Da piccoli si gioca spesso con i cubi (mattoncini, costruzioni), da adulti si può continuare a giocare con i cubi (dadi), da ricercatori (forse una posizione intermedia tra il fanciullo e l’adulto?) per continuare a giocare con i cubi talvolta si trovano motivazioni scientifiche ed artistiche.
Il cubo, o esaedro, è forse il più noto dei solidi platonici, ma anche gli altri quattro, il tetraedro, l’ottaedro, il dodecaedro e l’icosaedro, riescono a esercitare un indiscutibile fascino.
Ho potuto osservare una versione musicale del dodecaedro nel corso dell’ultima Conferenza NIME, New Interfaces for Musical Expression. La NIME 2018 si è svolta negli Stati Uniti, presso il Virginia Tech (figura 1), in un bellissimo campus immerso nel verde. Per quasi una settimana è stata una ininterrotta successione di eventi all’insegna della fantasia sui temi della musica e della tecnologia: presentazioni, demo, concerti, spettacoli. Anche se non si trattava di una conferenza riguardante specificamente la matematica o la matematica applicata, era evidente come lo spirito matematico serpeggiasse qua e là, e di tanto in tanto emergesse apertamente.
Al dodecaedro si sono ispirati i creatori del “Telemetron” (figura 2a), uno strumento musicale in grado di suonare in ambienti con gravità ridotta e perfino a gravità zero. Il telemetron è dotato di giroscopi e sensori wireless che ‘captano’ la rotazione dello strumento durante il moto sospeso a gravità zero. I sensori trasmettono quindi le informazioni a un sintetizzatore, il quale converte le variazioni di posizione in un suono di percussioni molto piacevole.
Perché proprio la forma di dodecaedro? Da un punto di vista funzionale, per minimizzare le parti sporgenti, ma anche perché la forma geometrica del dodecaedro è bella e positivamente evocativa, come veniva spiegato durante la presentazione.
Nel caso del Telemetron, la matematica interviene nella geometria iniziale, nello studio della fisica, e come linguaggio di raccordo nel mapping fra posizione e suono. Le prime registrazioni musicali in assenza di gravità sono state effettuate durante alcuni voli parabolici, utilizzati dagli astronauti per simulare l’assenza di gravità.
La figura 2b mostra il telemetro con i suoi creatori, Sands Fish e Nicole L’Huillier, entrambi del MIT (figura 2).
Tuttora lo strumento suona solo in assenza di gravità. Si potrebbe forse associare a questo la diffusa opinione secondo cui matematici ed artisti raramente stanno con i piedi per terra?
La matematica aiuta notevolmente a studiare le caratteristiche del suono, basti pensare all’analisi di Fourier per investigare lo spettro di uno strumento, e come tale spettro vari nel tempo caratterizzandone il timbro. E’ possibile trasformare progressivamente il suono di uno strumento nel suono di un altro strumento: è il ‘morphing’ (anamorfosi) sonoro. Alla NIME è stato presentato un programma che permette di manipolare graficamente le armoniche. Si tratta dello spectral editing di Lars Engeln (figura 3). Un software che potrebbe facilmente accendere gli entusiasmi degli studenti di un corso introduttivo all’analisi di Fourier!
Ma non solo i software, alla NIME, ma anche gli strumenti classici, in particolare uno dei più classici: il clavicembalo.
Nel lontano 1855, l’italiano Giuseppe Ravizza applica la tecnologia del clavicembalo alla scrittura, creando il ‘cembalo scrivano’, un antenato della macchina da scrivere. Pigiandone i tasti, non si ottengono note, ma si stampano lettere (figura 4a). Ora, la trasposizione di una tecnica sviluppata per risolvere un problema in un certo ambito, ad un problema diverso presente in un altro ambito, può essere studiata alla luce di una teoria matematica: la teoria delle categorie. il ‘ponte’ costruito da A a B potrebbe essere opportunamente trasformato in un ‘ponte’ da A’ a B’, date certe trasformazioni da A ad A’, e da B a B’.
Alla NIME, l’idea del cembalo scrivano è stata rivisitata e invertita. Partendo infatti dalla macchina da scrivere, Giacomo Lepri ed Andrew McPherson hanno creato un nuovo strumento musicale: dei sensori di movimento rilevano la pressione sui tasti e la convertono in segnale digitale tramite il sistema Arduino. Inviano quindi l’informazione al software Max/MSP per la produzione del suono, ed attivano un meccanismo di luci LED che consente all’interprete di ottenere un feedback visivo (figura 4b). Un’‘inversione’ da musica/scrittura in scrittura/musica che potrebbe essere dettagliatamente studiata sotto l’aspetto matematico.
Se alcuni sensori possono rilevare la pressione sui tasti, altri sensori (tecnologia Myo Mapper) possono direttamente rilevare la tensione muscolare delle braccia umane. E certi programmi possono trasformarla in suono. I lavori di molti studiosi, fra cui Alexander R. Jensenius, Atau Tanaka, Balandino Di Donato, Jamie Bullock, vanno in questa direzione.
E, guarda caso, ritroviamo la matematica nella strategia di mapping fra informazioni non-sonore e suoni.
Qualche altro esempio, ancora sul versante di tradizione e classicità: il mandolino e il canto lirico. In uno dei concerti è stata proposta una versione ‘smart’ del mandolino, in grado di rielaborare gli input trasmessi dall’interprete — musica eseguita in modo estemporaneo — e di creare dei contrappunti manipolando, per mezzo dell’intelligenza artificiale, un dizionario di melodie esistenti, proprio come un dialogo fra diversi musicisti (demo di Luca Turchet e Mathieu Barthet; ideazione e performance di Luca Turchet).
L’innovazione e la creatività non trascurano neanche settori che si fondano in gran parte sulla tradizione, come la danza. In uno dei concerti che la NIME ha proposto, le movenze di una danzatrice, invece di seguire il ritmo musicale, ne erano, per dir così, l’origine. I sensori applicati infatti al corpo dell’artista trasmettevano impulsi a braccia robotiche che a loro volta azionavano delle percussioni (ideazione e realizzazione di Aurie Hsu e Steven Kemper).
Degno di nota anche un singolare e straordinario dialogo fra tradizione e modernità, attraverso contaminazioni tra voce lirica ed elettronica, proposto da Pamela Z nel corso del suo keynote.
Per chiudere questa sintetica carrellata, il monocordo di pitagorica memoria, uno dei passi obbligati nello studio di matematica e musica, oggetto di una moderna rilettura. Grazie a un software pedagogico, attraverso l’uso di LeapMotion, si può suonare lo strumento in modo virtuale. Si possono inoltre sperimentare diversi suoni modificando proporzioni e rapporti musicali (Kosmas Kristis e coautori).
Tutto questo, e molto altro ancora, può essere trovato fra gli atti del convegno della conferenza: http://www.nime.org/archives/.
Alla NIME 2018 personalmente ho partecipato con un’applicazione musicale riguardante un cubo speciale: il cubo di Rubik. Il cubo di Rubik è certamente uno dei giocattoli più diffusi al mondo. Il prof. Rubik lo aveva pensato a scopo didattico, come un utile strumento per spiegare ai suoi allievi una cosa molto astratta: la teoria dei gruppi e le permutazioni.
Ma cos’è la teoria dei gruppi? Riguarda un ramo della matematica che studia, appunto, i cosiddetti ‘gruppi’. Un gruppo è dato da un insieme e da un’operazione binaria su di esso, avente come input due elementi dell’insieme, e come output un elemento appartenente allo stesso insieme. L’operazione deve anche verificare altre proprietà: associatività, identità, e invertibilità. Nel cubo di Rubik, l’insieme è dato dal cubo stesso con le sue faccette colorate; le operazioni sono le rotazioni che mescolano le faccette producendone delle permutazioni. Il ‘gruppo di Rubik’ è dato dall’insieme di tutte le possibili rotazioni.
Il classico cubo di Rubik, nella versione 3x3x3 (la versione 2x2x2 esisteva già prima che se occupasse il prof. Rubik) ha sei facce con nove quadratini su ciascuna di esse. I ‘pezzi’ si distinguono in: faccette angolari (otto, con tre adesivi su ciascuna), faccette laterali (dodici, con due adesivi su ciascuna), faccette centrali (sei, con un adesivo su ciascuna). (Vedi figura 5a). Le simmetrie del cubo di Rubik, così come le permutazioni possibili e quelle impossibili, sono discusse in dettaglio nei manuali per le tecniche di risoluzione, e negli articoli sull’analisi matematica del cubo. Il cubo di Rubik, infatti, è stato sempre oggetto di numerose e serissime pubblicazioni scientifiche.
Che succede se si volesse utilizzare il cubo per far musica?
E’ noto che i compositori di diverse epoche sono stati attratti dalle risorse della matematica combinatoria applicata alla musica: si pensi al gioco di dadi di Mozart, o, in tempi più recenti, a certe variazioni dodecafoniche. Il principio è il seguente: ottenere la massima varietà a partire dal più semplice materiale iniziale.
Per trasformare il cubo di Rubik in una sorta di oggetto musicale, inizialmente facciamo corrispondere dei suoni ad ogni faccia del cubo; assegniamo quindi ad ogni faccia una diversa sequenza di accordi appartenente ad uno stile musicale diverso. Ruotando le parti del cubo mescoleremo anche gli stili musicali di ogni singola faccia.
Ecco nato il CubeHarmonic, Cubarmonico in italiano, nella versione originale 4x4x4 (vedi figura 5b).
Con il CubeHarmonic è possibile non solo eseguire sequenze random, ma anche sperimentare nuove combinazioni mantenendo un certo grado di controllo sullo strumento.
Per praticità, si può utilizzare un cubo 3x3x3 avente, su ogni faccia, non una sequenza di accordi ma un solo accordo, con opportuni raddoppi (note ripetute).
Qual è la simmetria di questo ‘gadget’ per musicisti?
Se si considera l’associazione colore = accordo, la simmetria è inalterata. Questo implica l’esecuzione simultanea delle note su ogni faccia. Considerando la possibilità di un’esecuzione melodica delle note dello stesso accordo (una dopo l’altra), la simmetria viene meno con l’aumentare delle note diverse: un quadrato e la sua rotazione di 90° saranno diversi, perché diversa è la sequenza melodica prodotta.
La figura 6 mostra un cubarmonico prima e dopo una rotazione della faccia frontale, di colore rosso. Al colore rosso corrisponde, in questo esempio, un accordo di Do maggiore con alcuni raddoppi. Se le note sono eseguite simultaneamente, il suono è identico indipendentemente dalla rotazione. Se le note sono eseguite consecutivamente, ad esempio nell’ordine mostrato dalla freccia, la melodia ottenuta sarà distinguibile fra i due casi.
Un teorico della musica può vedere nel CubeHarmonic una tonnetz a tre dimensioni [https://www.mathisintheair.org/wp/2017/11/la-matematica-puo-aiutare-a-comporre-la-musica-parte-2/]; un compositore può vedervi uno strumento per improvvisare e comporre, scegliendo opportunamente le note su ogni faccia come materiale iniziale.
Altri dettagli tecnici sul Cubarmonico sono forniti negli atti del convegno NIME, così come la discussione su altri esperimenti fra cubi e musica condotti successivamente e in modo indipendente da questo studio http://www.nime.org/proceedings/2018/nime2018_paper0076.pdf.
La mia idea del Cubarmonico risale ad alcuni anni fa. Avevo inizialmente realizzato un primo prototipo con moduli sonori (del tipo usato nelle cartoline musicali), ma sorgevano difficoltà pratiche per il cambio della batteria.
Un nuovo prototipo è attualmente in corso di sviluppo in collaborazione con un gruppo di ricerca dell’Università di Tohoku a Sendai, in Giappone, guidato dal prof. Yoshifumi Kitamura. Ne fanno parte Eri Kitamura, Jiawei Huang, Ryo Sugawara e, ovviamente, la sottoscritta. Alla NIME 2018 lo stato attuale del progetto è stato illustrato in un poster che ha riscosso alquanto successo (figura 8).
Il gruppo di Sendai aveva già sviluppato, anteriormente, una tecnologia di motion tracking magnetico, applicato poi al cubarmonico. Il sistema (denominato IM3D) genera un campo magnetico, il quale investe piccoli marcatori (LC coils). Questi producono un campo magnetico risonante, la cui misurazione fornisce informazioni sulla posizione dei marcatori stessi. Un cubo di Rubik appositamente stampato in 3D e con spazi interni per i marcatori (vedi figura 7a, in basso), consente il rilevamento della posizione delle singole faccette. L’informazione è mappata in suono, permettendo di ascoltare ‘come suona’ una specifica faccia del cubo dopo ogni rotazione.
Video di spiegazione del cubarmonico
La posizione delle faccette è trasmessa anche a un software di realtà virtuale, che consente di visualizzare in tempo reale la configurazione del cubo e, cosa utile per il musicista, anche il nome delle note (vedi figura 7a, in alto). Questo permette di individuare le combinazioni in arrivo, agevolando l’esecuzione al “cubista” e agli altri musicisti con lui impegnati nell’esecuzione (vedi figura 7b).
Non è soltanto la posizione delle singole faccette ad essere mappata in suono, ma anche la posizione del centro di massa del cubo rispetto al piano. L’esecutore può, infatti, attraverso un movimento avanti/indietro e destra/sinistra sul piano, manipolare lo spostamento complessivo dei pitch verso il grave o verso l’acuto, e lo spostamento complessivo dell’intensità del suono verso un maggiore o minor volume.
Non è necessario saper risolvere il cubo per ritornare alla configurazione iniziale: infatti, il software può azzerare le rotazioni effettuate, anche se il cubo fisico rimane mescolato.
Nello sviluppo del progetto si prevedono nuove funzioni musicali e nuove performances, ed inoltre una app per telefonino.
La nascita e l’iter del cubarmonico testimoniano l’assunto iniziale, ossia come la geometria e la teoria dei gruppi possano ispirare e permeare lo sviluppo tecnologico e musicale.
C. V. D. Come Volevasi Dimostrare.
picture credits:
- fig. 1: Maria Mannone
- fig. 2: articolo di Sands Fish e Nicole L’Huillier
- fig. 3: articolo di Lars Engeln
- fig. 4: (a) Wikipedia, (b) articolo di Giacomo Lepri ed Andrew McPherson
- fig. 5: (a) web, (b) Maria Mannone
- fig. 6: M. Mannone
- figg. 7 ed 8: prof. Yoshifumi Kitamura
This work is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-ShareAlike 4.0 International License.
Ancora nessun commento