Pubblichiamo questo confronto fra  Francesco Malaspina e Alberto Saracco.  Entrambi sono professore associato in geometria, rispettivamente al Dipartimento di Scienze Matematiche del Politecnico di Torino e al Dipartimento di Scienze Matematiche, Fisiche e Informatiche dell’Università di Parma.  .

 Le domande dell’intervista sono state fatte da Davide Passaro dello staff di “Math is in the Air”. Le risposte alle domande sono indicate dalle iniziali degli intervistati


Due matematici riflettono  su Dio, trascendenza e ricerca scientifica

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D: La prima domanda che vorrei farvi, essendo voi dei matematici fortemente attivi nella ricerca in matematica (in particolare nel campo della geometria), è la seguente: Pensate sia giusto che uno scienziato prenda posizione pubblicamente rispetto a temi che non sono il suo specifico? Se sì, qual è, secondo voi, il modo “corretto” per farlo?
Nel corso della storia gli scienziati hanno risposto in modo diverso a questa domanda. Ce ne è qualcuno che, per le sue scelte in merito, è più vicino alla vostra sensibilità?

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Ennio De Giorgi (fonte wikipedia)

F: Penso che un matematico possa parlare pubblicamente (ma certamente non durante una lezione agli studenti) anche di temi sensibili e divisivi come la politica o la religione. Bisogna però saperlo fare con garbo senza ammantare di scientificità ciò che si sostiene. Si deve presentare questi argomenti come semplici pareri personali avendo pieno rispetto delle opinioni contrarie. D’altra parte, il dubbio e l’apertura verso le altrui posizioni sono centrali nella vita di ricerca. I matematici hanno quasi sempre un notevole pudore nel parlare di ciò di cui non sono pienamente competenti, sicché non faccio fatica a fare nomi con cui mi sento in sintonia.
Se devo fare un nome faccio quello di Ennio De Giorgi, che è molto amato da tutti, e ha sempre mostrato grande equilibrio anche quando è intervenuto su temi di carattere filosofico o spirituale.

A: Uno scienziato è innanzitutto un cittadino ed è più che lecito che abbia opinioni personali e che le possa esprimere. Inoltre fa parte a tutti gli effetti della classe intellettuale e ha in un certo senso il dovere di utilizzare le sue conoscenze per il bene collettivo e per la crescita morale della comunità. Non bisogna pensare agli scienziati come a dei tecnici e lasciare morale e politica agli umanisti. Il punto di vista degli scienziati può essere molto interessante.
Ovviamente uno scienziato che si esprime in pubblico deve chiarire molto bene la differenza tra un’opinione personale e una verità scientifica e mai giocare su una ambiguità tra queste due cose.

Andando più nello specifico, ritengo che anche a lezione abbiamo il dovere (per formare cittadini) di fare esempi anche molto concreti e quasi politici, nel senso più elevato del termine, per far capire agli studenti come la matematica sia uno strumento potentissimo per interpretare il mondo che ci circonda: per valutare l’attendibilità di una notizia, per capire un trucco pubblicitario, per non farsi imbrogliare.

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Bertrand Russell (Fonte Wikipedia)

Concordo totalmente con Francesco che la lezione che maggiormente dobbiamo apprendere dalla scienza è il rispetto dell’altro e delle idee altrui (finché non sono lesive di diritti, ovviamente) e ritengo che l’ambiente matematico sia in generale molto rispettoso. Probabilmente la forma mentis del matematico moderno, che ormai è abituato alla non esistenza di una verità matematica oggettiva e ad apprezzare la compresenza ad esempio di diverse geometrie (tutte “vere”, nel senso di non contraddittorie, ma a due a due incompatibili), aiuta molto nel relativizzare le proprie convinzioni.
Anche la quotidiana lotta con dimostrazioni e controesempi ci aiuta a non essere troppo convinti di quello che pensiamo e a lasciare la porta aperta al dubbio.

Se devo indicare dei matematici che ammiro per il loro stile comunicativo e l’impegno sociale, non ho dubbi: Russell e Hardy su tutti.

D: Tra i temi che non sono nello specifico dello scienziato rientra il tema della “trascendenza” nei tanti significati che nel corso della storia persone appartenenti a diverse culture gli hanno dato. La domanda sull’esistenza o meno di Dio e sulle sue caratteristiche ha percorso i secoli. Voi come vi ponete nei confronti di questo interrogativo? La vostra risposta a questa domanda è stata in qualche modo influenzata nel tempo dai vostri studi e dalle vostre ricerche nel campo della matematica?

A: La maggior parte delle persone non cambia idea sulla religione e su Dio rispetto a quella che aveva da bambino. Chi nasce indù resta indù, chi nasce cristiano resta cristiano, chi nasce animista resta animista. È molto difficile mettere in discussione principi che ti vengono inculcati nella primissima infanzia. Io non sono un’eccezione. I miei genitori sono non religiosi, non mi hanno battezzato e io sono non credente, ateo, agnostico, bright, umanista o come più ti piace metterla.
Non credo in un’entità superiore e sovrannaturale. Anche in ciò, non sono molto originale. Quasi la totalità della popolazione mondiale non crede nell’esistenza della quasi totalità di dei che si sono succeduti nel corso della storia. Credo che ben pochi non riescano ad ammettere sinceramente che non credono nell’esistenza di Toth, di Isis, di Gilgamesh, di Giove o di Bacco (anche se quest’ultimo ha un discreto numero di fan).
Io semplicemente non credo nell’esistenza di uno in più.
Secondariamente, se anche esistesse un’entità superiore e sovrannaturale, ritengo improbabile che sia una di quelle descritte da una qualche religione umana. Infine, se pure un dio esistesse e fosse stato rivelato all’uomo, come scegliere tra le svariate migliaia di divinità quella giusta?
L’esistenza del Dio cristiano, o di Allah, o di Jahvè, o dell’Invisibile Unicorno Rosa o del Mostro di Spaghetti Volanti, sono -per me- equi(im)probabili. Se dovessi scegliere, per via della scommessa di Pascal, devo dire che il Mostro di Spaghetti Volante è quello che offre il Paradiso migliore.

Guglielmo di Ockham

Guglielmo di Ockham

Ma più che con Pascal, concordo con Laplace, che -presentata la sua teoria di meccanica celeste a Napoleone- alla domanda dell’Imperatore su dove fosse Dio in tutto ciò, rispose “Sire, non ho avuto bisogno di quell’ipotesi”. È il rasoio di Occam: entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem. E lo spazio di Dio, al crescere delle conoscenze scientifiche viene sempre più ridotto.
In questo senso, la conoscenza della storia e della scienza mi hanno rinforzato nel mio non credo.
Allo stesso tempo, la storia e la scienza penso ci debbano insegnare la tolleranza. Io non credo, ma non ho alcuna intenzione di convincere, convertire o obbligare a non credere altre persone.

F: La conoscenza scientifica è finita e scalfisce appena la superficie di ciò che ci sarebbe da scoprire. Questa è la vertigine di ogni scienziato che non può che essere umile di fronte al mistero che ha di fronte. Nessuna teoria, neppure quella di Laplace, può sperare di spiegare ogni cosa. Non si può proprio dire che lo spazio di Dio risulta sempre più ridotto poiché, al crescere di conoscenze finite, resta un infinito dello stesso ordine.
La matematica non può dire nulla di definitivo in quest’ambito. La razionalità ci accompagna fino ad un certo punto, poi la fede è una questione di fiducia.
D’altra parte la fiducia interviene negli ambiti più importanti della nostra vita: mi fido dell’amore della mia sposa o della sincerità dei miei amici. Anche nella mia attività di ricerca mi capita di fidarmi di teorie dimostrate da altri e verificate dalla comunità scientifica.
In effetti io ho maturato la mia fede cristiana, pur avendo genitori non praticanti, non per via della matematica ma attraverso l’incontro con i poveri e nel servizio in vari paesi del mondo. Questa piccolo incontro locale mi ha fatto intravvedere il senso di un Dio che si dona all’umanità in Cristo. Quasi tutti i matematici, e tra questi certamente anche Alberto, sono concordi nell’affermare che la matematica è arte, poesia e fantasia. Ecco allora che è possibile osservarla, in modo certamente soggettivo, con occhi contemplativi, per riflettere sul pensiero cristiano.
Faccio un esempio: usiamo il grafico dell’arcotangente per spiegare che, in topologia, un intervallo aperto piccolo quanto si vuole è omeomorfo a tutta la retta reale. Questo può farci riflettere sui tre giorni della morte-Resurrezione di Cristo, brevi ma immensi, che nella visione cristiana illuminano tutta la storia dell’umanità.
Si possono sovrapporre le due braccia dell’arcotangente, che si allungano in modo asintotico, alle braccia di Cristo, spalancate sulla croce nell’estremo gesto di amore, che abbracciano tutto il mondo.

D: In passato ci sono stati diversi confronti fra pensatori “credenti” e “non credenti” sul tema di “Dio”. A volte queste discussioni degeneravano in un muro contro muro che oltre ad essere sterile legittimava i luoghi comuni e gli stereotipi negativi che si avevano nei confronti dell’altra parte. Mi sembra che da parte vostra, invece, ci sia un atteggiamento di dialogo e di ricerca aperto.
Per questo motivo, poiché in sostanza dalle vostre risposte avete mostrato un atteggiamento differente, vi volevo chiedere cosa delle convinzioni opposte alla vostra vi colpisce e pensate sia invece un qualcosa da sviluppare per voi.
Per esempio cosa un matematico “non credente” come te Alberto vede di positivo nel pensiero di un matematico “credente” come Francesco? C’è un qualcosa che pur non facendo parte delle tue convinzioni, vorresti in qualche modo fare tuo?
La stessa domanda ovviamente vale per Francesco. Cosa delle posizioni di un “non credente” come Alberto pensi possa essere “adottato” da te per sviluppare la tua riflessione?

A: Nella mia visione le religioni non sono frutto di una rivelazione divina, ma nascono dall’opera dell’uomo, più precisamente sono un sottoprodotto (o una proprietà emergente) della capacità di modellizzare e interpretare il mondo che ha caratterizzato la storia evolutiva di Homo Sapiens. Come tali, le religioni sono intrise di caratteristiche totalmente umane, declinate in modi diversi dalle varie religioni.
Il nocciolo in comune alle varie religioni è la regola d’oro: “Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te” o “Fai agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te”. Più la religiosità di una persona si esplica nel cercare di applicare quanto più possibile questa regola, tanto più mi trova d’accordo.
Dalle parole di Francesco è evidente come lui intenda porre la sua religiosità come una questione d’amore verso il prossimo. Ecco, questo aspetto di vita come missione d’amore per gli altri mi ha sempre attirato molto. Spesso, ma non sempre, è correlato con una certa religiosità o misticismo.
Apprezzo molto la religione come guida morale per il singolo (che impara una morale e cerca di fare il bene per la propria comunità o l’umanità), mentre ne ho molta paura quando queste norme morali vengono elevate a regole universali che devono valere per tutti e la religione si trasforma in atto di imposizione di una propria verità, credo o morale ad altri.
La religione ha avuto evoluzionisticamente entrambi i ruoli: quello di favorire la compassione, l’aiuto reciproco e la solidarietà e quello di fornire un’identità di gruppo nella “struggle for life” contro altri gruppi. Ritengo che sia fondamentale ai giorni nostri rendersi conto di questi due aspetti, promuovere il primo e contrastare il più possibile il secondo.
Tutto ciò che funge da moltiplicatore o ispiratore di principi di fratellanza universale mi trova ben disposto. Una credenza che spinge a “fare il bene” potrebbe essere quindi quello che invidio ad un credente come Francesco (e che ritrovo molto in vari miei amici credenti o in alcune personalità di spicco di varie Chiese), ma in realtà penso di poter cercare in me una tale spinta senza dover fare affidamento ad una presenza divina che la motivi.

F: Ho trovato significativo che un matematico convintamente non credente come Alberto abbia letto il mio libro su  matematica e cristianesimo e ne abbia scritto una recensione positiva  (qui link a recensione)
Non credo che questo dipenda solo dalla proverbiale cortesia tra matematici o alla tendenza al “politicamente corretto”.

Copertina de "Dio e l'ipercubo"

Copertina de “Dio e l’ipercubo”

Ho l’impressione che si stia andando verso un superamento del secolare conflitto tra scienza e fede. Le scoperte scientifiche, in particolare in fisica teorica e in matematica, del ‘900 hanno fatto perdere ogni speranza di avere una teoria unificante in grado di spiegare ogni cosa, spalancando scenari ancora più interessanti.
Da un lato, è poco sostenibile la tesi secondo la quale non sia conciliabile la razionalità di un ricercatore con la fede. Dall’altro lato, i cristiani hanno abbandonato la pretesa di poter dedurre verità scientifiche dal testo
biblico. Ovviamente sussistono ancora i fondamentalismi da una parte e dall’altra ma il muro contro muro ha davvero
poco senso. Inoltre, sappiamo che nella vita spirituale non si può stare fermi. Come nella vita di ricerca si deve continuare sempre a studiare e dubitare o nella vita di coppia si è chiamati a riscegliere ogni giorno la propria sposa e ri-innamorarsi continuamente, anche in quest’ambito bisogna mettersi in discussione. Il dubbio alimenta la fede e una sana aridità spirituale può portare ad aderire con rinnovato slancio a quell’infinito che ci viene incontro. In questo senso trovo assai prezioso il confronto con un matematico non credente e aperto come Alberto.

D: Veniamo quindi a una ultima domanda che vorrebbe essere un po’ più generale.
C’è da tempo un dibattito di natura epistemologica sul fatto che l’insieme delle credenze (non solo quelle religiose, ma anche quelle di natura culturale, morale o filosofica) influenzino l’agire e la riflessione degli scienziati che, in modo più o meno consapevole, orientano la loro ricerca (o il loro modo di fare ricerca) anche in base al loro quadro culturale di riferimento che è a sua volta influenzato dal periodo storico in cui vivono.
Qual è la vostra opinione su questo? Pensate che le eventuali credenze religiose abbiano storicamente svolto un ruolo non trascurabile? E nel vostro fare ricerca, confrontandovi con scienziati di varie parti del mondo, avete sperimentato qualcosa che sia ascrivibile a questa “influenza” nel fare ricerca?

F: Credo che ciò che più influenza le attività ricerca sia l’appagamento estetico e il tentativo di seguire una scia  di bellezza. Può appare frivolezza ma questo metodo, largamente condiviso tra i matematici, risulta essere a  posteriori estremamente efficace e fruttuoso. La politica ha cercato in parte di condizionare la matematica chiedendole un aiuto in campo bellico (partendo da Archimede, passando per le ricerche di carattere balistico fino alla richiesta di decifrare i messaggi cifrati nemici durante la seconda guerra mondiale) o economico-commerciale (cartine geografiche, minimizzare percorsi o prezzi ecc..). Generalmente però, grazie alla sua astrazione, viene considerata al di sopra delle parti e slegata dalla politica. Anche nelle dittature più dure è stata di solito tollerata in quanto considerata innocua.
Vale la pena citare Il matematico antifascista Vito Volterra che ha scritto nel suo epitaffio:

” Cadono gli  imperi ma i teoremi di Euclide conservano eterna giovinezza.”

Anche gli aspetti culturali giocano il loro ruolo. Uno dei miei principali collaboratori è della Corea del Sud e nel  suo modo di fare ricerca porta la cordialità, l’abnegazione e una certa timidezza tipica del suo paese. La matematica è un meraviglioso linguaggio universale ma ognuno può portare sfumature e connotazioni del proprio contesto culturale.
Sulla religione vale la pena citare il prodigioso matematico indiano Srinivasa Ramanujan che diceva che le sue dimostrazioni erano direttamente dettate dalla Dea Namagiri.
Per quanto riguarda il cristianesimo mi viene da pensare che i matematici con una fede profonda come ad esempio
Cartesio, Gauss, Eulero, Cauchy, Godel o De Giorgi mettessero nel loro modo di fare ricerca un po’ della loro spiritualità.
Personalmente sono spinto nella mia attività di ricerca dalla passione che ho in comune con Alberto e tantissimi altri colleghi ma spesso mi capita di guardare in modo contemplativo gli oggetti matematici che incontro chiedendo loro, in qualche modo, di parlarmi di Cristo.

A: È indubbio che lo “spirito dei tempi” influenzi la ricerca, anche matematica. Più che le credenze individuali, penso però che siano le credenze collettive ad influenzare (in modo inconscio) il lavoro del matematico. A differenza di altri campi di ricerca, come la medicina o la biologia, dove l’etica ha grande influenza sulla ricerca e opinioni personali o collettive possono avere un grande impatto anche a livello consapevole, in matematica ritengo che l’influenza resti a livello inconscio.

Non posso negare però che nella storia tale influenza si sia verificata. Voglio fare due esempi per me lampanti.
Da una parte, il concetto di Verità, così caro alla visione cristiana del mondo, ha rallentato per molto tempo la nascita delle geometrie non euclidee. L’idea della Verità intrinseca della geometria ha causato forti resistenze nella comunità matematica ad accettare l’esistenza della geometria iperbolica. Gauss ha tenuto per decenni in un cassetto i suoi risultati, per timore che non venissero accettati dagli altri matematici.
Dall’altra parte, lo spirito fortemente ateo di Russell lo ha portato ad indagare nei dettagli proprio i fondamenti della matematica, non accettando nessuna “Verità rivelata”, portandolo ad una ricerca molto lunga e potenzialmente senza fine (quando accontentarsi? Dove poggiare la prima pietra dell’edificio della matematica?).

Nella mia ricerca di tutti i giorni non sento questa influenza della mia visione religiosa (e in effetti uno dei miei principali collaboratori in questo momento ha visioni religiose e politiche drasticamente diverse dalle mie, ma questo non preclude affatto un’ottima e fruttuosa collaborazione scientifica).

Dal punto di vista della filosofia della matematica ritengo di essere un platonista: vedo gli

Georg Cantor

Georg Cantor

oggetti matematici come realmente esistenti in un mondo delle idee matematico e noi matematici come semplici esploratori che descrivono ciò che vedono nel loro peregrinare in questo mondo. O in questo multiverso, dovrei dire, dato che a seconda degli assiomi che si usano i mondi matematici che ne scaturiscono sono diversi.

La matematica è profondamente bella, su di ciò non posso che concordare con Francesco, e il mistero e il fascino che emana sono immutati dopo millenni di scoperte, se non accresciuti. Ancora oggi, come Cantor alla scoperta degli insiemi infiniti, dopo la dimostrazione di un Teorema particolarmente controintuitivo, possiamo esclamare con intima soddisfazione: “Lo vedo, ma non ci credo!”.

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