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Pubblichiamo questo contributo di Mario Castellana professore associato  di Filosofia della scienza e di Storia della scienza presso l’università del Salento.

Tra le  opere di Catellana segnaliamo:


Federigo Enriques e il valore strategico del pensiero matematico

Mario Castellana

Federigo_Enriques

Federico Enriques (fonte wikipedia)

Nella ricostruzione critica delle idee a volte succede che l’interesse per una figura per i non secondari contributi dati allo sviluppo di un certo sapere e non adeguatamente riconosciuti al momento opportuno, avvenga in concomitanza con alcuni sviluppi successivi; è il caso ad esempio del matematico italiano Federigo Enriques (1871-1946) oggetto di un rinnovato interesse sino a poter parlare di una vera e propria Enriques-Renaissancea partire dagli anni ’80 sia in Italia che all’estero, quando è venuta a svilupparsi la logica lineare grazie ai lavori di Jean-Yves Girard. Tale importante capitolo del pensiero logico-matematico, ancora oggi al centro di ulteriori sviluppi, ha significato quello che è stato chiamato il ‘ritorno del geometrico’ nelle basi della stessa logica anche sulla scia dei lavori di Alexandre Grothendieck, Alain Connes, Dana S. Scott e altri, lavori che stanno richiedendo un approccio filosofico più articolato, se non come afferma qualcuno un vero e proprio cambiamento di paradigma tutto da articolare; i prodromi di un simile approccio si possono trovare appunto nelle riflessioni enriquesiane, come ha sostenuto Giuseppe Longo che ha auspicato l’idea di tornare a fare i conti con Riemann, Poincaré ed Enriques in un fascicolo del 2003 della rivista francese “Revue de synthèse” dal significativo titolo Géométrie et cognition, programma sviluppato in maniera più articolata, alla luce delle matematiche del secondo Novecento, dal matematico colombiano Fernando Zalamea nel suo volume Synthetic Philosophy of Contemporary Mathematics del 2011 tradotto recentemente in francese. Tale coincidenza non casuale non è dovuta solo al fatto che Enriques abbia dato, com’è abbondantemente noto, dei significativi contributi alla geometria algebrica con la sua teoria delle superfici e delle varietà algebriche sino a costituire con Severi e Guido Castelnuovo quella che è stata chiamata la Scuola italiana di geometria; egli, come già avevano intravisto alcune figure del panorama culturale francese degli anni ’30 da Paul Valéry a Gaston Bachelard e più recentemente lo storico ungherese delle matematiche Imre Toth, merita di entrare nel Pantheon della cultura del ‘900 anche per i non secondari contributi dati alla riflessione storico-epistemologica sulla natura delle matematiche e del loro essere ‘pensiero’ tout court in un momento in cui tale aspetto per vari motivi non era ancora tenuto nella dovuta considerazione. Lo stesso Ludovico Geymonat negli anni ’80, che com’è noto aveva importato in Italia subito dopo il secondo conflitto mondiale la ricca letteratura epistemologica prodotta dagli aderenti al Circolo di Vienna, sia pure molto tardivamente almeno nell’ambito italiano, riteneva Federigo Enriques il ‘vinto di allora vincitore oggi’ da mettere sullo stesso livello di figure come Schlick, Carnap e Karl Popper.

Nello stesso tempo, sempre sulla scia dei francesi e di Toth e grazie agli studi portati avanti dal Centro di Enriques di Livorno, si è arrivati al punto di non scindere più l’Enriques matematico dall’Enriques filosofo, come è stato fatto da certa storiografia di matrice neoidealistica e non solo; i due Enriques non sono separati ma sono strettamente intrecciati tale da costituire un’autentica figura di ‘scienziato-filosofo’ o savant alla francese o, come egli stesso definisce se stesso e gli altri, ‘intelletto scientifico e filosofico’ e ‘scienziato-pensatore’ a partire da Riemann, Grassmann, Poincaré, Mach sino ai suoi contemporanei Hilbert, Einstein, Russell. Del resto questo aspetto è stato presente sin dall’inizio del suo percorso e ribadito a più riprese sin dai Problemi della scienza del 1906, opera tradotta subito in francese, in tedesco ed in inglese; in tale opera si afferma in maniera netta che quella che chiama ‘gnoseologia critica’, ricavata dall’analisi critica dei ‘pensatori-geometri’ come Riemann, Grassmann e Klein, è stata fatta contestualmente ai lavori scientifici condotti negli ultimi quindici anni. Nella stessa introduzione all’opera del 1915 Lezioni sulla teoria geometrica delle equazioni e delle funzioni algebriche, è detto chiaramente che tale approccio lo ha condotto alla storia delle matematiche: «la storia viene guadagnata attraverso la scienza, in servigio della scienza»; e ancora nel 1932 nel pieno della maturità scientifico-epistemologica, quando era anche impegnato nel redigere le ‘Voci’ di Matematica per l’Enciclopedia Treccani su invito dello stesso Giovanni Gentile che da giovane lo aveva ferocemente combattuto nei primi anni del secolo col ritenerlo un ‘genio minuto’, come del resto erano considerati gli scienziati nella nascente tradizione neoidealistica, viene affermato che «lo sforzo per il progresso porta dalla scienza alla filosofia della scienza e da questa alla storia».

Questo equilibrio non comune raggiunto tra attività scientifica e riflessione storico-epistemologica è il risultato teoretico più maturo raggiunto dal matematico ed epistemologo livornese e da più parti considerato un dato epistemico acquisito sine qua non; ma dove ha raggiunto il suo punto di arrivo più solido sul terreno teoretico e dove conserva ancora intatta tutta la sua forza concettuale è l’idea di scienza e delle matematiche in particolar modo come pensiero, come ragione conoscitiva tout court, come conoscenza vera e propria anche in seguito ai suoi contatti con il milieu culturale francese, avvenuti in particolar modo a partire dagli anni ’10 del Novecento dopo che il suo progetto di una filosofia strettamente legata allo sviluppo delle scienze, come stava avvenendo in altri paesi europei come ad esempio nella Grande Vienna dove venne a svilupparsi la corrente poi divenuta Standard di filosofia della scienza, fu in Italia messo da parte. In Francia c’era una tradizione di ricerca con lontane radici nella filosofia cartesiana e nel secolo dei Lumi, chiamata philosophie mathématique orientata in tal senso e che avrà, proprio grazie al suo impegno, ulteriori sviluppi negli anni ’30 sino a poter parlare di una tradizione italo-francofona in filosofia della scienza e nella filosofia delle matematiche in particolar modo con le figure di Gaston Bachelard, Jean Cavaillès, Albert Lautman e Ferdinand Gonseth, che non a caso si sentiranno debitori nei suoi confronti mettendosi sulla sua scia.

L’opera più organica dove viene espressa l’idea della scienza come pensiero è il Significatoenriques_federico della storia del pensiero scientifico del 1934, anno in cui compare la prima edizione della Logica della scoperta scientifica di Karl Popper e questo nella storia delle idee non è un fatto puramente casuale; tale opera fu scritta direttamente in francese, poi stampata in italiano nel 1936, provocò in Francia un serrato dibattito presso la ‘Société Philosophique Française’, e fu tenuta presente e analizzata da varie figure in varie recensioni dove si sottolineava il fatto che, pur essendo un’opera di sole quaranta pagine circa, era talmente densa dal punto di vista concettuale che bisognava commentare pagina per pagina per prendere atto della consistenza delle proposte avanzate. L’idea di fondo era che le singole scienze e le matematiche in particolar modo producono pensiero, sono pensiero per il fatto che hanno una specifica e intrinseca dimensione teoretica, cioè producono teorie sul mondo, sul reale secondo una logica storica. Nel produrre conoscenza, esse accrescono la conoscenza stessa, la cambiano in maniera strutturale producendo ulteriori cambiamenti, dove come diranno Popper e Gaston Bachelard in seguito, gli errori sono un momento necessario della crescita donde il primato teoretico dell’errore. Se in un primo momento sul piano epistemico, per seguire una metafora del noto gruppo di matematici che vanno sotto il nome di Bourbaki, il cambiamento di una verità comportava una visione ‘patologica’ del corpus delle matematiche fatta iniziare con i lavori di Riemann, Enriques vede nella loro intrinseca storicità una dimensione sine qua none, sulla scia di Ludwig Boltzmann, si impegnò sul terreno teoretico per dare consistenza all’idea di oggettività della scienza pur in presenza dei suoi continui cambiamenti, in un momento in cui il tema della sua fallibilità era considerata un elemento negativo e per questo non degna di far parte del pensiero più in generale.

Non va dimenticato che i suoi contemporanei maestri viennesi prima e Popper dopo avevano lo stesso obiettivo, e cioè salvaguardare la dimensione veritativa e oggettiva della conoscenza scientifica e per fare questo hanno prodotto una ricchissima letteratura di cui non si può fare a meno col fornirci tutta una serie di strumenti concettuali; ma Enriques ha aggiunto qualcosa di suo nel senso che ha basato in primis il suo discorso sulle matematiche che, nella ricca letteratura neopositivistica prima e popperiana dopo, non hanno ricevuto un’attenzione pari a quella avuta dalla fisica. Poi la continua analisi del corpus delle matematiche lo ha portato a individuarne la specifica dimensione storica, dove il momento del cambiamento è cruciale da cogliere con strumenti concettuali derivanti da esse stesse. Ecco perché poi Ludovico Geymonat dirà, commentando le sue opere, che la storia della scienza è scienza essa stessa e fra storia della scienza e scienza non c’è una divisione. Le matematiche producono, quindi, conoscenza e la conoscenza prodotta è essenzialmente storica; e non a caso Enriques dirà che la storia della scienza è un cimitero di errori, di teorie, ma bisogna ripercorrerli criticamente per individuarne i momenti costitutivi e veritativi. Ma per capire il passato, per scovare quelli che chiama i ‘monumenti’ dalla matematica greca a quella dell’Ottocento, bisogna elaborare una griglia metodologica che faccia vivere il passato, gli dia voce, come ha fatto con dei frammenti di Parmenide, non capiti dagli storici della filosofia pur molto attrezzati sul terreno filologico, dove ha scoperto un Parmenide geometra prima inesistente.

La dimensione insieme teoretica e storica delle matematiche gli ha permesso così di dare molta importanza al pensiero scientifico, di farne emergere il significato ermeneutico intrinseco, di scovare come dirà Bachelard sulla sua scia la pensée des sciencese nelle scienze; da questo punto di vista Enriques, per il lungo interrogarsi sul senso ed il ‘significato’ della conoscenza scientifica, è stato l’unico epistemologo del ‘900 che ha insistito in maniera costante in tutto il suo percorso sull’idea di scienza come pensiero tout court, sul rapporto stretto fra pensiero scientifico e pensiero filosofico che si alimentano a vicenda, dove ‘la storia è guadagnata attraverso di essa’ e sempre al suo servizio, cioè in funzione della sua comprensione teoretica e umana. Non a caso qualche anno fa Dominique Lecourt, che ha curato un Dizionario di storia e di filosofia della scienza dove la metodologia usata è quella proposta da Enriques, ha detto che l’idea di pensiero scientifico è la grande oubliée sia da parte dello scientismo vecchio e nuovo che dall’antiscienza in tutte le sue forme.

Lo scientismo non a caso, molte volte sostenuto soprattutto nel passato da vari scienziati e non solo come da certa letteratura positivistica, considera appunto delle scienze come valida l’ultima teoria arrivata in nome della quale tutto il passato non conta in quanto fondato solo su errori; inoltre ed è l’elemento più caratterizzante, arriva a considerare la scienza come l’unica esperienza umana valida dove a volte succede che una semplice ipotesi diventa un dogma, un punto di vista assoluto che ostacola poi di fatto lo sviluppo della scienza stessa che per principio come dirà Enriques è sempre aperta, proprio per la sua storicità, non un sapere chiuso. In termini più attuali, si può dire che la scienza è sempre eretica per sua natura e per questo lo scientismo in tutte le sue variabili non fa i conti con l’idea di pensiero scientifico dove questo aspetto è costante per la dimensione storica imprescindibile che lo caratterizza. Lo scientismo in tal modo rischia di diventare una vera e propria ideologia che impedisce il dialogo della scienza con le altre dimensioni dell’uomo e soprattutto non permette di farla rientrare nel pensiero umano più in generale, come Enriques per tutta la sua vita cercò di fare pur uscendo sconfitto dallo scontro con la filosofia neoidealista che non a caso negava alla scienza proprio l’idea di essere e produrre pensiero.

L’antiscienza in tutte le sue variabili storico-concettuali, da quella neoidealista alle ultime di diversa provenienza che insistono sulla cosiddetta perdita di senso provocata dalla scienza e dalla tecnica e che a volte sui giornali e mass-media hanno ampia risonanza, a sua volta nega che la scienza sia e produca pensiero (si pensi ad un certo heideggerismo sia di destra che di sinistra) sino a considerare la scienza con i suoi risvolti tecnologici non cultura e addirittura ‘alienante’. La filosofia neoidealista ed in maniera più sofisticata queste forme di heideggerismo ad uso dei giornali negano non a caso il valore culturale della scienza, la considerano un insieme di ricette utili per soddisfare i diversi bisogni, ne sottovalutano la dimensione propriamente teoretica perché appunto non tengono conto della sua dimensione filosofica intrinseca. Molti scienziati, a loro volta, imbevuti di un certo scientismo, considerano la riflessione filosofica sulle loro scienze un lavoro inutile ed in tal modo danno all’antiscienza degli strumenti per meglio accreditarsi sul terreno culturale e umano.

Enriques, quasi solo in Italia, per tutta la sua vita ha combattuto da una parte lo scientismo di fine Ottocento propugnato acriticamente da certa filosofia di impronta positivistica e dall’altra da quella filosofia neoidealista prototipo proprio di antiscienza a livello strutturale; tale filosofia è diventata centrale nell’Italia del primo Novecento che più che in altri paesi, per motivi dovuti anche all’arretratezza socio-economica del paese, ha dominato a lungo dove appunto la scienza e la sua storia non avevano nessun spazio sino a influenzare le stesse figure degli scienziati che si sono sentiti quasi autorizzati a non riflettere sulle loro scienze. Tale impegno di natura teoretica per Enriques, come nel caso di Einstein i cui saggi sono una miniera dal punto di vista epistemologico, è stato considerato cruciale e strategico proprio per fare rientrare la scienza nell’ambito della cultura dove l’elemento storico è ritenuto un fattore imprescindibile; per questo si impegnò nell’istituzione presso l’Università di Roma negli anni ’20 di un primo corso di perfezionamento in Storia della scienza e nello stesso tempo incoraggiò studenti e giovani ricercatori in discipline scientifiche a fare studi in tal senso dove i ‘problemi della scienza’ venivano visti nella loro articolazione storico-concettuale per ribadirne la dimensione filosofica implicita. Ed è questo il lascito più duraturo del matematico livornese, dove la riflessione filosofica non è una attività che semplicemente si aggiunge al lavoro scientifico, ma ne costituisce la struttura portante in quanto da un lato rappresenta il modo di fare rientrare la scienza nell’ambito della cultura più in generale e dall’altro permette di entrare nel vivo delle questioni scientifiche, dei ‘problemi’ che le attraversano oltre a gettare le basi di una didattica delle scienze e della matematica in particolar modo più adeguata al vissuto degli studenti.

Se Enriques ha insistito molto sul pensiero scientifico è anche perché esso permette di fare i conti con la nostra razionalità ed interrogarlo significa fare i conti con essa, con le sue sconfitte e le sue vittorie; il pensiero matematico poi, come insegnavano i Greci e come

Enriques con Einstein a Bologna nel 1921

Enriques con Einstein a Bologna nel 1921 (fonte: scienzainrete.it )

Einstein negli ultimi anni della sua vita, si rivela affascinante e nello stesso tempo complesso perché, pur essendo un pensiero astratto e sempre più foriero di processi di alta generalizzazione, permette di capire la struttura del mondo, di entrare nei suoi meccanismi più reconditi, e nello stesso tempo di affrontare quella che in certa letteratura viene chiamata ‘l’irragionevole efficacia delle matematiche’ o il loro particolare carattere ‘divino’. Enriques da una parte ed Einstein dall’altra hanno posto alla base dei loro rispettivi percorsi questa problematica e hanno cercato di renderla più ‘ragionevole’ lasciandola in eredità alle generazioni successive, consci del fatto che è una problematica perenne a cui non può sottrarsi in primis la comunità degli scienziati; se essa, problematica filosofica che si interroga sulla natura delle matematiche, non viene affrontata adeguatamente o viene sottovalutata, fa sprofondare la scienza in generale nel non pensiero, nell’antiscienza e nello scientismo, che sono poi due facce della stessa medaglia sempre pronte a discreditare quello che Gaston Bachelard , sulla scia di Enriques e Einstein, chiamava l’autentico esprit scientifique.

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