Dopo il primo contributo su De Finetti, continuiamo la serie di articoli dedicati a riscoprire il contributo nel campo della didattica di importanti figure di matematici.

In questo articolo Donata Foà,  insegnante per oltre 30 anni al liceo scientifico sperimentale Buonaroti di Pisa e collaboratrice dell’INVALSI, racconta la sua esperienza diretta di collaborazione con Giovanni Prodi.


prodi e io

Raccontare la mia collaborazione con Giovanni Prodi è un onore: non so se sarò in grado di farlo ma ci provo.

Non percorrerò la storia dei suoi interventi sulla didattica della matematica, dai programmi di Frascati del lontano 67 alla collaborazione con ministero della pubblica istruzione, alle cariche ricoperte nell’UMI e nella CIIM, tutte cose che testimoniano la sua presenza da protagonista nel cercare di cambiare il modo di insegnare la matematica, ma che si trovano facilmente su internet.

Quello che posso fare è descrivere l’effetto che ha avuto su di me come insegnante, e non solo, da quando sono entrata in contatto con lui, attraverso i suoi libri, e per tutti i successivi 25 anni.

La premessa

Io venivo da Firenze e non conoscevo nessuno all’università di Pisa, Prodi, Checcucci, Villani erano nomi che ricorrevano nei discorsi dei miei colleghi ma che a me non dicevano niente.

Passai qualche anno di insegnamento in supplenze e incarichi in località disagiate, rendendomi conto della mia profonda ignoranza, come tutti coloro che cominciano a insegnare, (perché sapere risolvere equazioni differenziali non serve per insegnare il calcolo letterale), e comunque privilegiata perché figlia d’arte con entrambi i genitori insegnanti di matematica.

Approdai finalmente al liceo Buonarroti nel 1984: una scuola sperimentale in tutti i sensi, dai programmi al metodo di insegnamento, alla struttura oraria, alla suddivisione in area comune e area opzionale, e la sperimentazione investiva tutte le discipline nessuna esclusa. La sperimentazione in matematica era rappresentata dal libro ‘matematica come scoperta’ di Giovanni Prodi e qui è cominciata la mia storia professionale.

L’incontro col progetto

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Due libri, uno rosso e uno blu, piccoli, editorialmente non avvincenti, strani, quasi senza esercizi, diversi da tutti quelli precedenti, quello rosso non cominciava con l’algebra ma con la probabilità, quello blu con la rappresentazione algebrica delle isometrie, e subito dopo con problemi di ricerca operativa.

Mi resi conto che se fino ad allora mi ero sentita ignorante, da quel momento si apriva un mondo, forse anche un baratro, ma comunque qualcosa che andava affrontato con estrema umiltà e con molto studio; cominciai un viaggio verso una matematica fino ad allora sconosciuta, almeno dal punto di vista didattico, e si rivelò un viaggio affascinante.

Procedevo cautamente con l’aiuto dei colleghi che avevano già fatto un po’ di esperienza e scoprii che esisteva un seminario didattico che si svolgeva quasi tutte le settimane ‘in palazzina’ al dipartimento di matematica, dove insegnanti si riunivano per discutere sul progetto Prodi e su altro.

L’incontro con Prodi

Andai a una riunione pensando di trovare solo insegnanti come me, con le loro difficoltà, e invece trovai Prodi che stava lì ad ascoltare in silenzio: lasciava che ognuno di noi parlasse ed esponesse le proprie perplessità e le proprie domande; ricordo che io avevo un problema su se e come presentare l’isomorfismo fra Q(√2) e l’insieme delle classi di resto dei polinomi Q(x) modulo l’ideale generato da (x2-2) . Mi rendo conto che detta così la cosa suona incredibile ma invece questo era un problema scaturito da un esercizio del testo sui polinomi e poi confermato dall’introduzione ai numeri complessi. Il livello era ovviamente molto alto ma il fatto è che gli esercizi non erano esercizi nella accezione attuale del termine, erano teoria che andava estratta, con l’opportuna metodologia, dall’insegnante e dagli studenti insieme, in una continua scoperta che si doveva spingere fino alle possibilità degli studenti: il mio problema era sapere se ero andata oltre oppure no. La sua risposta fu sibillina: ‘mi sembra che la risposta se la sia già data lei’. Lì per lì non capii se era un’approvazione, poi si rilevò tale.

Libro o progetto

Mi resi subito conto che quello che avevo fra le mani non era un libro di testo, era un’altra cosa, molto più indefinita ma molto più completa e coinvolgente, era un progetto e come tale andava studiato, analizzato, sviscerato, discusso e alla fine condiviso.

La differenza principale che c’è fra un libro, anche un buon libro, di matematica e un progetto è l’impostazione del percorso, immaginato nel suo complesso e non per singoli contenuti; questo implica un scelta degli argomenti, una scala di priorità, una scelta metodologica, un continuo richiamo fra un ambito e un altro perché in realtà la matematica viene vista non come un susseguirsi di temi ma come un tutt’uno, un cercare di dare un significato agli oggetti matematici che si insegnano.

Esempi

Con qualche esempio forse si capisce meglio:

Iniziare in prima col richiamo al calcolo delle frazioni o al linguaggio degli insiemi è noioso e lo si potrebbe, a torto, ritenere inutile, ma se iniziamo lo studio della matematica dal calcolo delle probabilità, che è un tema fondamentale della realtà che ci circonda, ecco che le frazioni che sono uno strumento necessario, diventano anche un “oggetto” matematico importante e significativo, così come l’uso degli insiemi diventa un modo di rappresentare i problemi.

Altro esempio è l’anticipazione della geometria analitica rispetto alla risoluzione di equazioni e disequazioni di secondo grado: il motivo è ovvio, la componente visiva di un grafico rende molto più agile e significativa questa parte dell’algebra e, come si è detto prima, saper leggere un grafico è parte essenziale della vita di un cittadino.

L’idea di esplorare semplici problemi di ricerca operativa è un modo per attribuire un significato alle equazioni delle rette che altrimenti restano puri oggetti algebrici.

Quanto alla geometria qui occorrerebbe ben altro che un esempio per far capire le differenze con la geometria insegnata tradizionalmente; lo strumento delle trasformazioni del piano è molto più potente, anche se forse all’inizio più difficile: si tratta di partire dall’assioma della distanza e proseguire muovendo contemporaneamente tutto il piano e così riconoscere una isometria (simmetria assiale, centrale, una traslazione, una rotazione) significa riconoscere l’uguaglianza delle figure contemporaneamente in tutto il piano. Se qualcuno si ricorda la dimostrazione del teorema ‘in un triangolo isoscele gli angoli alla base sono uguali’ non avrà difficoltà a capire come la simmetria assiale risulti addirittura magica.

Questi sono solo esempi ma danno l’idea di un insegnamento che si preoccupa di costruire significati anziché tecniche, che impone di non soffermarsi su interi capitoli della matematica, generati dalla tradizione più che dal loro reale spessore cognitivo, a privilegio di altri temi più stimolanti e semanticamente utili.

Allo stesso tempo, in tutto il percorso dei cinque anni, è garantito un rigore che è raro trovare nei libri, in cui niente viene lasciato percepire a livello solo intuitivo ma tutto viene dimostrato in maniera coerente con l’impostazione complessiva; se qualche dimostrazione viene omessa (per eccesso di difficoltà) se ne dice il perché in modo da far capire agli studenti il legame logico di tutto il processo.

Il contesto

Siamo negli anni ottanta, soffia un vento di innovazione, ci sono personaggi di grande statura che modificano radicalmente la didattica della matematica, nei contenuti e nel metodo, Emma Castelnuovo, Lombardo Radice, Speranza, De Finetti, per citare solo i più conosciuti; sorgono sperimentazioni più o meno autonome, va in onda il Piano Nazionale per l’Informatica (PNI), arrivano i primi calcolatori nelle scuole, ci sono risorse economiche, c’è una classe insegnante che accetta di mettersi in gioco. Prodi dal 1980 al 1985 è presidente della CIIM e fa parte di tutte le commissioni ministeriali, da quella per la riforma della scuola elementare alla commissione per l’introduzione del PNI e del Brocca.

Sulla realizzazione del PNI ci furono molte critiche: i computer erano troppo pochi, non si poteva insegnare informatica sulla carta, l’insegnamento dell’informatica veniva affidata ai matematici. Prodi ne era pienamente consapevole ma riteneva che i procedimenti di calcolo facessero parte integrante della matematica e che lo scopo del PNI non fosse l’insegnamento dell’informatica ma solo di una matematica più completa.

Alcuni dati di ‘matematica come scoperta’

280 pagine per il libro rosso, in cui vengono trattati la probabilità, il calcolo letterale, l’algebra fino al primo grado, le funzioni, i numeri reali (scatole cinesi), la geometria. Tempo realistico di attuazione: 2 anni.

380 pagine per il libro blu per un periodo di altri due anni in cui si trattano temi canonici quali la geometria analitica, la trigonometria, le trasformazioni non isometriche, e meno canonici quali la ricerca operativa, l’aritmetica, l’algebra astratta, le classi di resto, i polinomi, i numeri complessi.

410 pagine per il libro verde di analisi ‘elementi di analisi matematica’ scritto con Magenes per il quinto anno in cui importantissima è l’introduzione al concetto di infinito e infinitesimo attraverso le successioni e la precedenza del concetto di continuità a quello di limite.

In realtà è scorretto elencare gli argomenti dei libri in questo modo perché in realtà sono tutti interconnessi ma per capirsi è necessario semplificare.

Esercizi di routine praticamente inesistenti, solo alcuni problemi significativi; il calcolo letterale, che nella tradizione scolastica assorbe almeno un anno (polinomi, scomposizioni in fattori, frazioni algebriche, equazioni e disequazioni), viene trattato in sole 55 pagine, sempre a partire da problemi di varia natura, aritmetica, fisica, probabilità, geometria elementare, trascurando tutte le pratiche risolutive particolari, i vari metodi di risoluzione dei sistemi, per privilegiare la comprensione dei concetti importanti, basilari.

Solo in un secondo tempo l’algebra (e in particolare l’aritmetica), avrà una sua autonomia e apparirà in una prospettiva diversa, vista non come strumento ma come oggetto di indagine; ma perché questo abbia un senso bisogna affrontarla dopo, non in una prima ma per esempio in una quarta liceo. Questo è il senso di un progetto anziché di un libro: la visione d’insieme permette di affrontare lo stesso argomento in tempi diversi, a livelli diversi ma con lo stesso registro.

(Per fare un paragone quantitativo uno dei libri che vanno per la maggiore di questi tempi dedica 260 pagine solo al calcolo letterale e equazioni di primo grado.)

Certo insegnare la matematica su un progetto come questo vuol dire lavorarci molto, integrarlo con materiali spesso inventati, (cercando di seguire la direzione giusta), espanderlo con variazioni su tema, che dipendono dalle preferenze di ciascun insegnante, insomma un grosso sforzo sia da parte dell’insegnante per far apprezzare agli studenti la qualità del lavoro, sia da parte degli studenti per non abbandonarsi mai alla tranquillità del “saper fare” anziché alla fatica del “saper ragionare”.

Talvolta ci si fa.

La nuova edizione

Talvolta ci si fa ma spesso no, e fu così che la casa editrice D’Anna comunicò a Prodi che le vendite non giustificavano più la produzione del libro, quindi era necessario inventare qualcosa per non perdere tutta questa ricchezza.

Per fare il punto della situazione nel 2000 ci riunimmo due giorni in un convento a Volterra e lì fu presa la decisione di scrivere un nuovo libro, a più mani, a fascicoli, che partisse dal canovaccio del vecchio libro ma che ampliasse la parte degli esercizi e liberasse quella parte di teoria che vi era nascosta, nella speranza che insegnanti e studenti ne potessero usufruire più facilmente.

Cominciò così un periodo molto interessante durato molti anni in cui la redazione ( eravamo circa una decina di insegnanti a Pisa) si riuniva a casa Prodi, con Silvia sempre presente. Si discuteva su tutto, all’inizio sull’impianto complessivo dei libri e poi via via fino ai minimi dettagli di una dimostrazione, su come gestire le sovrapposizioni che necessariamente sarebbero emerse, come utilizzare il computer e i relativi algoritmi, cosa modificare della vecchia versione e cosa aggiungere.

In queste occasioni venivano fuori le qualità umane di Prodi, la capacità di ascolto, di riflessione, la lucidità, l’attenzione al rigore, la fiducia che riponeva in tutti noi, la capacità di aggregazione del gruppo e veniva fuori anche la estrema fermezza delle proprie convinzioni, molto difficile da scalfire. Io non ho mai imparato tanto come in quegli anni. E’ stata la migliore formazione professionale che mi sia mai capitata.

La formazione

A questo proposito va ricordato l’impegno di Prodi per la formazione degli insegnanti: in particolare nel 1984 organizzò un seminario residenziale (ora si chiamerebbe così), in realtà un ritiro di più giorni in un convento sopra Prato, vita spartana ma splendida vista sul Bisenzio:

è la seconda volta che le decisioni vengono prese in un convento: non sarebbe giusto imputare questa consuetudine alla sua indiscussa fede religiosa, credo piuttosto che considerasse il clima del convento quello giusto per pensare con la dovuta concentrazione e calma a progetti di lunga portata.

Per partecipare occorreva produrre una relazione su un’attività didattica svolta; non eravamo in molti ma fu un’esperienza molto bella in cui si alternarono relazioni di professori universitari alle comunicazioni di noi insegnanti, e il livello professionale era complessivamente molto alto. Fu il prototipo di una lunga serie di convegni annuali, i convegni del GFMT, i cosiddetti convegni di Viareggio, (per la sede utilizzata in seguito), in cui il format era sempre lo stesso, relazioni ufficiali, comunicazioni e lavori di gruppo.

Ora sembra ovvio, tutti i convegni sono fatti così, ma allora non lo era e comunque la cosa importante era che si proponessero esperienze dirette e che si parlasse di argomenti specifici, di matematica, fisica, storia della matematica, linguaggio della matematica; insomma una didattica fatta di contenuti e non di parole.

I convegni, che ora hanno il nome ‘Giovanni Prodi’ esistono ancora e si attuano annualmente a Lucca.

La fine del percorso

scoprire-la-matematicaI libri nuovi dal titolo ‘scoprire la matematica’ uscirono, un po’ alla volta, dal 2003 in poi, sembravano ben accolti e forse avrebbero potuto avere vita più gloriosa se non ci fossero state difficoltà editoriali che ne hanno sancito la fine prima del decollo.

Va detto che nel frattempo la situazione generale nella scuola era cambiata, quei venti di novità erano caduti, erano cresciute le attività inerenti la gestione della scuola, erano esplose parole magiche, conoscenze, abilità, competenze che andavano riempite di significati, in un abuso di parole e documenti; le energie degli insegnanti si frantumavano in tanti rivoli di attività generiche e progetti extra curricolari a scapito dell’attività specifica disciplinare che inevitabilmente si riduceva a una riproduzione del già fatto, in una sorta di guida col pilota automatico.

Nei voluminosi libri attuali la teoria potrebbe non esserci (talvolta è anche sbagliata), e comunque nessuno la legge, basterebbe un esercizio risolto e una lunga serie di esercizi tutti uguali

In compenso sono riemersi dal passato antichi spettri quali la regola di Ruffini (quella con le righe) e il radicale doppio.

La storia ci insegna che ci sono i flussi e i riflussi, aspettiamo il nuovo flusso.

Pisa  dicembre 2017 Donata Foà

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