Provare a fare divulgazione scientifica, ed in particolare matematica, è come camminare sulla cima di una montagna. A sinistra e a destra hai il vuoto.
Da una parte hai il vuoto dovuto ad un contenuto trasformato in una “storiella”.
Dall’altra, invece, si ha una divulgazione così “alta” e con un livello di formalismo tale da non essere più leggibile se non da esperti del settore (ma a quel punto, qualcuno obietta, non conviene leggersi il testo originale?).
E’ possibile camminare su questo sentiero stretto fra “favola” e “articolo incomprensibile ai più “?
E soprattutto: vale la pena provare a fare questo sforzo? Serve a qualcosa?
Chiunque si occupa, a vario livello, di scienza ha il dovere di divulgare o questo è un compito che spetta a pochi professionisti preparati?
In questi mesi ho avuto modo di discutere, anche se non in modo organico, con alcuni autori di questo blog. Inserisco qui le mie opinioni personali sulla divulgazione.
Ovviamente queste sono solo mie opinioni personali e (come scritto qui tra le regole) ogni autore di questo blog può scegliere autonomamente il taglio e lo stile dei propri articoli.
Invitiamo da subito i nostri lettori ad esprimere una loro opinione, inserendo degli eventuali commenti in fondo a questo articolo, che più che dare risposte cerca di porre domande.
Quello che unisce: emergenza della divulgazione
Penso che quasi tutte le persone che si interessano di scienza condividano l’idea che sia necessaria la presenza di una seria divulgazione. Gli aneddoti sull’ignoranza scientifica, e l’incompresione nei confronti del fondamentale ruolo della ricerca, sono noti a tutti. La divulgazione dovrebbe, infatti, puntare a diminuire il divario fra ricerca e “persone comuni”.
In merito all’attività divulgativa credo ci sia una maggioranza di persone che concordano sui seguenti punti:
- raccontare la scienza non è per niente semplice (neanche fra colleghi, così come l’iniziale disegno del grande fisico Bruno Touschek simbolicamente rappresenta).
- Raccontare la matematica è ancora più difficile, poiché spesso il livello di astrazione aumenta. Il rischio, se non si riesce, è che restino i luoghi comuni sulla disciplina.
- È presente un diffuso consenso sociale sul fatto che si possa essere totalmente ignoranti in matematica.
- Istruire è compito in primo luogo della scuola: la divulgazione non si sostituisce a questa e, anzi, ha bisogno di una buona scuola
Circa il penultimo punto, è esperienza comune di molti insegnanti di matematica avere colleghi di area umanistica che dichiarano (senza vergognarsi!!) di non aver mai capito niente di matematica, non rendendosi conto del messaggio sbagliato che passa agli studenti. Candidamente lo ammettono anche molti genitori, sottovalutando il fatto che in maniera implicita dichiarano al figlio: “la matematica non serve: io, nella vita, ce l’ho fatta senza”. (In fondo a questo post inseriamo alcune citazioni tratte da testi di “noti” autori che aggiungono ulteriori riflessioni sulla matematica, il suo ruolo e come la si insegna).
Riguardo la matematica, poi, è veramente un mistero il fatto che argomenti relativi a fenomeni come teoria delle stringhe, buchi neri e simili generino molto più interesse di argomenti matematici come, per esempio, la probabilità. Quest’ultima è un qualcosa di molto più pervasivo nella vita di tutti i giorni, eppure sembrerebbe generare meno curiosità.
La colpa è solo della cattiva divulgazione scientifica matematica? O c’è altro che ci sfugge? Chiediamo un aiuto ai nostri lettori e li invitiamo a scrivere nei commenti le loro opinioni su ciò.
Quello che divide: quale divulgazione?
Ci sono alcuni punti, però, su cui non tutti concordano. Ne inserisco qui alcuni, che potranno essere eventualmente integrati da chi ci legge:
- La attività di divulgazione è parte integrante di chi fa ricerca. Raccontare quello che si studia e realizza è un dovere.
- Non esiste un unico modo di divulgare e neanche un unico pubblico. Spesso si dimentica che la divulgazione si dovrebbe rivolgere in modi diversi ad un pubblico molto vario di persone (dallo studente di scuola, al laureato in lettere, all’ingegnere in pensione, al medico affascinato dalla matematica). Anche la divulgazione dedicata a chi ha già una formazione scientifica è importante.
- I mezzi scelti cambiano il modo di divulgare. Nelle pagine di un libro si racconta la matematica in modo diverso che su un blog o in un video.
- La divulgazione necessita, per funzionare, di superare l’approccio unidirezionale per seguire un approccio in cui il divulgatore interagisce con gli interessati
Sul primo punto, per esempio, molte persone non concordano. Molti pensano che il ruolo del ricercatore è fare ricerca e il resto è compito di altri.
Aneddoti + Metafore+ Ragionamenti +Formule
Da quando è nato il progetto di questo blog, in più occasioni, mi sono confrontato con gli altri autori con domande del tipo: “Si capisce?”, “E’ troppo formale?”
Gli articoli di Maurizia sulla probabilità, di Roberto sulle equazioni differenziali o di Daniele sui campi finiti, sono esempi di articoli in cui ad un certo punto ci sono (eccome!) le formule o le definizioni formali.
Post come quelli di Fabrizio sulla teoria dei grafi o quello di Francesco sul mcm o MCD, sono invece esempi di articoli in cui la parte di matematica formalizzata è ridotta.
Per alcuni, probabilmente, questi due approcci non potrebbero convivere insieme.
In questo progetto di blog cerchiamo di farli coesistere, anche perchè il tipo di mezzo (sito internet) non necessita di uniformità e, quindi, può contenere testi con difficoltà diverse.
Sempre di più mi sto convincendo, infatti, che divulgare è divulgare a tutti, in base alla competenze di ciascuno, e rischia di essere riduttivo restringersi ad un pubblico o ad un approccio.
Più nello specifico, provo a delineare quelli che secondo me sono degli aspetti importanti per testo divulgativo:
- il tema dovrebbe generare interesse: per farlo è utile partire dalla propria esperienza, da aneddoti, da problemi veri e concreti che possano interessare e incuriosire il “lettore/fruitore”.
- Per spiegare alcuni concetti è necessario provare a introdurre delle metafore/analogie per dare al lettore una “idea intuitiva” che possa aiutarlo nella comprensione.
- Un buon testo divulgativo dovrebbe sollecitare in modo attivo il “lettore/fruitore” di un contenuto in modo da stimolarne ragionamenti e riflessioni e l’utilizzo delle conoscenze (il lettore non è una “tabula rasa”).
- Un testo divulgativo (e questa è la sfida!) dovrebbe contenere il minimo indispensabile di formalismo. Evitare le formule, non sempre è un bene.
Il primo punto è davvero importante. Se, infatti, decidiamo di parlare di un certo argomento A, è ampiamente probabile che, ricercando su internet, saranno già presenti (anche solo su wikipedia per esempio) dei materiali. Perchè, allora, aggiungere altro? La risposta non può che essere che il testo deve differire da quello di wikipedia perchè è scritto in modo da generare l’interesse anche di chi non sta esattamente cercando quel tema.
Inoltre, il testo dovrebbe essere caratterizzato da un linguaggio in grado di mediare fra il lettore ed i contenuti (questa frase è facile scriverla ma è poi difficile realizzarla!). Trovo particolarmente interessanti alcune riflessioni sull’uso delle metafore/analogie nella scienza. Non è a tutti noto che un importante utilizzo delle metafore avviene nelle scienze e non solo nella poesia.
Forse più del poeta infatti, lo scienzato (e in seconda battutta il divulgatore e l’insegnante) si trova a cercare di spiegare fenomeni mai osservati nei confronti dei quali il linguaggio è carente. Ecco che storicamente ci si inventa il nome “numero immaginario” $$i$$, ecco che si parla del concetto di onda e di particella.
Nell’insegnamento e nella divulgazione le analogie e le metafore diventano spesso fondamentali per veicolare un concetto.
Ovviamente la cosa non è priva di rischi e senza le dovute attenzioni può portare a dagli errori, e la divulgazione come la didattica è piena di “metafore” che rischiano di indurre in errore.
Riflessioni interessanti sull’uso della metafora le trovate in questo articolo dal titolo “Metafore e comunicazione scientifica” ed anche in questo altro testo.
Un altro aspetto, secondo me, importante è lo scrivere articolo che cerchi di coinvolgere il lettore e stimolarne il suo ragionamento e le sue riflessioni coinvolgendo le sue competenze. Troppo spesso la divulgazione rischia di diventare un elencare/raccontare dei fatti e troppo spesso viene fatta solo cavalcando una notizia e non provando a generare interesse di qualcosa di nuovo e poco noto (per capirci muore Nash e tutti a parlare della sua morte perchè c’è stato un film su di lui, muore un altro matematico di pari importanza e nessuno, salvo lodevoli eccezioni, che ne parli).
Penso che una divulgazione che punti solamente ad “informare”, che eviti in ogni modo l’utilizzo del linguaggio specifico (e quindi delle formule), che insegua la notizia estemporanea che interessa di più in quel momento (portando più visitatori), sia molto vicina a diventare una replica di Kazzenger (se non sapete cosa è vedete il video qui sotto).
L’idea di questo blog nasce dalla consapevolezza dell’urgenza della divulgazione e dall’idea che solo raccontando la “matematica applicata” si possa riuscire a dare una nuova visione della matematica che sia condivisa e goda, quindi, del consenso sociale.
Vorrei che questo blog provasse a fare tutto questo cercando di evitare di cavalcare la notizia, di limitarsi a raccontare storie e soprattutto evitando derive alla Kazzenger.
Citazioni
– Morris Kline
Benché la matematica abbia dato questi contributi non certo modesti alla nostra vita e al nostro pensiero, le persone istruite rifiutano quasi universalmente la matematica come oggetto d’interesse intellettuale. Questo atteggiamento è in un certo senso giustificato. Le lezioni scolastiche e i libri di testo ci hanno presentato la “matematica” come una serie di procedimenti tecnici apparentemente privi di significato. Un tale materiale è rappresentativo della disciplina nella stessa misura in cui un’enumerazione del nome, della posi- zione e della funzione di ogni osso nello scheletro umano è rappresentativa di quell’essere vivo, pensante ed emotivo che è l’uomo. Come una frase perde il suo significato o ne acquista uno non intenzionale una volta strappata al suo contesto, così la matematica, staccata dal suo ricco ambiente intellettuale nella cultura della nostra civiltà e ridotta a una serie di tecniche è stata grossolanamente distorta. Poiché il profano fa assai poco uso della matematica tecnica, ha fatto resistenza al materiale spoglio e arido quale viene presentato di solito. La conseguenza è che un argomento fondamentale, di vitale importanza e tale da elevare lo spirito, viene trascurato e disprezzato da persone peraltro di buon livello intellettuale. Di fatto l’ignoranza della matematica viene considerata, a un certo livello della scala sociale, un fatto positivo.” La matematica nella cultura occidentale, Milano, Feltrinelli, 1976, pp. 9-10. (ediz. orig. 1953)
– Courant:
Courant e H. Robbins, “Che cosa è la matematica”. ed. Zanichelli
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Credo che per creare persone scientificamente e matematicamente consapevoli si debba pensare ad un progetto a lungo termine. Temo che si tenda a rivolgere i lavori di divulgazione scientifica agli adulti, al più agli studenti delle superiori, mentre si deve cominciare a fare divulgazione negli asili, nelle scuole elementari e medie. Mi è capitato tra le mani un libro di scuola media ( purtroppo non ricordo titolo ed autore) pieno di tristissime pagine piene di espressioni, decine di pagine piene zeppe di sole espressioni. Il professore che lo aveva adottato aveva anche pensato che per le vacanze di Natale dare un ventina di problemi di geometria ( tutti uguali a se stessi, unica differenza i numeri) e la bellezza di 60 espressioni… Con un imprinting di questo tipo la partita è persa in partenza. Ecco quindi la necessità di divulgare, divertendo ed incuriosendo, fino dai primi anni di scuola. Ovviamente l’impresa è veramente ardua, ma se non si parte presto si rischia di non avere una platea a cui rivolgersi in futuro.
Grazie Donatella delle tue riflessioni. E’ vero che gli studenti già alle medie o alle superiori arrivano con dei forti pregiudizi contro la matematica dovuto tra le altre cose anche alla scuola che non aiuta con alcune forme di esercizi ripetivi.
La divulgazione anche per i più piccoli è quindi davvero importante.
Da insegnante però osservo che (così come per ogni attività dalla musica allo sport) c’è sempre una componente ineliminabile di “allenamento” che porta a proporre esercizi ripetitivi. Il problema è capire il giusto limite e la giusta via di mezzo…
(a) proprio perché si parla di matematica a persone diverse con culture diverse, non c’è nulla di strano che non si possa parlare della divulgazione ma di tante divulgazioni diverse.
(b) per interagire occorre un mezzo che faccia interagire. Un blog può più o meno farlo, una “conferenza” (diciamo una chiacchierata) può farlo meglio, un articolo o un libro non possono farlo per definizione. Ma non credo sia un problema superare l’appoccio unidirezionale: proprio perché ci sono tante divulgazioni diverse ognuno potrà trovare quella che più gli si attaglia – o almeno si spera.
(c) buchi neri e (soprattutto!) teoria delle stringhe infatti non sono “raccontati”, il che mostra che per quanto astratta sia la matematica contemporanea qualcosa ci si può sempre inventare. E comunque inizierei ad accontentarmi di raccontare la matematica fino a metà del XIX secolo che è ancora piuttosto concreta.
grazie delle tue osservazioni puntuali.
Sul punto (a) hai ragione, ma secondo me il rischio è che si finisca per dimenticare che esiste anche una divulgazione “alta” e la conseguenza di questo è che molti laureati in discipline scientifiche (e non ) non trovano, (o probabilmente non hanno l’abitudine culturale) delle proposte adeguate per loro ed il settore (per esempio l’editoria) divulgativo si restringe ad un pubblico ristretto.
circa punto (b) Hai ragione sul fatto che il mezzo unidirezionale rimane e non deve essere abbandonato. L’idea è che è necessario essere consapevoli che al mezzo unidirezionale sempre di più chi fa divulgazione dovrebbe affiancare occasioni di incontro, laboratori, conferenze. Molti ovviamente già lo fanno… ma forse c’è ancora spazio per sperimentare e provare.
circa punto (c): hai ragione che c’è molto margine di lavoro da fare e da inventare e di possibilità (a partire come scrivi tu dalla matematica fino a metà del XIX secolo) ce ne sono eccome…. vanno sperimentata. Però credo che concorderai anche tu che la divulgazione, per esempio, della fisica sembra avere una marcia in più rispetto rispetto a quella matematica… è una cosa su cui, penso sia necessario riflettere.
i fisici sono più bravi di noi matematici a tirare fuori immagini potenti. Non penso tanto alla cosmologia (lì giocano facile) ma a meccanica quantistica e teoria delle stringhe. Nel primo caso hanno trasformato un problema (le equazioni funzionano ma per noi non hanno nessun senso) in un’opportunità (i racconti sulle interpretazioni); nel secondo hanno preso una struttura puramente matematica e l’hanno ammantata di mistero (dimensioni impacchettate, brane…). Però hanno anche un grande vantaggio: secoli di Gedankenexperimente, a volte neppure concettuali – vedi Galileo.
Sulla divulgazione “alta” il problema è che temo non ci sia davvero mercato. Se io che faccio divulgazione “media” non tocco duemila copie di un libro è possibile che il problema sia il sottoscritto, ma più probabilmente è che gli interessati sono comunque pochi. Per quanto riguarda i ricercatori che dovrebbero fare divulgazione, il mio ponderato giudizio da esterno è “boh”. È la stessa storia della didattica: c’è chi è più portato per una cosa e chi per l’altra, non possono essere tutti dei Conway. Diciamo che provarci sarebbe giusto, ma senza pretendere di diventare chissà chi.
circa divulgazione “alta”, mi ricordo che il mio prof di metodi matematici sosteneva che non è sempre stato così… che nel primo novecento di libri di matematica se ne vendevano in italia in proporzione molti di più
ora io non ho avuto modo di verificare le fonti… di una cosa sono sicuro: dato il numero di ingegneri, fisici, informatici, geologi, chimici, statistici e ovviamente matematici presenti in italia e i laureati sfornati ogni anno in italia per queste discipline, il numero di potenziali interessati c’è.
La cosa strana è che, per esempio, l’ingegnere medio non sembra sentire il bisogno nel corso della sua vita di leggere libri salvo forse quelli più strettamente legati al suo lavoro…
è una abitudine culturale che va scardinata…
Anche fra gli insegnanti di area scientifica mi sembra che ci sia una bassa abitudine a leggere libri divulgativi delle loro materie ( anche solo per rimanre aggiornati) e a loro volta a consigliarli ai loro studenti.
In fondo gli insegnati di italiano fanno leggere spesso testi di Calvino, Pavese o altro…
se invece a proporre la lettura e l’acquisto dei libri è un docenti di matematica sembra una cosa strana…
In sintesi: il mercato per la divulgazione “alta” ci sarebbe e potrebbe essere numericamente rilevante… come si può fare ad attivarlo?
p.s. complimenti per le 2000 copie!… non sono poche!
mah, a parte il Ghersi e qualche manuale Hoepli non mi vengono in mente esempi di libri di matematica del primo ‘900. Se la parola chiave è “in proporzione” allora forse sì, ma solo perché si vendevano meno libri di narrativa (e non so se la saggistica non scientifica esistesse)
Quello che è tristemente vero è che in genere il laureato scientifico in Italia non legge, o almeno non legge saggi divulgativi scientifici. Ma mi sa che paradossalmente la colpa è degli insegnanti di materie letterarie che non danno l’abitudine alla lettura, oltre che dei saggisti nostrani che scrivono in modo da fare addormentare il lettore…
(a 2000 copie non ci sono arrivato, sono 1600 cartacee più un’ottantina di elettroniche)
Magari ti rispondo sul blog in maniera più estesa (ci sto pensando, in effetti, però non garantisco…), qui invece provo con un paio di punti, quelli che nell’immediato mi hanno colpito di più.
Innanzitutto il formalismo: esistono moltissimi argomenti che possono essere raccontati senza alcun formalismo, ma la vera sfida, soprattutto per noi stessi che facciamo lo sforzo di raccontare la matematica (e anche la fisica!) è proprio riuscire innanzitutto a comprendere l’argomento di cui si vuole discutere. Mi spiego meglio: nel momento in cui il formalismo non è il velo dietro cui ci si nasconde perché in questo modo raccontare costa meno in termini di sforzo e tempo, allora è anzi ben accetto, e secondo me necessario. Poi, ovviamente, le scelte personali sono indiscutibili e non si possono accontentare tutti i lettori, ma credo che anche le equazioni si possono utilizzare in modo intelligente e poco invasivo. E’ abbastanza ovvio, però, che con l’aumentare del formalismo, diminuiscono i lettori che possono fruire appieno dell’articolo stesso. Ovvero nel momento in cui scegli il livello di formalismo, stai più o meno implicitamente scegliendo un target di lettori.
Riguardo la statistica: devo dirti che, invece, ho riscontrato un certo interesse nei confronti della materia e della probabilità. Ho avuto modo di affrontare l’argomento sia in un diurno sia, nell’ultimo anno scolastico, in un serale, e in entrambi i contesti è stato qualcosa che ha catturato l’attenzione. L’atteggiamento è stato differente: al diurno i ragazzi più brillanti o quelli di quinta, al serale era un po’ più generalizzato. E credo che in generale questo sia un argomento che si presta molto bene per essere raccontato.
Riguardo “l’essere sul pezzo”: secondo Dave Munger raccontare la scienza è essere sul pezzo sempre, anche quando si scrive o si parla di una scoperta di un secolo e più prima. E se alcune volte scrivere sulle ultime novità è quasi necessario, è molto più divertente seguire il proprio estro quotidiano, l’ispirazione data da una conferenza o dalla domanda di uno studente.
E infine: il rischio Kazzenger c’è sempre, anche quando si hanno le migliori intenzioni e l’unico modo per limitarlo è, secondo me, prestare attenzione. Non si annulla del tutto, certo, ma l’importante è essere aperti al confronto con i lettori che se ne accorgono!
Grazie Gianluigi per aver aggiunto le tue riflessioni…. speriamo in un tuo post sul tuo blog con una tua riflessione più ampia (se lo fai segnalacelo!)
Hai ragione che il formalismo non deve essere il velo dietro cui nascondersi…ed è vero che ci sono molti argomenti in cui non è strettamente necessario. Però secondo me è anche vero che la matematica è anche il suo formalismo e divulgare significa a volte provare a divulgare anche questo.
Circa la statistica/probabilità: hai ragione che inzia ad esserci interesse ma non ancora in modo proporzionale alla onnipresenza di questi argomenti nella realtà (in una qualunque libreria nel reparto scienze i libri su stringhe, buchi neri e particelli sono almeno il triplo di quelli su probabilità e statistica)
Sulla questione dell’essere sul pezzo hai ragione…si deve cercare di essere sul pezzo…ma non sul pezzo dei giornali generalisti… sul pezzo di quello che si pensa sia necessario raccontare perchè importante…
….ancora grazie… e aspettiamo il tuo post eventuale in merito.
Complimenti per l’articolo. È possibile avere un contatto dell’autore (Twitter, Facebook, email)?
grazie dei complimenti.
In questa pagina http://www.mathisintheair.org/wp/contatti/ trovi una mail a cui puoi scrivere