Pubblichiamo il secondo contributo sulla tematica della  teoria delle stringhe di Giordano Colò. Il primo è disponibile a questo link.


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Le sei dimensioni nascoste

Ci eravamo lasciati con una serie di accenni a strutture e concetti utili per inquadrare meglio il campo della Teoria delle stringhe e della simmetria speculare dal punto di vista matematico.

Prima di iniziare focalizziamo di nuovo l’obiettivo.

I fenomeni fisici ci pongono di fronte a nuove sfide, in questo caso l’evidenza di simmetrie ancora misteriose. La matematica ha il potere di esplorare e connettere mondi differenti.

Il punto che ci interessa è lo scambio proficuo tra i due campi: la realtà pone continuamente delle domande, la teoria quantistica e la teoria delle stringhe danno spiegazioni intuitive e a volte imprecise (dovute all’obiettivo intrinseco della materia), la matematica formalizza e rende rigorose le strutture e queste strutture prendono due direzioni:

  • sono nuova linfa od origine di sviluppi in campi esclusivamente matematici;
  • “ritornano” nel mondo reale e danno impulso a nuove idee fisiche.

Per fare un esempio concreto di una simmetria e dualità di teorie in fisica basti pensare al più famoso: il dualismo onda-particella.

L’elettrone può essere considerato sia un’onda sia una particella. Il fenomeno fisico è unico, il punto di vista presenta due prospettive ugualmente giuste che dipendono dalla natura della domanda e non dalla natura dell’elettrone: in alcuni casi è più utile considerarlo una particella, in altri un’onda. Allo stesso modo, la simmetria speculare offre due “viste” ugualmente valide sulla geometria quantistica e, in ultima analisi, sulla realtà che essa descrive.

Equazione di campo nel vuoto

Prima di arrivare alla simmetria speculare nella terza e ultima parte di questi articoli, vorrei soffermarmi sugli spazi di Calabi-Yau introdotti nel precedente intervento: iniziamo a nuotare negli oceani invisibili a sei dimensioni nascosti nell’Universo.

Per iniziare a dare le prime bracciate in acque basse e tranquille bisogna ripartire dall’equazione di campo di Einstein.

Primo punto: la gravitazione non è da considerarsi una forza, ma solamente una curvatura dello spaziotempo. Questo è un argomento-cardine della concezione di Einstein. Quali conseguenze?

Per funzionare, quest’idea deve liberarsi dalla dipendenza da coordinate privilegiate. Badate bene, questo non significa che devo eliminare la concezione di coordinate ma, cosa molto più sottile, che le equazioni della teoria non devono dipendere dalla scelta di queste. Nello specifico della teoria di Einstein potrei usare le coordinate di Minkowski per misurare le distanze nello spazio in maniera molto semplice:

$$ds^2=dt^2-dx^2-dy^2-dz^2$$

La metrica sopra esposta è la privilegiata nello spazio piatto ma ovviamente non l’unica e, cosa fondamentale, non svolge nessun ruolo fisico. Come mai? Se un sistema di coordinate fosse quello privilegiato dalla Natura e ci fosse un “sistema di riferimento naturale”, allora perderei il principio di equivalenza e tornerei nel caso della “forza gravitazionale”. Questo è chiamato principio di covarianza generale.

Non resta che tradurre in equazione quanto detto. La domanda a cui rispondere è: come collegare la curvatura R dello spaziotempo con il tensore T di energia-quantità di moto?

Per i nostri scopi ci basti sapere che un tensore è un oggetto che ci consente di descrivere grandezze indipendentemente dalla scelta del sistema di riferimento. Pensate al tensore come ad una generalizzazione di vettori e matrici.

Ora proviamo a rispondere alla domanda. Un corpo che orbita nel campo gravitazionale della Terra è soggetto ad accelerazioni verso l’esterno in alcune direzioni e verso l’interno in altre, quelle che si chiamano forze di marea e che sono la manifestazione della curvatura dello spaziotempo. L’accelerazione verso l’interno è misurata da un tensore chiamato tensore di Ricci, che indichiamo con R (diverso dal grassetto usato prima). Uno degli obiettivi di Einstein è ritrovare la teoria standard di Newton quando ci avviciniamo al limite newtoniano di piccole velocità rispetto alla luce e campi gravitazionali deboli.

Quindi, avendo come premessa le idee delle forze di marea, della teoria standard di Newton per casi specifici, della curvatura dello spazio e del fatto che le equazioni devono valere per tutti gli osservatori per lo stesso evento, si arriva ad un’equazione di campo:

$$R_{ab}=-4\pi G T_{ab}$$

in cui G è la costante gravitazionale di Newton, R il tensore di Ricci e T l’energia-quantità di moto (che all’interno come componente 0 contiene la densità di massa, vista l’equivalenza $$E=mc^2$$ ).

L’equazione però ha un problema: c’è da considerare $$\nabla^aT_{ab}=0$$, cioè la conservazione della quantità dell’energia-quantità di moto. Einstein risolve apportando una correzione (dovuta all’identità di Bianchi, che va oltre gli scopi di questo articolo) e arrivando all’equazione di campo:

$$R_{ab}-\frac{1}{2}Rg_{ab}=-8\pi G T_{ab}$$

Qui il termine $$g_{ab}$$ indica la metrica usata.

Domanda sul caso particolare: e se non c’è materia? (Ricordate il mio precedente articolo e la questione posta da Calabi?).

Se non c’è materia, allora $$T_{ab}=0$$: siamo nel vuoto. L’equazione di Einstein diventa $$R_{ab}-\frac{1}{2}Rg_{ab}=0$$ , che implica:

$$R_{ab}=0$$.

Uno spazio con tensore di Ricci vuoto è detto spazio Ricci-piatto.

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Nuovi spazi, nuova fisica

Arriviamo dunque ai nostri spazi, che sono i costituenti nascosti dell’Universo così come teorizzato dalla Teoria delle stringhe.

Tutto nasce dall’intuizione del matematico Eugenio Calabi. L’episodio è indicativo di un modus operandi tipico della matematica: ho una condizione generale e la uso per trovare condizioni specifiche da applicare a tutto lo spazio. Calabi afferma, nel caso di una dimensione complessa (equivalente a due reali), che, di fronte ad una forma la cui curvatura media sia zero, posso trovare una geometria per cui la curvatura è zero ovunque. Il fisico Robert Greene disse a proposito: “State cercando la metrica che vi è stata assegnata da Dio”, riferendosi al fatto che, vedendo una metrica (e quindi una geometria), avrei potuto cogliere tutte le altre.

Come si lega questo all’equazione di Einstein?

Anche qui la condizione espressa da Calabi prevede che la curvatura di Ricci (sì, proprio lei!) sia mediamente pari a zero. Sorprendente! Abbiamo chiuso il paragrafo precedente con l’equazione di Einstein nel vuoto e ora la ritroviamo qui. La curvatura di Ricci in dimensione due (la dimensione presa in considerazione da Calabi) è proprio equivalente alla curvatura Gaussiana, che dipende solo ed esclusivamente dalle distanze dei punti all’interno della superficie. Si noti che in dimensioni superiori le due curvature sono diverse. Quindi Calabi sostiene che se la curvatura di Ricci mediamente è pari a zero, allora esiste una metrica con proprietà particolari e con curvatura di Ricci zero ovunque.

Per dimostrare la congettura di Calabi non resta quindi che dimostrare l’esistenza di una metrica Ricci-piatta, cioè risolvere equazioni differenziali alle derivate parziali non lineari: le equazioni di Monge-Ampère.

Vediamo queste equazioni a cosa sono legate.

Calabi fa un esempio che trovo semplice ma illuminante: voglio mettere un foglio di plastica teso sul bordo di un cerchio indeformabile e stirare o restringere la superficie di questo foglio. Se sottoposto a stiramento il foglio al centro avrà una protuberanza verso l’alto, con curvatura positiva: questa è una soluzione di forma ellittica dell’equazione di Monge-Ampère. Se invece il foglio è soggetto a compressione, al centro il foglio formerà una sella e avrò una soluzione iperbolica. Se la curvatura è zero ovunque, la soluzione sarà parabolica. Stessa equazione di Monge-Ampère, tecniche di risoluzione diverse.

Delle tre, la soluzione ellittica è la più facile da analizzare, l’iperbolica presenta molte singolarità, mentre la parabolica è a metà strada tra le due. Ciò significa che un’equazione parabolica avrà delle singolarità ma sarà facile spianarle.

Le equazioni di Calabi fortunatamente sono del tipo ellittico pur essendo in relazione con le equazioni di Einstein che però sono iperboliche. Possiamo pensarle come equazioni di Einstein a cui abbiamo sottratto il tempo: siamo in un mondo in cui il tempo è in pausa.

Il matematico Yau inizia ad occuparsi del problema: risolvere le equazioni di Monge-Ampère pluridimensionali e non lineari. L’interazione tra geometria ed equazioni differenziali alle derivate parziali è l’aspetto più importante e più notevole.

Yau trova la strada verso la soluzione utilizzando il metodo di continuità, cioè con approssimazioni successive che si avvicinano sempre di più alla soluzione. Facendo delle stime e controllando se la risposta cercata sia almeno possibile, Yau arriva alla soluzione fino alle stime di terz’ordine: il segreto è mettere la possibile soluzione in una scatola non troppo grande in modo da limitarla e dimostrarne l’esistenza.

Per la stima dell’equazione di Monge-Ampère del secondo ordine, ad esempio, Yau utilizza disuguaglianze di Poincaré e di Sobolev , con integrali e derivate di vario ordine. Per stimare la stabilità della funzione si avvale poi delle potenze p-esime. La “tecnica” è semplice: elevare la possibile soluzione a potenze sempre maggiori. Se la stima resta non troppo grande e non troppo piccola si può dire che è ormai stabile.

La maniera sommaria in cui ho descritto i dettagli delle equazioni e le tecniche risolutive per trovare le stime non deve assolutamente far pensare ad un lavoro banale: quando Calabi vide la dimostrazione, disse che per verificarla ci sarebbe voluto un mese buono.

Cosa era accaduto?
Yau aveva provato l’esistenza della metrica senza trovarne una formula precisa.

Come conseguenza della dimostrazione abbiamo la conferma dell’esistenza di forme pluridimensionali che soddisfano l’equazione di Einstein in caso di assenza di materia: le varietà di Calabi-Yau. L’equazione fondamentale della congettura di Calabi, che è un caso speciale dell’equazione di Einstein, ha infinite soluzioni e le soluzioni sono spazi. Questi spazi sono privi di simmetria globale, ma sono dotati di simmetrie interne interessanti.

La realtà si apriva dunque a diverse possibilità, il mondo diventava più interessante, forse più confuso, ma la fisica di lì a poco avrebbe preso la versione 6-dimensionale di quegli spazi e ne avrebbe fatto il punto centrale della teoria delle stringhe.

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