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Immagine di Chiara Valerio tratta dal suo account Twitter

Pubblichiamo questa intervista a Chiara Valerio autrice del libro “La matematica è politica” recentemente pubblicato da Einaudi.  

Il libro è acquistabile, per esempio, qui e qui.

Puoi leggere una precedente intervista alla stessa autrice pubblicata su questo blog dal titolo “Dove stanno le figura di Euclide”  cliccando qui.


 


Nel  tuo libro “La matematica è politica” si intrecciano racconti personali e riflessioni di ampio respiro. In questa intervista cercheremo  di dare, con il tuo aiuto,  una idea, anche se parziale, dei contenuti del tuo testo.

Invitiamo ovviamente i lettori del nostro sito ad approfondire   leggendo il tuo libro dove il tutto è affrontato in modo più esteso.

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Per prima cosa vorremmo chiederti come è nata l’idea di scrivere questo libro? Il periodo di pandemia ha influenzato  la sua scrittura e in qualche modo ti ha spinto a considerare più urgente la sua pubblicazione?

Il libro è quasi una committenza. Dopo Storia umana della Matematica, Ernesto Franco, direttore editoriale di Einaudi, mi aveva chiesto di pensare a un altro romanzo che avesse storia_umana_matematica_la matematica come protagonista. Era il settembre del 2016. Io sentivo di aver detto ciò che avevo da dire e soprattutto avevo in testa l’idea embrionale di quello che sarebbe poi diventato Il cuore non si vede. Così, riflettendoci gli ho detto che forse una cosa piccola piccola su matematica e democrazia avevo da scriverla. Il libro è stato scritto quasi tutto nell’estate del 2017. Il libello è stato aggiornato, in accordo con Andrea Bosco, responsabile editoriale di una parte della saggistica Einaudi, nei mesi della pandemia con alcuni esempi.

Mentre scrivevi il libro avevi in mente una tipologia particolare di lettori a cui volevi rivolgere questa tua opera? 

Non penso esista una tipologia di lettori. I lettori sono bradi, sono indefinibili, e sorprendenti. Penso che per me questo libro sia stata un’occasione, è nato in fondo come un’occasione, e spero lo rimanga pure per gli altri.

Nel libro la maggior parte delle riflessioni prendono spunto dalla tua esperienza, in particolare il tuo percorso di studio della  matematica. Qual è stata la tua formazione e cosa ti ha portata a intraprendere, poi, una professione che sembrerebbe apparentemente lontana da questa disciplina? 

Ho studiato durante gli anni dell’università e del dottorato alla facoltà di Matematica della Federico II di Napoli. Durante il dottorato, come era buona pratica, ho partecipato a molte scuole – mi chiedo sempre se oggi si chiamerebbero Masterclass – organizzate dalla Scuola Normale di Pisa, dalla Bocconi, dall’Università di Trento o Bologna ed era un modo per incontrare studenti da tutta Europa, talvolta anche dalla Russia o dall’America. Eravamo molto giovani e curiosi, studiavamo e giocavamo a calcetto, ogni tanto andavamo nelle feste di paese e ballavamo. Ogni tanto eravamo angosciati perché otto nove ore di lezione frontale al giorno sono pesati per quindici, venti giorni o un mese consecutivi. È stata una avventura, e le avventure spesso sfociano in racconti. Io ho sempre scritto, soprattutto ho sempre letto, anche durante gli anni di matematica. Poi, a un certo punto, ho avuto l’occasione di lavorare in editoria, e io e l’editoria ci siamo trovate assai bene insieme. Quindi, anche qui, un’occasione.

In un passo del libro  scrivi  che:

“studiare matematica è stata a oggi la più grande avventura culturale della mia vita. […]”

Perché ? E perché  quello che hai incontrato e  studiato dopo non ha avuto la stessa valenza di avventura culturale?

Non ho studiato alcuna disciplina in maniera così organica e verticale come la matematica. Forse certi autori sì, di certo Woolf, di certo Yourcenar, di certo Natalia Ginzburg, forse anche Ernesto de Martino e Carlo Ginzburg, forse Lo scimmiotto e di certo Fleur Jaeggy. Ma con la matematica e dentro la matematica ho passato tredici anni. Non so quanti anni abbia lei, ma io ne avevo 28 quando ho cominciato a fare altro, e tredici anni erano quasi la metà della mia vita. Per questo ho scritto la più grande avventura culturale.

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Bruno de Finetti (fonte wikipedia)

Una delle riflessioni centrali che fai nel tuo libro prende spunto dal pensiero di un  grande matematico, Bruno de Finetti:

“la differenza fondamentale da rilevare è nell’attribuzione del <<perchè>>, non perché il fatto che io prevedo accadrà, ma perché io prevedo che il fatto accadrà.”

Perché questa riflessione è così centrale per te a tal punto da ricordare esattamente il luogo in cui eri quando la leggevi per la prima volta?

Perché mi ha fatto capire che anche in matematica, in una disciplina che pare, che allora pareva anche a me, scevra da emotività, l’osservatore esiste e la sua presenza è probabilisticamente misurabile. Me lo ricordo perché è stata una appercezione, la rivelazione di una sensazione nascosta.

Sempre nel tuo testo più volte affermi che la matematica è una sorta di ginnastica posturale per stare al mondo e interpretarlo. La matematica, in qualche modo aiuta a tenere una postura etica. Perché secondo te ha questo ruolo?

Beh, la matematica è una disciplina di contesto. Studiarla significa imparare a comprendere quali sono gli elementi che definiscono un contesto, e quali altri invece ne sono definiti. Tra questi elementi esiste una logica – di un qualche tipo – che li lega e li gerarchizza (anche se è un termine che non amo) dal punto di vista della causa e degli effetti. La presenza, il pensiero attento, alla causalità mi pare un forma etica. Una postura etica che ci ricorda che le nostra azioni, riguardo un contesto, che siano compiute o no, hanno conseguenze.

Nel testo sottolinei che:

“la matematica non è la scienza degli oggetti ma delle relazioni tra oggetti così come la grammatica è la scienza delle relazioni tra le parole. […]”.

Perché sottolinei questa definizione della matematica che a molti sembrerà abbastanza controintuitiva?

Non so se è contro intuitiva. Ma forse ho risposto già nella domanda precedente. Poi la matematica è una disciplina che ha a che vedere con la coerenza. È la coerenza è interessante tra, non in sé. È interessante la coerenza tra le cose, e talvolta la rottura di una coerenza.

Tra le caratteristiche importanti della matematica ascrivi il fatto che sia accogliente rispetto all’errore. Cosa vuol dire?

Voglio dire che si può essere sicuri solo dell’errore. Pensi all’esempio che faccio nel libro, la certezza per centinaia, anzi quasi duemila anni, che la proposizione “i quadrati non possono essere negativi” fosse incontrovertibile. Invece è possibile, nei numeri complessi, che i quadrati siano negativi. Entusiasmante.

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Immagine tratta dal testo della prova di matematica dell’esame di maturità del 2017

Colpisce il fatto che in un brano ti soffermi a riflettere sul testo del problema di matematica dell’esame di  maturità del 2017. Questo problema è  famoso (o almeno è famoso per gli addetti ai lavori) perché  prendeva spunto da una foto di un uomo con paglietta, papillon e bretelle che pedala una bici dalle ruote quadrate.  Perché non ti piaciuto quel testo? Perché concordi con Leo Longanesi che diceva che alla manutenzione l’Italia preferisce l’inaugurazione?

Non è che non mi sia piaciuto il testo del problema, non mi è piaciuta la spettacolarizzazione. I motivi fisico matematici per cui una bicicletta con certe ruote quadrate avanza su una scala con certi gradini sono gli stessi per cui una biciletta con le ruote tonde avanza in piano (fino a quando non incontra un ostacolo la cui altezza è almeno pari al raggio della ruota). Se proprio bisogna spettacolarizzare per attirare l’attenzione degli studenti, almeno si può pensare a un altro punto di vista. Ma a me piacciono molto le cose che paiono lontanissime e si rivelano vicinissime o addirittura la stessa cosa.

Nel libro fai la seguente affermazione molto netta:

“Penso che studiare matematica educhi alla democrazia più di qualsiasi altra disciplina. Sia scientifica che umanistica”.

Perché? E perché la matematica dovrebbe educare alla democrazia più, per esempio, della storia, della giurisprudenza?

Perché vive e prolifera, esattamente come la democrazia, sulla certezza che autorità e regole siano due cose differenti. Che l’autorità è imposta e le regole sono condivise, ridiscusse e possono evolvere.

Per concludere ti chiediamo quali sono state le prime reazioni al libro? C’è stata, secondo te, una accoglienza diversa fra la comunità dei matematici e, più in generale degli scienziati, rispetto a quella più vicina alle discipline umanistiche?

Ho avuto finora reazioni entusiastiche, non tutti erano d’accordo su tutto (a partire da mio papà) ma mi pare che sia passato bene lo spirito del testo, cioè l’intenzione di voler sottolineare quanto per discutere e per vivere sia necessario avere una base condivisa di toni e modi e di come la matematica sia un naturale esercizio per tutto questo.

CC BY-NC-SA 4.0
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