L’articolo pubblicato su questo blog dal titolo “Divulgazione: tra formalismo, metafore e rischio Kazzenger” ha generato in rete una ampia ed interessante discussione.
Diverse persone hanno espresso la loro opinione attraverso lo spazio dei commenti sul nostro blog (qui il link diretto a questi), attraverso i Social Network (qui trovate i nostri Twitter e Facebook ) o i rispettivi siti.
Il problema della divulgazione non è nuovo e, come un fiume carsico, ogni tanto esce fuori.
Questa volta a far riaffiorare il tema della divulgazione siamo stati noi di “Math is in the Air” e, subito, sono arrivati diversi contributi (alcuni nuovi, altri che segnalavano precedenti riflessioni).
In questo post provo a raccogliere, in modo più o meno ordinato, questi articoli: pensiamo che ci siano degli spunti interessanti per i nostri lettori.
I primi contributi: riproporre l’autenticità della matematica
Parto con Roberto Natalini, direttore del centro di calcolo del CNR, che ci ha segnalato (all’interno della discussione nata sul gruppo facebook di MaddMaths) due sue precedenti, ma ancora assolutamente valide, riflessioni :
- Divertente, troppo divertente, la matematica della porta accanto
- La matematica, questa misconosciuta
Nel primo di questi articoli risalente al 2008 Natalini scriveva:
La divulgazione matematica si confronta oggi in Italia con un substrato di semplificazione dilagante e quasi-demonizzazione dei linguaggi formali, in cui quasi tutto viene tradotto e omogeneizzato in un linguaggio spesso povero e inadeguato, un linguaggio che aspirerebbe ad essere familiare – il sedicente linguaggio della porta accanto, appunto. […] E il matematico dei media è sempre un Archimede (se non un… Einstein) e magari strano, o se non è strano, almeno (per forza) geniale sotto un’apparenza di normalità: il genio della porta accanto. L’obiettivo della divulgazione matematica deve forse essere allora quello di riproporre concetti formali con linguaggi diversi, magari anche televisivi, ma con speciale riguardo all’autenticità delle cose.
Penso che questi due testi completino ed amplino quanto contenuto sul nostro post e, quindi, vi invito a leggerli. Le iniziative e le idee di Natalini nel campo della divulgazione sono sicuramente un punto di riferimento per chi scrive questo blog.
Peppe Liberti, invece, ci ha suggerito di rileggere una sua riflessione del 2011 che linkiamo qui (vi serve però Dropbox per leggerla). Il testo, dal titolo: “I dolori del giovane divulgatore” parla di divulgazione da una diversa prospettiva.
Maurizio Codogno, blogger sul Post e autore di diversi libri di divulgazione matematica, è intervenuto con diversi commenti (qui e qui ) sul nostro blog. Maurizio, che ringrazio dei suoi interventi, tra le varie cose, scrive che secondo lui è necessario che esistano tante tipi diversi di divulgazione:
proprio perché si parla di matematica a persone diverse con culture diverse, non c’è nulla di strano che non si possa parlare della divulgazione ma di tante divulgazioni diverse.
Ma ritiene che:
sulla divulgazione “alta” il problema è che temo non ci sia davvero mercato. Se io che faccio divulgazione “media” non tocco duemila copie di un libro è possibile che il problema sia il sottoscritto, ma più probabilmente è che gli interessati sono comunque pochi.
Gianluigi Filippelli sul suo sito risponde alle nostre riflessioni con un articolo dal titolo: “Discussione sulla divulgazione“. In questo testo riassume alcune sue obiezioni al nostro testo ed in particolare circa l’uso del formalismo scrive:
esistono moltissimi argomenti che possono essere raccontati senza alcun formalismo, ma la vera sfida, soprattutto per noi stessi che facciamo lo sforzo di raccontare la matematica (e anche la fisica!) è proprio riuscire innanzitutto a comprendere l’argomento di cui si vuole discutere. Mi spiego meglio: nel momento in cui il formalismo non è il velo dietro cui ci si nasconde perché in questo modo raccontare costa meno in termini di sforzo e tempo, allora è anzi ben accetto, e secondo me necessario.
Sul rischio da parte di alcuni divulgatori di parlare solo della scienza che fa notizia, invece, scrive:
Riguardo “l’essere sul pezzo”: secondo Dave Munger raccontare la scienza è essere sul pezzo sempre, anche quando si scrive o si parla di una scoperta di un secolo e più prima. E se alcune volte scrivere sulle ultime novità è quasi necessario, è molto più divertente seguire il proprio estro quotidiano, l’ispirazione data da una conferenza o dalla domanda di uno studente.
La discussione si allarga: storie naturali e letteratura scientifica
Sempre Gianluigi ci ha segnalato questo contributo di Massimo Sandal sul suo blog dal titolo: “Storie naturali”. Ammetto di aver trovato interessantissimo questo testo.
In particolare, in questo articolo, prendendo come spunto il libro Zanzare di Alessandra Lavagnino, c’è una riflessione sull’attuale modo di scrivere articoli scientifici (l’utilizzo per capirci dei papers) che viene così caratterizzato dall’autore:
E oggi manca, nella scrittura scientifica, la storia naturale. Manca il senso della natura come storia nel senso letterario del termine, come intreccio in cui siamo immersi, come reticolo in cui avvengono cose[…]. In ossequio alla scissione delle due culture, per dirla con C.P.Snow, umanistica e scientifica, la cultura umanistica ha perso il contatto col reale; ma viceversa la scienza ha smesso di comunicare all’uomo. Prendiamo la scrittura scientifica odierna. Al livello di comunicazione interna alla comunità scientifica, abbiamo i papers, le pubblicazioni scientifiche dei gruppi di ricerca. Papiri impenetrabili a volte anche per gli specialisti del settore, e non necessariamente per troppa densità concettuale.
Sempre in questo testo c’è, o almeno così l’ho interpretata, una critica a quella che l’autore chiama “Divulgazione 2.0” (che secondo noi è fondamentale ma rischia a volte di sfociare in un contenuto alla Kazzenger) e che viene così descritta:
La seconda è invece la “divulgazione 2.0”, qualcosa che possiamo riassumere, per usare il nome di un iconico sito, “I Fucking Love Science!” o IFLS. È quanto si diffonde oggi attraverso blog (anche di scienziati), pagine Facebook, video YouTube. Un calderone in cui rientrano i tweet in prima persona dei rover marziani e i TED talks, il geniale “what-if” di Randall Munroe/xkcd e le notti dei ricercatori[…]. La divulgazione IFLS si fa mondo reale tramite iniziative nei pub -beviamo una birra per parlare di scienza! o tramite reality shows come il FameLab dove i ricercatori devono creare in pochi minuti la presentazione più figa del proprio lavoro. Tutto dev’essere veloce, tutto dev’essere simpatico, tutto deve in qualche modo ispirare “ahahah!” e “wooooah cooool!”[…].
Di questa riflessione condivido sicuramente l’aver posto il problema di una
divulgazione che sia una divulgazione “alta” e che rientri a pieno titolo nella sfera della “cultura”. L’autore così scrive:
Sia chiaro: è un lavoro difficilissimo quello del giornalista, divulgatore, comunicatore scientifico -anche quello del vituperato giornalista di Focus, sì: spiegare concetti complessi e controintuitivi al pubblico in modo contemporaneamente chiaro, breve e accattivante è un puzzle che richiede pazienza e abilità, e in cui basta nulla per fallire. In tutto questo però si perde un passaggio, ed è quello che (con termine pessimo nel suo snobismo ma a cui non riesco ora a trovare un sostituto) chiamiamo “cultura alta”.
Quest’ultimo articolo ha provocato la risposta di Codogno in un post dal titolo: “Ancora sulla storia naturale” in cui riflette sul perché la scienza non sia considerata “cultura” ma non si lascia convincere (e in questo mi sento di condividere l’opinione di Codogno) dalla proposta di una divulgazione come “storie naturali”.
Sembrava essere finita qui.. e invece le riflessioni di Filippelli hanno portato ad un ulteriore intervento sul sito Neuromancer dal titolo: “Psicologia, matematica e divulgazione” in cui si allarga e generalizza la tematica del titolo anche alla psicologia (chi se lo sarebbe mai aspettato!).
Ad oggi sono queste le riflessione nate in maniera più o meno indiretta a seguito del post pubblicato qui su “Math is in the Air”. Qualora ne dovessero nascere ulteriori cercherò di condividerle.
Dal mio punto di vista tutti questi contributi non fanno che confermare l’utilità del progetto di questo blog dedicato alla divulgazione della matematica applicata.
Spero che, anche chi sia arrivato a leggere questo post fino in fondo, abbia trovato utili queste riflessioni.
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Intervengo per dare ragione a Gianluigi Filippelli sul fatto che esistono diversi modi di raccontare la scienza, che dipendono dall’estro e dalle competenze (anche letterarie) del divulgatore. Aggiungo che non esiste un pubblico uniforme, per cui è necessario decidere prima a chi ci si rivolge, e quindi modulare linguaggio e strumenti. Condivido anche la preoccupazione di Massimo Sandal sulla c.d. Divulgazione 2.0. Oggi la tecnologia ci fornisce nuovi strumenti (che vanno conosciuti bene o altrimenti meglio evitarli) e allarga potenzialmente la platea, ma occorre sempre la volontà di diffondere idee e conoscenza con rigore, non stupire con effetti speciali. Le tette per la scienza per favore no, ma neanche la solita conferenza che si crede innovativa perché si tiene in un pub.
grazie del tuo intervento.
Inevitabilemente,ma anche in base alle proprie competenze e stili, ci si sceglie anche un pubblico….il problema è che alla fine, a forza di suddividere, a tutti arriva solo il contributo alla Kazzenger e questo rischia di allontanare un potenziale gruppo di persone ( tutti i laureati in materie scientifiche degli ultimi 30 anni non sono pochi!) che misteriosamente non compra e non legge (per fare un esempio) libri divulgativi come dovrebbe. A cascata le case editrici impongono spesso un taglio ai testi divulgativi ed è un po’ il cane che si morde la coda….
Se la divulgazione è fatta bene e in modo rigoroso, non trovo niente di male nell’andare in un Pub (luogo dove specie nei paesi del nord europa vanno davvero tutti), o al comics a Lucca… anzi trovo l’idea geniale.
Penso che la ricerca di una maggiore interazione fra persone e divulgatore/scienziato ( un pub per esempio a differenza di una sala conferenze è impostato in modo da mettere tutti alla pari) sia necessaria nella divulgazione . Analogamente penso che cercare di incontrare le persone nei loro spazi (Natalini con la sua idea dei fumetti è stato geniale per esempio) sia anche questo necessario. Se incontrandoli davanti ad una birra, fra gli stand dei fumetti, hai interessanto il signor A o B penso che questi stessi li troverai la volta successiva in una libreria alla presentazione di un nuovo libro sulle scienze.
Concordo assolutamente sul fatto che, come tu scrivi, le tette no…non per la divulgazione… e infatti nel mio articolo originario avevo proprio sollevato il rischio della deriva verso Kazzenger.
Avevo seguito l’allargarsi della discussione, ma ritengo che abbiate fatto molto bene ad “inglobare” il tutto su questo post che così diventa un ottimo punto di partenza per chi fosse interessato all’argomento.
PS:
riguardo alla riflessione di Peppe Liberti, per chi non volesse fare a cazzotti con DropBox, QUI trovate il PDF completo.