazioni logiche, che se ci pensiamo bene è molto più vicina al significato moderno di matematica. Infatti nell’attuale impostazione formale di una teoria matematica razionale, ovvero basata sul modello aristotelico ipotetico-deduttivo, la dimostrazione di un teorema segue ancora i canoni dettati dalla struttura logico-formale della geometria di Euclide. E questa matematica è considerata addirittura “poetica” dal Leopardi. E nello Zibaldone Leopardi più volte ribadisce che chi si specializza in un solo campo del sapere non può dirsi completo (neppure in quel campo) se non conosce qualcosa anche degli altri settori. Un concetto magistralmente espresso anche dal suo contemporaneo Edgar Allan Poe nel celebre racconto “La lettera rubata”, dove scrive, parlando dell’autore del furto, «Egli è matematico, ma non poeta. » «Vi sbagliate, lo conosco bene: egli è entrambi. Ed in quanto poeta e matematico insieme che riesce a ragionare tanto abilmente.»

– Secondo Leopardi “un libro di scienza può anche essere giudicato un’opera di alta letteratura”. In quali ambiti lei ritiene che si possano mettere a confronto le due discipline?

Tutta l’opera di Galileo ne è un esempio. Ma ce ne sono tanti, ad esempio gli scritti di Darwin sono vere e proprie opere letterarie per la chiarezza e lo stile. E lo stesso Leopardi, nello Zibaldone, nomina Newton quando scrive:

“si può dire che da una stessa sorgente, da una stessa qualità dell’animo, diversamente applicata, e diversamente modificata e determinata da diverse circostanze e abitudini, vennero i poemi di Omero e di Dante, e i Principii matematici della filosofia naturale di Newton.”

In generale, comunque, saggi e articoli scientifici devono essere scritti in forma anche narrativa (ora si usa molto il temine inglese storytelling) per essere capiti e apprezzati. Molti concetti scientifici risultano chiari se ad essi si associa una storia, una analogia con concetti e personaggi. Si pensi alle difficoltà di descrivere concetti e risultati della meccanica quantistica o della relatività, così lontane dalla nostra esperienza e dal senso comune. Non si può fare a meno di ricorrere a immagini letterarie, mitiche e narrative, per poter capire il loro significato. Si pensi, ad esempio, al recente successo dei libri del prof. Carlo Rovelli, ricchi di riferimenti filosofici, artistici e narrativi.

– Nel quinto capitolo si analizzano, invece, gli scritti di Pirandello. Questa volta lo spunto iniziale è fornito dal matematico “De Finetti”. Vuole, anche in questo caso, anticipare quanto scrive nel suo libro?

Tra fine Ottocento e inizio Novecento ci sono importanti ripensamenti, alcuni parlano dipirandello rivoluzioni, sui concetti che stanno a fondamento delle discipline scientifiche, in particolare matematica e fisica. In fisica ci sono le rivoluzioni legate alla relatività e alla meccanica quantistica, che rimettono in discussioni i concetti di spazio, tempo, particella, posizione, traiettoria, misurabilità. Si affacciano sulla scena entità che esistono in una sovrapposizione di stati che si rivelano diversamente a seconda del processo di misura utilizzato per osservarli. Anche in matematica, dopo la rivoluzione delle geometrie non euclidee, si arriva alla determinazione che gli oggetti (enti primitivi) e le proprietà di base (assiomi) che stanno alla base di una teoria matematica si possono inventare, sono pure creazioni del pensiero, indipendentemente dal fatto che siano “veri”, ovvero empiricamente testati. L’importante è che non siano contraddittori. L’essenza della Matematica diventa quindi la libertà di scegliere fra diversi sistemi assiomatici, e quindi diverse “verità”. Ecco che il pensiero va spontaneamente all’opera di Pirandello, in quanto anche nella sua opera il concetto di vero assoluto abdica in favore della verità relativa, che non è più qualcosa di unico, necessario e universale, ma diventa relativa alle premesse. I personaggi di Pirandello possono essere immaginati come in una sovrapposizione di stati che si rivelano diversamente ai diversi osservatori. È il relativismo pirandelliano, che aderisce perfettamente anche alle nuove frontiere della matematica e della fisica.

Nell’incapacità dei personaggi pirandelliani di riconoscere una verità il lettore matematico potrebbe intravedere persino il Teorema di Indecidibilità dimostrato da Gödel nel 1931, l’impossibilità di distinguere fra un’affermazione e la sua negazione: all’interno di ogni sistema formale esistono affermazioni ben costruite di cui non riusciamo a dimostrare verità né falsità. Ma le analogie non finiscono qui, perché il lettore fisico potrebbe riconoscere situazioni tipiche della meccanica quantistica, dove non sappiamo, ad esempio, se un elettrone è particella o onda in quanto si rivela l’una o l’altra a seconda del processo di misura utilizzato. Le particelle della meccanica quantistica si trovano di per sé in uno stato indeterminato (o una sovrapposizione di stati) finché non arriva un osservatore che, col suo processo di misura (che inevitabilmente perturba il sistema) ne rivela uno tra i vari possibili. Onda o particella? O l’una o l’altra, non si sfugge. Eppure la fisica quantistica ci dice che l’elettrone è sì una particella ma si può anche comportare come un’onda in certe circostanze. E che dire della luce? I fenomeni di interferenza e diffrazione ci convincono chiaramente che è un’onda, ma il modo con cui scambia energia con la materia avviene attraverso lo scambio di fotoni, mediante veri e propri urti fra particelle.

Insomma, Pirandello costituisce una preziosa fonte di metafore e analogie per capire e spiegare gli sviluppi della Matematica e della Fisica del Novecento.

– Nel caso di Calvino, analizzato nel capitolo 7 del libro, come si configura il suo rapporto con la matematica?

Dagli inizi degli anni Sessanta Calvino vede sempre di più la scienza come un repertorio diItalo-Calvino nuovi temi, oggetti e storie da narrare, una sorgente di nuovi miti che caratterizzano la cultura moderna.

Per quanto riguarda in particolare la matematica, per Calvino una fonte importante di ispirazione è costituita dal calcolo combinatorio, che studia come enumerare e catalogare tutte le possibili disposizioni e combinazioni di un numero finito di oggetti. Un metodo per generare tante variazioni partendo da un numero limitato di elementi di base. Uno strumento tecnico dunque, ma sotto certi aspetti anche concettuale e filosofico. Per Calvino la ars combinatoria diventa uno strumento creativo, narrativo e una importante fonte di ispirazione. Questo progetto gli valse l’ingresso nel gruppo dell’OULIPO (Ouvroir de Littérature Potentielle), i cui componenti proponevano, oltre a riflessioni e potenzialità letterarie e creative, uno stretto rapporto con la matematica e le sue strutture formali ipotetico-deduttive, che venivano proprio in quel periodo studiate a fondo dal gruppo di matematici raccolti sotto lo pseudonimo di Bourbaki. In analogia con lo sforzo di questi matematici, che cercavano di fornire assiomi e regole formali da cui dedurre vecchi e nuovi settori della matematica, il gruppo della letteratura potenziale ricercava moduli di base, strutture e regole di costruzione narrativa che gli scrittori potessero utilizzare per realizzare tante diverse opere letterarie. Una sorta di sistema razionale formalizzabile, il cui studio potesse beneficiare anche degli strumenti logico-matematici e informatici, con cui realizzare opere narrative, persino attraverso processi iterativi o per approssimazioni successive. Un bell’esempio di reciproca influenza fra matematica e letteratura

– Potrebbe spiegare il significato di questa citazione inserita nel capitolo ottavo: “ma in geometria c’è un’unica strada per tutti”?

Si tratta di una visione molto egualitaria della matematica, che è una disciplina povera (nel senso che si realizza con carta e matita, oltre a intuito e concentrazione). Di fronte alla matematica siamo tutti uguali, non ci sono gerarchie né privilegi, se non quelli legati a una più o meno solida preparazione di base, che comunque viene acquisita solo grazie all’impegno e alle capacità di ciascuno, non certo per differenze di casta o di censo.

– Nei successivi capitoli analizza una serie di autori che vanno da Saramago a Eco passando per Malvaldi e Giordano. La matematica li può accomunare?

Più che accomunarli, direi che ciascuno di loro a modo suo dimostra come la matematica possa costituire fonte di ispirazione, oppure come il lettore nella logica narrativa di questi autori possa riconoscere caratteristiche tipiche del ragionamento matematico.

 L’intervista proseguirà con la seconda parte che sarà pubblicata a breve su questo sito

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