Dante, Gaudí, Dalí:
un dialogo fra geometria, natura e fede

di Maria Mannone

“Nel mezzo del cammin di nostra vita…”
Forse la prima cosa che questi versi fanno venire in mente è una lezione al Liceo, oppure una lettura alla Benigni.
L’ultima volta che mi sono ritrovata a recitare questi versi ero in Virginia, in un pub americanissimo, al termine della NIME 2018, una conferenza di musica e tecnologia. Nella recitazione mi alternavo con due simpatici colleghi italiani, anche loro partecipanti alla conferenza. Il ‘pubblico’ era costituito da ricercatori americani, neozelandesi, francesi, brasiliani, molti dei quali conoscevano poco o nulla della lingua italiana, estasiati tutti da quelle parole senza tempo che risuonavano magicamente.

Se il suono delle parole di Dante affascina anche chi non parla l’italiano, il senso e i contenuti di quelle parole continuano a stimolare il pensiero di innumerevoli studiosi. E fra gli studiosi, anche dei matematici.

I versi riguardanti la cosmologia non sono certamente i più noti della Divina Commedia fra il grande pubblico, né sono i più facili da leggere. Essi, tuttavia, possono celare dei significati da rivedere alla luce della n-geometria. In tempi diversi, un fisico statunitense e un fisico rumeno hanno tentato di rileggere un passo del Paradiso alla luce del concetto di ipersfera.
I due fisici in questione sono M. A. Peterson (1978), il cui pensiero è stato ripreso in un articolo da William Egginton, professore a Stanford – e H. R. Patapievici, autore di “Gli occhi di Beatrice. Com’era davvero il mondo di Dante?”, pubblicato nel 2004 e tradotto in italiano nel 2006.
Questo affascinante argomento è raccontato nel recente libro “Geometrie senza limiti”, scritto da due matematici dell’Università di Roma Tor Vergata, Laura Catastini e Franco Ghione.

La cosmologia dantesca presenta due sfere, una relativa al mondo terreno, e l’altra al mondo ultraterreno. La prima contiene altre sfere concentriche, rispettivamente costituite da: Primo Mobile, Stelle Fisse, Saturno, Giove, Marte, Sole, Venere, Mercurio, Luna, e quindi la Terra, considerata come un punto al centro. La seconda contiene anch’essa alcune sfere concentriche, rispettivamente costituite da: Primo Mobile, Angeli, Arcangeli, Principati, Podestati, Virtudi, Dominazioni, Troni, e Dio come un punto al centro (Figura 1).

Leggiamo nel testo dantesco:
[…]
così la mia memoria si ricorda
ch’io feci riguardando ne’ belli occhi
onde a pigliarmi fece Amor la corda.                        

E com’io mi rivolsi e furon tocchi
li miei da ciò che pare in quel volume,

quandunque nel suo giro ben s’adocchi,                      

un punto vidi che raggiava lume
acuto sì, che ‘l viso ch’elli affoca

chiuder conviensi per lo forte acume;

[Paradiso, XXVIII, vv. 10-18]

Questi ordini di sù tutti s’ammirano,
e di giù vincon sì, che verso Dio

tutti tirati sono e tutti tirano.

[Paradiso, XXVIII, 127-129]

Dio, quindi, è rappresentato come un punto che attira tutte le gerarchie celesti. Dal Primo Mobile in poi, le sfere del mondo ultraterreno sono concentriche e rimandano al centro, dove Dante immagina si trovi Dio. Le altre sfere, quelle relative al mondo terreno, hanno un altro centro, la Terra, coerentemente con la concezione medievale geocentrica. La sfera più esterna in entrambi i casi è la stessa: il Primo Mobile. Com’è possibile?

Immagini da "Geometrie senza limiti" di L. Catastini e F. Ghione (uso autorizzato)

Figure 1 e 2. Immagini da “Geometrie senza limiti” di L. Catastini e F. Ghione, Il Mulino, Bologna, 2018 (utilizzo autorizzato)

 

Il paradosso si potrebbe risolvere considerando una ipersfera, dove il collegamento è dato dalla sfera in questione.
In “Geometrie senza limiti” il concetto è discusso per via grafica. Consideriamo i paralleli su una sfera: si parte da un punto (polo Nord), e il punto diventa un cerchio (o meglio, una circonferenza sulla superficie della sfera) via via più largo fino all’Equatore; in seguito, via via più stretto fino a ridiventare un punto al polo Sud (Figura 2).

Ora, i cerchi stanno alla sfera come […] le sfere stanno all’ipersfera. Se consideriamo una collezione di sfere dalla più piccola alla più grande e poi di nuovo ad una piccola come la prima, abbiamo un equivalente dei paralleli, ma con una dimensione in più.
Come riportato in “Geometrie senza limiti”, vi è un altro passo dantesco che sembra alludere alla geometria non euclidea:

o se del mezzo cerchio far si puote
trïangol sì ch’un retto non avesse.

[Paradiso, XIII, 101-102].

Il che rimanda noi lettori moderni a un triangolo non euclideo. Questo sembrerebbe avvalorare la tesi di Imre Toth (autore de “Aristotele e i fondamenti assiomatici della geometria”), per cui la cultura medioevale poteva in qualche modo già conoscere la geometria non euclidea (“Geometrie senza limiti”, pagina 204).
Sarà vero?

Dante torna ancora una volta alla geometria nella conclusione della sua Commedia. Ecco una metafora in cui si fondono geometria, impegno per una dimostrazione, visione e intuizione:

Qual è il geomètra che tutto s’affige
per misurar lo cerchio, e non ritruova,

Pensando, quel principio ond’egli indige:

Tale era io a quella vista nuova:
Veder voleva come si convenne

L’imago al cerchio, e come vi s’indova:

Ma non eran da ciò le proprie penne:
Se non che la mia mente fu percossa
Da un fulgore, in che sua voglia venne.

All’alta fantasia qui mancò possa:
Ma già volgeva il mio disìro e ’l velle,
Sì come ruota che igualmente è mossa,

L’Amor che muove il Sole e l’altre stelle.

[Paradiso, XXX, vv. 133-145]

Al tempo di Dante la n-geometria non era nota, ma nel Novecento tanti nuovi concetti scientifici, e matematici in particolare, hanno stimolato la fantasia degli artisti, anche di quanti sceglievano di dedicarsi a temi classici dell’arte occidentale, come la Crocifissione.

Passiamo dalla geometria della sfera alla geometria del cubo.
Se il cubo è un solido che può essere studiato, è forse possibile, per rappresentare visivamente la divinità di Cristo, partire da esso per ‘trascenderlo’, arrivando all’ipercubo?

Cristus Hypercubus, dipinto di Salvador Dalì

Figura 3 Cristus Hypercubus, dipinto di Salvador Dalí. Da Wikipedia

Sarà stato probabilmente questo il ragionamento che ha portato il pittore spagnolo Salvador Dalí a dipingere il Corpus Hypercubus (Figura 3), che, lungi dall’interessare solo gli studiosi di arte contemporanea, fa talvolta capolino fra le pagine di serissimi testi universitari di geometria. Se raffiguriamo lo sviluppo del cubo sotto forma di quadrati, lo sviluppo dell’ipercubo conterrà cubi. Se immaginiamo la Croce come composta da sei quadrati proprio come nello sviluppo del cubo, allora una Iper-Croce sarà formata da otto cubi, lo sviluppo dell’ipercubo. E Dalí propone proprio una Iper-croce, appartenente al mondo a quattro dimensioni spaziali, rappresentata nel mondo a tre dimensioni spaziali attraverso il suo sviluppo in otto cubi. L’ipercroce di Dalí costituisce lo sviluppo del cosiddetto ‘tesseratto’, l’ipercubo in quattro dimensioni, dall’inglese tesseract [https://it.wikipedia.org/wiki/Tesseratto_(geometria)]. Nel dipinto, inoltre, il pavimento è rappresentato come una scacchiera, tranne in corrispondenza dell’ombra della croce. E l’ombra dello sviluppo della croce ipercubica sul piano ad essa ortogonale è una croce greca!
La matematica moderna strizza l’occhio all’arte sacra e classica.

Dalí ha risolto in modo brillante il problema nel caso dell’ipercubo, immaginando una realtà a quattro dimensioni all’interno di un mondo a tre dimensioni raffigurato su una superficie a due dimensioni: N, N-1, N-2. Una pietra miliare dei rapporti arte/scienza, e cioè la nascita della prospettiva scientifica nel Rinascimento e in seguito della geometria proiettiva, era stata motivata dalla risoluzione di un problema pratico analogo: come rappresentare in modo realistico un mondo a tre dimensioni su una superficie di due. Quando le dimensioni passano da tre a quattro, sorgono seri problemi di rappresentabilità. L’aggiunta di dimensioni fa anche sorgere domande sui limiti della fantasia umana e della sua capacità di visualizzazione.

In generale, l’n-geometria pone delle sfide alle nostre abilità di rappresentazione, ma il pensiero matematico sembra non conoscere limiti. Dunque il pensiero matematico trascende la natura visibile? Oppure è in continuo dialogo con essa, e anche con le arti?

Il nostro stupore verso le 4+ dimensioni spaziali si potrebbe paragonare allo sgomento degli abitanti di un mondo a due dimensioni di fronte all’idea di oggetti a tre dimensioni; un mondo dove l’arrivo di una sfera getta scompiglio e incredulità.
“Upward, not northward!” era l’esclamazione di uno dei personaggi del romanzo “Flatlandia” mentre tentava di spiegare ad un suo compagno di ‘piattitudine’ l’esistenza di un’altra direzione spaziale, verso l’alto, una dimensione che il compagno non era neanche in grado di immaginare. Un po’ come noi non possiamo (del tutto) rappresentare 4+ dimensioni, perché i nostri occhi vivono nelle 3 dimensioni spaziali. E’ interessante notare che l’autore di  Flatlandia, Edwin Abbott Abbott, era un pastore anglicano, noto per le moltissime pagine dedicate ad argomenti religiosi. Per inciso, Abbott Abbott fu anche un grande sostenitore del suffragio femminile nella Gran Bretagna di fine Ottocento; ma questa è un’altra storia.

Un altro artista, e proprio come Dalí un altro artista spagnolo (e un altro catalano in particolare), ha incluso prepotentemente la matematica, e anche la natura, nella sua opera di carattere religioso: Antoni Gaudí, un geniale architetto che ha contribuito a rendere colorato e unico l’aspetto di Barcellona.
Il piccolo Antoni soffriva di dolori reumatici ed era costretto a restare fermo per molte ore. La madre, per tener desta la sua attenzione e per suscitare il suo entusiasmo, cercava di fargli notare le meraviglie della natura che lo circondavano. L’elemento naturale sarebbe poi entrato nell’opera architettonica del Gaudí adulto come un elemento essenziale. Ed ecco le volte di un edificio (casa Battló) a lisca di pesce, ed ecco il caminetto a forma di fungo, o lo spazio per il lampadario a forma di splash (Figura 4). Lo splash non è casuale. Gaudí ben conosceva gli studi di D’Arcy Wentworth Thompson, un altro geniale pensatore inglese di fine Ottocento, autore di “Crescita e forma” (On growth and form) dove, ad esempio, la forma delle meduse è confrontata proprio con quella di uno splash: una goccia che cade su una sottile lamina di latte genera un anello di piccole goccioline. In altre pagine della stessa opera, lo scheletro dei mammiferi è paragonato ad un ponte, e le forme di pesci diversi sono idealmente trasformate le une nelle altre grazie a deformazioni di coordinate. Se D’Arcy Thompson ricerca la geometria nascosta nella natura, Gaudí applica queste e molte altre idee in modo creativo per risolvere problemi architettonici all’interno di soluzioni innovative ed esteticamente geniali.

Soffitto di casa Battló; architettura di Antoni Gaudí. Fotografia di Maria Mannone

Figura 4 Uno ‘splash’ nel soffitto di casa Battló; architettura di Antoni Gaudí. La ricostruzione del lampadario è stata effettuata per mezzo di un software di realtà virtuale messo a disposizione durante la visita. Fotografia di Maria Mannone

 

Gaudí si ispira a pesci, draghi, creature esistenti e immaginarie, e alla foresta. E inserisce proprio una foresta all’interno di una cattedrale. Sì, perché l’ultima cattedrale dell’Europa cristiana, la Sagrada  Família, è una sorta di monumento alla natura. E alla matematica! Nella Sagrada Família, le volte sono ispirate ai tronchi e alle fronde di alberi (Figura 5), che si “auto-sostengono”: infatti, pur essendo una cattedrale sostanzialmente gotica, la Sagrada non ha bisogno di contrafforti esterni, di archi rampanti. I suoi sostegni sono… alberi matematici: una struttura portante che si ramifica in due, poi ancora in due e così via.

Le strutture ad albero racchiudono un significato simbolico: il “sacro”, all’interno della cattedrale, è rappresentato dallo spazio stesso. Lo spazio non è quindi un contenitore, ma diviene esso stesso oggetto di studio e di devozione. E sappiamo come il concetto di spazio sia centrale nella fisica e nella matematica contemporanee. I continui riferimenti alla natura sottolineano inoltre l’importanza della connessione e fra l’uomo e il Creato, tema di particolare attualità e drammaticità, in tempo di deforestazioni selvagge e cambiamenti climatici.

Gli alberi di Gaudí contengono riferimenti ad altre forme della natura, quali i microscopici radiolari (Figura 7), come evidenziato in un testo di Jordi Cussó I Anglès, “Gaudí’s Sagrada Família: a Monument to Nature”, e a varie forme matematiche, come gli iperboloidi per le basi delle colonne e nella congiunzione fra colonne e navata, dove le volte si fondono con la forma stessa degli alberi. Le forme della natura sono studiate, modellizzate matematicamente, e stilizzate nella creazione artistica.

Sagrada Família, fotografia di Maria Mannone

Figura 5 Sagrada Família di Antoni Gaudí, dettaglio di una navata. Fotografia di Maria Mannone

 

Radiolaria, disegno di Ernst Hackel, da Wikipedia

Figura 7 Radiolaria, disegno di Ernst Hackel, da Wikipedia

In sintesi, la Sagrada Família è una sorta di tempio della natura: la natura non è soltanto un elemento decorativo ma sostanziale; e la matematica è come l’ossatura, la struttura nascosta dietro la varietà delle forme naturali.
Una piccola nota personale: ho un senso di gratitudine verso il genio di Gaudí, poiché la mia personale ricerca tra immagini, matematica e musica è iniziata proprio con un tentativo di sonificazione delle guglie della Sagrada.

Cosa ci trasmettono Dante, Gaudí e Dalí? Forse possiamo provare ad esprimere la trascendenza attraverso un superamento della geometria visibile, oppure attraverso la perfezione della geometria: solidi platonici, figure regolari, e così via. Ad esempio, Gaudí evita sistematicamente le linee rette se non in riferimento alla perfezione divina. Un po’ come qualcosa a cui l’uomo anela in modo… asintotico, come diremmo in termini matematici.

Anche fuori dal Cristianesimo, la geometria assume spesso una forte connotazione simbolica e religiosa: si pensi agli arabeschi e alle strutture intricate delle moschee, agli armoniosi mandala tibetani, o ancora ai chakra induisti, che collegano geometria e corpo umano. Dalle forme astratte alle simmetrie umane, alle geometrie di fiori, il dialogo fra natura sensibile e pensiero geometrico sembra un leit motiv che unisce culture, religioni, stili di pensiero diversi.

Geometrie perfette possono rimandare ad un mondo ‘altro’ anche chi non crede, o possono indirizzare alla ricerca di qualche tipo di legame nascosto fra idee astratte, di stampo platonico, e natura sensibile.

Dalla concretezza della natura all’astrazione della matematica, dal rigore della scienza all’impalpabilità della fede, il passo a volte può apparire breve. Il dialogo è costantemente attivo e acceso. Ne è una prova la reazione opposta di due eminenti personalità alla scoperta del DNA. Nel testo “La raison du fou – Dalí et la science” di Vincent Noce, è brevemente narrato l’incontro fra Dalí e James Watson, uno degli (ufficiali) scopritori del DNA. Watson aveva indirizzato a Dalí la seguente richiesta: “Le second homme le plus brillante au monde souhaiterait voir le premier”. Ecco il resoconto dell’incontro, secondo Noce:

I due uomini ebbero piacere di incontrarsi, ma il ricercatore fu un po’ spaventato nel sentire che, secondo il suo interlocutore, i suoi lavori provavano l’esistenza di Dio. Egli pensava il contrario: << Con una doppia elica […] [non c’è] alcun bisogno di Dio! >>  Questo disaccordo non impedì al suo interlocutore di illustrare la copertina del racconto della sua scoperta, che stava per pubblicare nel 1968, La doppia elica.
[traduzione di M. Mannone dal francese]

Dalí e Watson erano almeno concordi nell’apprezzare la geometria della doppia elica con il suo potere evocativo.

Per concludere, ecco cosa scriveva D’Arcy Thompson sulla natura e la matematica:

L’armonia del mondo si manifesta nella forma e nel numero, e il cuore e l’anima e tutta la poesia della filosofia naturale si incarnano nel concetto di bellezza matematica. Tale è la perfezione della bellezza matematica che ciò che più è aggraziato e regolare, insieme è più utile e perfetto.

Chissà che, dopo questo brevissimo viaggio tra fantasia matematica, natura e fede, le pagine di un testo scolastico di geometria e algebra possano in qualche modo apparire come le porte verso un mondo segreto da scoprire. E così sia (o almeno così ci auguriamo che possa essere!)

Bibliografia (in italiano, inglese, francese e catalano)

Edwin Abbott Abbott, Flatland: a Romance of Many Dimensions, edition with notes and commentaries (William F. Lindgren e Thomas F. Banchoff), Cambridge University Press and AMS, 2010; il testo nasce come una satira sociale dell’Inghilterra vittoriana, e diventa in seguito un classico della letteratura e della matematica.à

Jordi Bonet I Armengol e Armand Puig I Tàrrech, Arquitectura i símbol de la Sagrada Família, Pòrtic Singular, 2013

Laura Catastini e Franco Ghione, Geometrie senza limiti, i mondi non euclidei, il Mulino, 2018

Jordi Cussó I Anglès, Gaudí’s Sagrada Família: a Monument to Nature, Editorial Milenio, 2010

D’Arcy Wentworth Thompson, On Growth and Form, an abridged edition edited by John Tyler Bonner, Cambridge University Press, 1966. Traduzione italiana:
Crescita e Forma, La geometria della natura, Bollati Boringhieri, 2016

William Egginton, On Dante, Hyperspheres, and the Curvature of the Medieval Cosmos, Journal of the History of Ideas, vol. 6, n. 2, pp. 195-216, 1999

Michael Henle, Modern Geometries: Non-Euclidean, Projective, and Discrete, 2nd Edition, Prentice Hall, Upper Saddle River, New Jersey, 2001; il testo contiene anche riferimenti alle arti e alle domande filosofiche sul significato della geometria e dello spazio.

Maria Mannone,  Dalla Musica all’Immagine, dall’Immagine alla Musica, Compostampa, Palermo 2011; il testo contiene partitura e spiegazioni sulla musica derivata dalle guglie della Sagrada.

Vincent Noce, La raison du fou – Dalí et la science. Éditions du Centre Pompidou, Paris, 2012

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