Riceviamo e molto volentieri pubblichiamo questo articolo scritto da Giordano Colò. 

Giordano, laureato in matematica, nella vita si occupa  di Machine Learning e AI  per una grande banca


GENTILUOMINI E RIFIUTI: LA DIMOSTRAZIONE DELLA CONGETTURA DI POINCARÉ

Non si scoprono nuove terre senza essere disposti a perdere di vista la costa per un lungo periodo.”

André Gide

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Le fasi della scoperta matematica sono spesso molto vicine a quelle della genesi dell’opera d’arte.
In queste attività umane trovare la verità è così appagante e catartico che il piacere di avere la soluzione ad un problema riesce a sovrastare la necessità di qualsiasi altro riconoscimento.

La storia di Grisha Perelman e della dimostrazione della congettura di Poincaré è un esempio eclatante di come la soddisfazione per il risultato collida con le transeunte vicende umane.
Ma per raccontare questa storia bisogna iniziare dalla fine.

Il rifiuto

Agosto 2006, Madrid. Sul palco della Conferenza Internazionale dei Matematici, evento che si tiene ogni 4 anni, John Ball, il presidente dell’Unione Matematica Internazionale, rendeva pubblica l’assegnazione della medaglia Fields al russo Grisha Perelman per “i suoi contributi alla geometria e per le sue straordinarie intuizioni riguardanti la struttura analitica e geometrica del flusso di Ricci”.
La dimostrazione della congettura di Poincaré del 1904, dopo 3 anni di attente analisi, era stata finalmente riconosciuta valida.
L’annuncio però non terminava lì, il tono di Ball diventava più mesto: le lettere inviate a Perelman per la cerimonia non avevano mai avuto risposta, Grisha aveva rifiutato la medaglia. Sul palco dell’ International Congress of Mathematics non mise mai piede.

Prima di parlare della congettura, molto si può dire del Grisha uomo e del Grisha matematico, dei suoi principi e delle sue grandi capacità.
Figlio di una matematica e di un ingegnere elettronico, Perelman da bambino fu educato privatamente. Il piccolo Grisha aveva però già delle peculiarità; ad esempio, spiegando una soluzione ad un problema matematico, il suo discorso fluiva in una maniera particolare: iniziava con una sequela veloce di parole, improvvisamente si fermava e poi ricominciava con una cascata di spiegazioni velocissime. Non appena entrato a scuola, Perelman non compariva tra i più brillanti, titolo che spettava ai suoi compagni Sudakov e Golovanov. Questo era dovuto non tanto alle sue capacità, quanto al suo carattere.
Il già nominato compagno Golovanov disse in seguito che in matematica ci sono gli algebristi, che riducono tutto a numeri e variabili, e i geometri, che comprendono il mondo attraverso le forme: e poi Perelman, che invece seguiva una strada particolare, con il suo vizio di far rimbalzare la palla da ping pong sul tavolo, scrivendo poco e niente del problema, ma cogliendone immediatamente l’essenza come nessun altro.
Viste le sue inclinazioni, iniziò studiando topologia, la branca della matematica che si occupa delle proprietà delle figure e delle modalità in cui queste si trasformano quando vengono deformate.
I racconti dei professori parlano di un ragazzo “onesto in maniera delirante, anche a costo di perdere tempo”. Non era solo incapace di dire bugie, era incapace di rispettare le convenzioni sociali se queste si scontravano con il suo amore per la verità.
Quando gli veniva chiesto di provare qualcosa era solito ritrarsi. Di fronte alla classe un professore lo accusò di non conoscere le derivate. Grisha rispose “Devo risolvere problemi, non conoscere nozioni”. Quello che si scoprì dopo fu che Perelmann conosceva benissimo le derivate ma non ne aveva fatto menzione perché “non era lì per far sfoggio di sé, c’era un problema che andava risolto”.
Queste piccole pennellate tratteggiano un carattere particolarmente fiero, una visione del mondo peculiare che da una parte gli ha permesso di arrivare a verità mai scoperte, dall’altra però lo ha portato verso i rifiuti che abbiamo anticipato e di cui riparleremo. Ma iniziamo dalla congettura!

La congettura di Poincaré

Visto che abbiamo presentato la personalità di Perelman, non possiamo esimerci dal presentare il “gentiluomo” Henri Poincaré, tra i più grandi matematici della storia. Al momento della sua morte la gran parte delle persone ricordava Poincaré per le sue riflessioni di filosofia, nonostante i suoi grandissimi contributi in matematica e fisica (lo stesso Einstein deve molto alle sue scoperte).

Henri nacque nel 1854 tra le colline e gli altopiani boscosi della piccola Nancy e fu l’ultimo dei grandi universalisti della matematica pura, avendo contribuito nei più disparati campi: meccanica celeste, meccanica dei fluidi, ottica, elettricità, telegrafia, elasticità, termodinamica, teoria del potenziale,  l’allora nascente teoria della relatività e cosmologia.  In più fu un fine divulgatore.

I suoi modi aristocratici, la sua gentilezza e la sua concezione della scienza (che vedremo nel dettaglio tra poco) nascondevano un’irrequietezza di pensiero particolare.
Come curiosità basti pensare che i suoi professori universitari gli rimproveravano di non essere rigoroso, di perdere dei dettagli, di presentare i suoi scritti in maniera sommaria e di passare da un campo della matematica all’altro in maniera troppo repentina.
Poincaré lavorava per brevi periodi ogni giorno (in genere dalle 10 alle 12 e poi dalle 17 alle 19), lasciava del tempo in serata per leggere gli articoli scientifici e affrontava ogni problema in maniera visiva nella mente (notate la somiglianza con le modalità esposte sopra riguardo a Perelman?). Trattava i suoi argomenti di fretta e non ci tornava mai su, perché pensava che dedicare lunghi periodi ad un problema avrebbe impedito al subconscio di ragionarci: famosa è la sua frase “questo problema l’ho risolto appena messo il piede sul predellino del tram”.
Gli episodi su Poincaré sarebbero numerosissimi, me per tenere il filo con Perelman e la congettura è opportuno leggere insieme una sua frase molto significativa:
“Lo scienziato non studia la natura perché sia utile farlo. La studia perché ne ricava piacere; e ne ricava piacere perché è bella. Se la natura non fosse bella, non varrebbe la pena conoscerla, e la vita non sarebbe degna di essere vissuta. Ovviamente, non mi riferisco alla bellezza che colpisce i sensi, alla bellezza delle qualità e delle apparenze. Non la disprezzo affatto, ma non ha niente a che fare con la scienza. Intendo riferirmi a quell’intima bellezza che deriva dall’ordine armonioso delle parti e che può essere còlta da un’intelligenza pura.”

Ma ora passiamo alla sua congettura.

Ad inizio Novecento Poincaré stava studiando il problema della stabilità del sistema solare. La domanda era molto semplice: i pianeti continueranno a percorrere le loro orbite in maniera regolare o c’è la possibilità che alcuni cadano sul sole ed altri siano “scaraventati” nello spazio profondo?

Per rispondere a questa domanda, attraverso la topologia, studiò le forme di tutte le dimensioni. Partendo dalla più semplice, la circonferenza (o l’ellisse) e passando poi per la sfera bidimensionale, cioè la superficie di una palla da basket o la buccia di un arancio. Alcune di queste forme sono descritte come l’insieme dei punti che si trovano alla stessa distanza da un punto dato, il centro. Come spesso succede in Matematica, la generalizzazione è un passo obbligato, quindi perché non parlare di sfere 3-dimensionali, 4-dimensionali ecc ecc? In questo caso non sarà più molto semplice visualizzarle ma saranno spazi facilmente descrivibili attingendo alla cassetta degli attrezzi del matematico.

In topologia due forme sono considerate equivalenti se i punti di una corrispondono ai punti di un’altra in maniera continua, e cioè se posso trasformare una nell’altra “senza strappi”: ad esempio, la circonferenza e l’ellisse sono topologicamente indistinguibili. Infatti, senza far “tagli”, posso trasformare facilmente l’una nell’altra.

 Schermata 2020-07-25 alle 18.32.02

Nel 1904 Poincaré si domandò se ogni forma 3-dimensionale che soddisfi il “test di connettività” sia equivalente alla sfera tridimensionale ordinaria. Il “test di connettività” di cui parlava era molto semplice: supponiamo che ci sia un essere che viva all’interno della forma considerata e che non può vedere “fuori” da quel mondo. Il test consiste nel capire se ogni elastico che questo essere tende sulla superficie possa essere ridotto ad un punto senza mai uscire fuori dallo spazio. La cosa è evidentemente vera per la 2-sfera e la 3-sfera, non altrettanto si può dire del toro (la forma di ciambella) perché in quello spazio un elastico potrebbe dover passare per il buco uscendo quindi dalla forma.
Questa domanda, che qui è tradotta dal rigoroso linguaggio matematico, è conosciuta come la “congettura di Poincaré”.

In maniera semplificata: è vero che ogni forma tridimensionale che soddisfa il test di connettività è equivalente al guscio sferico tridimensionale presentato sopra?

I due matematici Smale e Freedman nel 1966 e nel 1986 riuscirono a dimostrarla per ogni dimensione superiore, ma non per la dimensione 3: quello rimaneva un problema ancora aperto.

Non tratteremo di tutti i notevoli piccoli passi avanti fatti dalla congettura alla sua dimostrazione per questioni di spazio.

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Henri Poincaré

L’equazione del flusso di Ricci

Ora facciamo non solo un salto geografico ma temporale. Il 24 maggio 2000 a Parigi, l’istituto matematico Clay elencò 7 problemi matematici ancora irrisolti. Per la dimostrazione di ognuno di questi sarebbe stato offerto un milione di dollari. Tra questi c’era la congettura di Poincaré.

In quello stesso anno, da San Pietroburgo, Perelman, che era stato cinque anni prima negli USA ma aveva rifiutato il trasferimento, preferendo lavorare dove era nato, inviò una mail a Mike Anderson, un matematico della Stony Brook University, in cui faceva delle domande specifiche su un articolo e alcuni commenti riguardanti un errore. Trovò risposte in Anderson, ma per due anni e mezzo non gli scrisse nessun’altra mail.

Cosa stava facendo Grisha? Stava mettendo in pratica in matematica tutto quello che riusciva a fare nella vita: cogliere tutte le possibilità della natura e lasciar fuori le singolarità.

Il 12 Novembre 2002 12 matematici ricevettero una mail da Perelman che aveva appena pubblicato un articolo su un sito di archiviazione di bozze di articoli scientifici. Con il suo stile stringato, nella mail scriveva: “presento un’espressione monotona per il flusso di Ricci, valida in tutte le dimensioni e senza assunzione di curvatura.”. Ogni destinatario della mail per anni aveva combattuto con la congettura di Poincaré ed ogni destinatario intuì subito che Perelman era giunto a provarla. Mike Anderson, che abbiamo già nominato, diffuse la lettera dicendo “capiterà che qualcuno non conosca Perelman tra noi e abbia preso il suo lavoro poco sul serio: ebbene, siete perdonati per questo!”.

Quello che intuitivamente era chiaro doveva però essere rigorosamente controllato. Controllare la prova di Perelman non era facile: aveva usato tecniche di diverse aree della matematica e la sua dimostrazione era molto molto breve.

Pensiamo bene all’eccezionalità: un matematico sparito dai radar da molto tempo produceva una stringata prova di una congettura con cui tutti fino ad allora avevano avuto a che fare ed avevano fallito.

La dimostrazione

Per apprezzare la novità e la bellezza del risultato, pur non ripercorrendone tutti i passagi, proviamo a dare in breve qualche accenno della dimostrazione.

Per farlo partiamo dalla mail di Perelman e dal concetto che lui mette come incipit alla spiegazione: il flusso di Ricci.

Grisha aggredisce la congettura con metodi di geometria differenziale, quella parte della matematica in cui la varietà degli spazi geometrici è “passata al setaccio” con l’analisi matematica.

Prendendo come base le superfici, possiamo tradurre il “test di connettività” con il concetto di connessione. Una superficie si dice semplicemente connessa se ogni curva su di essa si può deformare ad un punto in modo continuo. Come abbiamo già detto sopra, il toro non è semplicemente connesso.

Ripetiamo la domanda che aveva fatto Poincaré: ogni superficie tridimensionale chiusa e semplicemente connessa si può deformare in una sfera a tre dimensioni?

Come spesso accade in matematica, la strada percorsa è totalmente diversa da quella topologica suggerita dalla proposizione del problema: sorge infatti l’idea di intendere la parola “deformazioni” in senso analitico e non topologico, usando equazioni differenziali a derivate parziali. Queste deformazioni in geometria differenziale sono chiamate flussi.

Il flusso di Ricci, di cui Perelman ci parla, in particolare ci indica come la geometria cambia con il tempo. Spesso l’equazione del flusso di Ricci è associata all’equazione del calore di Fourier: infatti l’idea è che, come l’equazione di Fourier ci racconta la dispersione della temperatura, quella del flusso di Ricci ci dà conto della dispersione della curvatura. Così, se una forma è irregolare e distorta, il flusso di Ricci rimuoverà queste anomalie perché asintoticamente diffonde la curvatura in maniera uniforme dando origine ad una geometria molto simmetrica come quella di una sfera.

Nella figura qui sotto è mostrato come il flusso di Ricci “regolarizzi” una figura molto frastagliata: la figura più a sinistra è la nostra di partenza, quella più a destra è la nostra figura dopo che la marea del flusso di Ricci ha smosso le sabbie dei fondali e ripianato le asperità.

 Schermata 2020-07-25 alle 18.33.13

L’utilità del flusso nella risoluzione del problema era stata evidente nel caso degli spazi a curvatura positiva: in maniera estremamente semplificata, uno spazio si dice a curvatura positiva quando localmente (cioè ingrandendo piccole parti di esso) è convesso, come la sfera.

Nella figura vediamo esempi di curvatura negativa (a sinistra) e positiva (a destra):

Schermata 2020-07-25 alle 18.33.29  
Nel 1982 Hamilton aveva dimostrato che per spazi a curvatura positiva il flusso di Ricci agisce trasformandoli in spazi simili alla 3-sfera. Quando la curvatura però non è strettamente positiva, la soluzione dell’equazione del flusso di Ricci diventa complicata perché non lineare: alcune parti dello spazio diventano lisce ma altre danno luogo a singolarità.
Le singolarità sono zone in cui lo spazio “degenera”, in cui non mantiene le proprietà, sono le colonne d’Ercole di ogni matematico. Difficile che chi abbia visto la bellezza del mondo fino a quei punti non abbia poi l’audacia di oltrepassarli come Ulisse.

Presentiamo ora l’equazione del flusso:

Schermata 2020-07-25 alle 18.43.28

L’equazione descrive come variano le distanze nel tempo (g è infatti una metrica) uguagliandole al tensore di Ricci, che altro non è se non una misura della curvatura nel tempo. L’equazione si traduce in un sistema di equazioni a derivate parziali che agisce deformando la metrica (e quindi tutta la geometria dello spazio) in due versi: contrae nelle direzioni in cui il tensore di Ricci è positivo ed espande in quelle in cui è negativo.

La domanda che ci facciamo è: che cosa ostacolò Hamilton nel dare la dimostrazione alla congettura con il risultato scritto sopra? Semplice: la comprensione delle singolarità. Da quel 1982 nessuno era riuscito a superare quel muro.

Perelman, nella sua famosa serie delle 3 bozze di articolo pubblicata online tra il 2002 e il 2003, usò proprio il flusso di Ricci ma con una serie di idee innovative.
Introdusse il concetto di entropia, che, come nel caso della misura del disordine a livello atomico, qui misurava il disordine della geometria globale dello spazio. Come l’entropia termodinamica, anche quella di Perelman aumentava inesorabile nel tempo.
Aggiungendo anche una versione locale di questa quantità (il funzionale lunghezza-L
), Perelman riuscì a comprendere le singolarità che si formavano sotto flusso di Ricci. Una volta comprese le singolarità sarebbe stato facilissimo tagliarle via per risolvere la congettura.

Dunque riepiloghiamo.
L’idea della dimostrazione di Hamilton era stata di deformare la metrica sulla varietà grazie al flusso di Ricci. In un tempo finito dovrà formarsi una singolarità (dove non potremmo deformare il cappio fino a farlo diventare un punto, come ipotizza la congettura).

I 3 tipi di singolarità sono:

  • Sfera che collassa
  • Collo che si stringe
  • Formazione di una cuspide.

Durante il flusso di Ricci, Perelman introduce due nuove quantità: l’entropia e la lunghezza ridotta (simile alla funzione distanza nello spazio-tempo). Per mezzo di queste due quantità riesce a trovare nuove stime sulle quantità geometriche durante la formazione di una singolarità.

A questo punto procede con l’idea di chirurgia.
Se ci troviamo sullo spazio M 
e supponiamo che è semplicemente connesso (come detto prima, ogni loop può essere trasformato in un punto senza uscire dallo spazio dato), la prima cosa che possiamo fare per deformarlo in una sfera è stringerlo fino a farlo diventare un punto.

L’ostacolo più grande alla soluzione però è la possibilità che lo spazio sia semplicemente connesso ma la metrica non abbia curvatura positiva. In quel caso la soluzione del flusso di Ricci può diventare singolare prima che lo spazio rimpicciolisca a causa della formazione, ad esempio, di colli che stringono parti dello spazio e in cui la curvatura diventa infinita. In questo modo il flusso di Ricci si ferma e non c’è modo di deformare la varietà in una 3-sfera. Per continuare l’evoluzione c’è bisogno di un intervento, e qui usiamo la “chirurgia”.

Detto in maniera poco rigorosa, con la chirurgia si eliminano dallo spazio M le parti che hanno una curvatura troppo grande con un’operazione di taglia e incolla. Infatti, si taglierà M lungo delle sfere $$\mathbb{S}^2$$ bidimensionali e i buchi restanti verranno poi chiusi con palle tridimensionali $$\mathbb{B}^3$$.

Guardiamo la figura presentata in occasione del flusso di Ricci durante l’operazione di chirurgia:

Schermata 2020-07-25 alle 18.33.43

La spiegazione appena data non rende però giustizia al procedimento di Perelman. Infatti, in maniera leggermente più rigorosa, Perelman introduce una nozione di similarità tra due spazi ponendo un limite alle derivate della funzione che serve ad identificarli. A questo punto passa ad identificare gli intorni delle singolarità grazie a questa nozione.
Il risultato è che quando la curvatura esplode e il flusso si estingue possiamo fermarci ad un tempo
immediatamente precedente al tempo della singolarità e trovare uno degli intorni delle singolarità appena introdotti.

A questo punto, posso incollare le $$\epsilon$$-gole, cioè i cilindri $$\mathbb{S}^2 \times (-\frac{1}{\epsilon},\frac{1}{\epsilon})$$ che modellavano gli intorni delle singolarità, o posso chiuderli con cappucci, intuitivamente come nella figura che segue:

 Schermata 2020-07-25 alle 18.34.53

Faccio poi ripartire il flusso di Ricci e in un tempo finito produco un altro insieme di sfere tridimensonali.

  Schermata 2020-07-25 alle 18.35.34

Conclusione

Vista la vasta conoscenza della Matematica che occorreva per analizzare una soluzione tanto innovativa, ci vollero, come detto, anni di verifiche.

Perelman rifiutò la medaglia Fields così come rifiutò il milione di dollari dal Clay Institute per aver risolto uno dei 7 problemi del millennio.
Alla base di questi rifiuti c’erano la sua visione del mondo e quel senso di correttezza che non lo avevano mai abbandonato fin da ragazzo. Anche se ufficialmente la sua laconica risposta fu un “non accetto perché il denaro porta solo violenza”, dietro si celavano alcuni fatti che avevano colpito la sensibilità di Grisha.

Durante gli anni della verifica infatti, Yau, matematico potente e rispettato, disse che la congettura era stata risolta da due suoi studenti, in una conferenza in cui anche Stephen Hawking era presente. Un matematico “di peso” come lui difficilmente poteva essere messo in dubbio. In più, i rifiuti di Perelman a comparire frequentemente in pubblico non lo avevano messo in buona luce.

Ricordate la storia delle derivate di inizio articolo? Bene, anche in quel caso, secondo Grisha, non c’era altro da dire, la matematica aveva già parlato. Come forse solo in matematica accade, la parte politica della questione alla fine non ebbe la meglio. La dimostrazione si rivelò esatta e Yau chiese scusa e ritrattò la sua ammissione di priorità nella scoperta.

E Grisha cosa pensò?

Un matematico presente alla premiazione della Fields che lo conosceva bene descrisse così la cosa

Lui vive secondo i suoi principi, ma non è aperto sulle sue motivazioni. E’ una persona emotiva ed usa la sua mente per spiegare le emozioni dopo che hanno avuto conseguenze”.

Possiamo immaginare le sue emozioni dopo che la comunità matematica, che riteneva esente da alcune bassezze, aveva messo in dubbio con una mossa politica la sua dimostrazione. D’altro canto, si fidava così tanto della comunità matematica da non pubblicare la dimostrazione in nessuna rivista, ma su un sito di bozze dove fosse disponibile a chiunque.

Accettare medaglia e denaro significava tradire i suoi principi (riallacciatevi pure alla frase di Poincaré che ho riportato sopra). Come per Poincaré, la concezione “aristocratica” della matematica ebbe la sua parte: il piacere di aver scoperto “un pezzo in più” sulla forma del mondo ripagava quel viaggio intellettuale. A tal proposito Gromov, uno dei grandi della geometria (che aveva conosciuto Perelman) prima del rifiuto del milione di dollari disse: “Non accetterà perché Grisha ha dei principi. Il premio di un milione di dollari è dato da businessman che nulla sanno della dimostrazione, così come il re di Spagna presente alla cerimonia per la medaglia Fields. Lui il suo riconoscimento lo ha avuto, il più alto di tutti: il piacere di dimostrare la congettura. Ci sono una serie di cose che accettiamo per conformismo, non dovremmo”.

Da quei rifiuti in poi Perelman sparì dalle scene, fece sapere che non si sarebbe più occupato di matematica. Alcuni lo hanno visto sulla metro di San Pietroburgo con un foglio in mano e l’aria trasandata, con gli stessi occhi penetranti con cui si fermava a guardare la lavagna ai tempi dell’università.

La sua integrità, la sua concezione della scienza, l’incapacità di accettare qualcosa solo “perché è così”, queste cose gli hanno permesso di scorgere orizzonti visibili a pochi.
Qualche anno fa ho incontrato Gang Tian ad una conferenza a Firenze. Tian è uno dei matematici che ha verificato la congettura e uno dei suoi migliori amici nel periodo in cui Grisha visse negli USA.

Ad una precisa domanda, l’unica volta nel suo discorso in cui la risposta ha implicato il nome “Perelman”, sul suo viso, e con i modi cordiali e misurati di sempre, si è dipinto un accenno di sorriso malinconico.
Chissà, probabilmente anche lui stava pensando per un momento alla leggenda diffusasi dopo il suo rifiuto. In giro per San Pietroburgo infatti, molti studenti indossavano una maglia con il suo volto e due scritte: “Rispetto” sul davanti e “Non tutto si può comprare” sulla schiena.

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