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Proponiamo a tutti voi Lettori, questa  intervista/recensione del libro “Capra e Calcoli. L’eterna lotta fra algoritmi e il caos” scritto a quattro mani da Dino Leporini, professore di fisica dell’università di Pisa e da Marco Malvaldi chimico e noto scrittore di gialli.

In questa prima parte dell’intervista gli autori, rispondendo alle nostre domande, raccontano le principali tematiche di questo  libro vincitore dell’edizione 2014 del  Premio per la Divulgazione Scientifica .

Parte 1: Capra e Calcoli. L’eterna lotta fra gli algoritmi e il caos

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Leporini (a sinistra) e Malvaldi (a destra) durante la premiazione al CNR del libro “Capra e Calcoli” (foto di A. Golfieri)

D- Com’è nata l’idea di scrivere un libro su quest’argomento e come mai a quattro mani?

Dino: l’idea è venuta a Marco che ha saputo stuzzicare la mia curiosità: come scrivere un libro divulgativo su algoritmi e robot in un paese tradizionalmente ostile alla matematica e poco avvertito dei limiti e dei rischi delle sue molteplici applicazioni?

Per l’italiano medio la matematica è “esatta”, non può sbagliare. Quindi perché diamine le previsioni meteo toppano? Su cosa sia un robot, poi, siamo fermi a Star Wars o giù di lì. Come spiegare che sono già “loro” a decidere il prezzo di un libro guardando su internet cosa offre la concorrenza, e che sono spesso “loro” che pilotano i droni negli scenari di guerra, che controllano i due terzi dei mercati finanziari e che ci potrebbero sostituire in molte occupazioni da qui a pochi anni ? Insomma dovevamo affrontare almeno in due una sfida del genere, da far tremare i polsi.

D- La prima cosa che colpisce del vostro libro è proprio il  titolo.  Senza fare eccessivi SPOILER  potreste spiegarlo ai nostri lettori?

Dino: Penso che sia ora di rivelare un piccolo segreto circa il titolo. Per tutta la scrittura del libro abbiamo pensato di intitolarlo “Sembra vero“, alludendo alla – pericolosa – tendenza a scambiare l’imitazione con l’originale o la simulazione con la realtà. Ma un robot non è almeno per ora un uomo e un algoritmo non riproduce il pensiero umano. Sono entrambi prodotti dell’ uomo e quindi perfettibili. Se lo dimentichiamo e ci lasciamo tentare dall’idea che robot, computer e algoritmi sono infallibili, possono arrivare guai. Anche grossi. Nel libro riportiamo diversi esempi. In questa sede forse è appena sufficiente ricordare le innumerevoli pezze, le famose “patches“, che seguono ogni nuova release di una app.

Il titolo che ci piaceva tanto però non ha entusiasmato il nostro Editore, che ci ha invece proposto “Capra e calcoli“, forte anche di un minisondaggio effettuato tra alcuni librai che lo hanno trovato più accattivante del nostro. Ubi maior… Perché “Capra e calcoli“?

Il titolo allude ad un quiz a premi condotto dal famoso presentatore televisivo Monty300px-Monty_open_door.svg Hall. Il concorrente ha di fronte a se due possibili vincite: una Ferrari o una capra. Nel libro mostriamo che la strategia migliore per tornare a casa da gran signore è decisa dal calcolo della probabilità. Sfortunatamente, la mente umana però lavora male con la probabilità e tende ad affidarsi all’ intuito. Seguendo questa strada, il gioco guida il concorrente verso la risposta sbagliata. In buona sostanza il titolo del libro pone un primo avvertimento: ci sono situazioni in cui la dote più ammirata dell’uomo, il suo intuito, non funziona. E lo strumento alternativo più opportuno, la valutazione delle probabilità, non è di facile uso per la nostra mente. Mentre un algoritmo ed un computer lo manipolano con facilità. Il risultato è che “loro” “vedono” cose che il nostro intuito non coglie. Finché tutto ruota intorno ad un quiz è poca cosa, ma pensiamo alle analisi statistiche dei cosiddetti “Big Data”, la summa dei nostri comportamenti in rete, da cui per esempio discendono le pubblicità mirate al cliente e le notizie filtrate dai siti giornalistici. Insomma, la possibilità di racchiuderci in “bolle” isolate dal mondo reale.

D- Entrambi avete esperienza di simulazioni computazionali. Quando siete entrati in contatto con questa tematica e più in generale dei principali temi trattati nel vostro libro? 

Dino: mi sono avvicinato alle simulazioni numeriche per affiancarle alla mia attività di ricercatore sperimentale. Sono stato incuriosito dalla possibilità di utilizzare modelli anche molto elementari per studiare in modo accurato il comportamento di singoli atomi. Mi occupo di polimeri, sistemi costituiti da “macromolecole”, e in questo campo è indispensabile ricorrere a più tecniche di indagine per migliorare il grado di comprensione. La simulazione è utile per chiarire i risultati di un esperimento o, viceversa, per suggerirne di nuovi.

Esempio di simulazione tratto da uno degli articolo di Leporini

Esempio di confronto fra simulazioni (curva nera continua ) e dati sperimentali tratto da uno degli articolo di Leporini

I temi trattati nel libro hanno poco a che fare con la mia attività di ricercatore. Diciamo che molti spunti sono arrivati stando alla finestra: leggendo giornali, ascoltando dibattiti in televisione, chiacchierando con amici. A poco a poco è diventato chiaro che qui in Italia si pensa sempre che robot e algoritmi siano fantasie cinematografiche o “americanate”, mentre sono ormai solide realtà in grado di influenzare la nostra esistenza, magari sfilandoci il posto di lavoro nel giro di un decennio o giù di lì. Marco ed io abbiamo pensato che qualcuno doveva pur incaricarsi almeno di fare un fischio, specialmente ai nostri figli.

Marco: ho iniziato a fare simulazioni nel campo dei polimeri anche io, proprio per effettuare calcoli che erano impensabili da affrontare analiticamente. E ho imparato moltissimo dalla pratica quotidiana del programmare. Col computer non puoi mentire, o far finta di sapere cose che non sai; è un servo fedele ma stupido, che fa quello che tu gli dici di fare. E programmando scopri che le possibilità di errore sono molto maggiori delle tue capacità di previsione… è un fatto orami che molte persone danno credito alle loro informazioni dicendo “l’ho letto su internet” oppure “è stato calcolato al computer”, ma il fatto che sia stato calcolato al computer significa solo che è stato fatto molto velocemente, e con grandissima precisione numerica. Ma se la ricetta a monte è sbagliata, è sbagliata. Imparare quando fidarsi e quando non fidarsi è fondamentale, in questo tipo di relazioni piuttosto unilaterali.

 D- Nel secondo capitolo parlare del matematico polacco Ulam e del metodo Metropolis. Potreste, per incuriosire i nostri lettori, accennare di che cosa si tratta?

Dino: come ho detto, i computer sono molto abili a risolvere problemi utilizzando metodi statistici. Il metodo Monte Carlo, sviluppato da Nicholas Metropolis, sfrutta

Nicholas Metropolis

Nicholas Metropolis

questa capacità. L’idea è di utilizzare in modo ripetuto numeri casuali per riprodurre un evento (la caduta di un ago sul pavimento), un processo (il trasporto di neutroni, il comportamento dei mercati finanziari), un oggetto (una molecola flessibile) in molti modi differenti. L’obiettivo è utilizzare questo campionamento per ottenere utili informazioni medie. Uno degli esempi che ho citato – la caduta di un ago sul pavimento – non è casuale (con involontario gioco di parole) e dimostra molto bene la potenza del metodo Monte Carlo. Nel 1700 il matematico Buffon provò che il numero p si poteva ottenere lasciando cadere un ago lungo L su di un pavimento realizzato con assi di legno larghe $$ t > L$$ e calcolando la probabilità che si collocasse in modo da toccarne due. Questa probabilità è infatti pari a $$p= \frac{2L}{\pi t}$$. Raggiungere una precisione sufficiente nella stima di p ripetendo più volte l’esperimento di Buffon è faticoso, ma riprodurlo al computer, simulando il lancio casuale dell’ago, è molto semplice e permette di raggiungere risultati molto più soddisfacenti.

Marco: il Monte Carlo venne pensato da Ulam dopo una encefalite tremenda, che gli lasciò dei dubbi sulle sue facoltà mentali. Per testarle, si mise a giocare a solitario, e dopo qualche partita si chiese se non c’era un metodo per prevedere le possibilità di vittoria; si rese conto presto che un ridotto campionamento delle possibilità totali del mazzo, una specie di sondaggio fatto contando quante vittorie si ottenevano giocando a caso dopo aver mescolato, si avvicinavano inesorabilmente alla risposta esatta. È notevole che Monte Carlo sia nato pensando a come risolvere un gioco, dato che la stessa teoria delle probabilità era nata da un problema di gioco d’azzardo. Sottolinea come perdere tempo in modo intelligente sia fondamentale per far avanzare la conoscenza umana…

D- Nel quarto capitolo, parlate di modelli matematici applicati all’economia ed in particolare dei Collaterilized Debt Obbligation (CDO) e del modello matematico dello statistico David Li che faceva uso della “Copula Gaussiana”. Vorreste spiegare ai nostri lettori di cosa stiamo parlando ed in che modo sono legati alla scorsa crisi dei mutui americana?

Dino: Un Collateralized Debt Obligation (CDO) è una particolare obbligazione, ovvero un prestito erogato ad un’ impresa o ad una banca. Le obbligazioni, un tempo strumenti finanziari tranquilli, sono diventate nel corso degli ultimi anni oggetti complessi, strutturati e molto opachi. E quindi rischiosi, come – ahimé – qualcuno ha appreso sulla propria pelle nelle scorse settimane. Il rischio è spesso nascosto nelle garanzie offerte da chi emette le obbligazioni per assicurare la restituzione del prestito.Gaussian_copula Nel caso delle CDO emesse negli Stati Uniti, a garanzia del debito vi erano altri debiti: mutui ipotecari sottoscritti per l’acquisto di case. In pratica, le banche che avevano emesso CDO utilizzavano i pagamenti dei mutuatari per rimborsare le somme che avevano ricevuto in prestito da chi aveva sottoscritto le obbligazioni. Alcuni di questi mutui a garanzia erano di categoria subprime, ovvero erano stati richiesti da persone finanziariamente poco affidabili. Per solleticare i potenziali acquirenti di CDO le banche hanno utilizzato due meccanismi: garantito alti rendimenti delle obbligazioni e “diluito” i mutui subprime tra altri più affidabili. Questa operazione di imbellettamento è stata condotta in modo talmente oscuro da risultare di fatto incontrollabile non solo per gli acquirenti dei CDO ma anche per gli stessi banchieri e le agenzie di rating chiamate a valutare il rischio di un simile azzardo. Molte agenzie, ad esempio Moody’s e Standard & Poor’s, quantificavano il rischio utilizzando un modello detto a “copula gaussiana”, sviluppato originariamente dalle assicurazioni per stipulare vantaggiose polizze sulla vita tra coniugi, scommettendo – incredibile ma vero – sulla “sindrome del cuore spezzato”, ovvero sulla non sopravvivenza dell’uno alla morte dell’altro. Il modello, applicato alla finanza e non ai nonnini, assume che i motivi che conducono due mutuatari a dichiararsi insolventi non hanno alcuna correlazione tra loro. Sembra un’ipotesi ragionevole. In fondo, perché dovrebbe accadere una cosa del genere se uno vive nel freddo Illinois e l’altro nella soleggiata Florida ? Semplice, perché entrambi hanno lo stesso peccato originale: sono a rischio insolvenza. Supponete che, a causa di una pur piccola fluttuazione negativa nello stato dell’economia ci sia un altrettanto piccolo taglio nei salari in tutti gli Stati Uniti, cosicché tutti i mutuatari con il cappio già al collo se lo vedano stringere: quasi contemporaneamente quello dell’Illinois e quello della Florida si recheranno in banca a dire che non ce la fanno a pagare la rata del mutuo. Ecco la correlazione. Il modello a “copula gaussiana” perde ogni validità e le banche, quando se ne accorgono, si trovano impreparate a gestire la maggiore insolvenza dei mutuatari che si trasferisce agli istituti di credito che con le rate dei mutui pagavano a loro volta gli alti interessi dei CDO. Risultato: la famosa “crisi dei subprime” del 2007.

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D- Nella seconda metà del libro parlate di High Frequency  Trading, droni, poliziotti robot, auto che si guidano da sole ed il problema dell’etica citando le famose leggi della robotica di Asimov.  Siamo davvero così vicini a tutte queste problematiche? Uno scienziato che scrive algoritmi, per esempio, dovrebbe davvero preoccuparsi del loro possibile uso? 

Dino: Non siamo vicini, ci siamo dentro fino al collo. Solamente che in Italia non ne parliamo perché sono temi che non scaldano l’opinione pubblica. Ad esempio, il libro si sofferma a spiegare come molte occupazioni oggi svolte da esseri umani nel giro di una decina d’anni lo saranno da robot. Uno studio recente condotto presso l’ Università di Oxford parla di un 50%. Segnali in tal senso ce ne sono in abbondanza: quante agenzie di viaggio e quanti studi di commercialisti avete visto sparire di recente ? Il motivo non è la solita, sempiterna “crisi”: semplicemente costa meno prenotare un aereo o una vacanza via web, o – almeno negli Stati Uniti – pagare 10$ un software installabile sul tablet per pagare le tasse. Anche in Borsa le cose cambiano: gli affari si giocano ormai sul filo del milionesimo di secondo, un po’ pochi per un uomo. Di conseguenza quasi la metà delle transazioni finanziarie è gestita da robot e le immagini di operatori che si sbracciano a vendere o comprare azioni in borsa sono destinate a finire in soffitta, operatori compresi ovviamente. Certamente domande sull’etica ce le porremo: un robot è bene che non uccida. Tuttavia, si può “uccidere” una persona anche togliendole il posto oppure rivoluzionando il mercato del lavoro in modo così repentino da spiazzare il percorso formativo dei nostri figli e impedirgli di avere le giuste competenze quando inizieranno a cercare un’occupazione. Ad esempio, in futuro probabilmente non saranno necessari molti geometri e ragionieri. Camerieri invece ne serviranno ancora tanti. Manualità e uso sapiente del pensiero saranno le doti necessarie per trovare lavoro in futuro. Evitare le mansioni ripetitive e poco qualificate.

Marco: nel libro parliamo di come gli algoritmi generano disastri in quanto incapaci di due tipi di situazioni. Da una parte gli algoritmi non sanno gestire l’imprevisto, il cigno nero, l’emergenza.

È come vedersi aggiungere la salsa tonnata tra gli ingredienti di un dolce mentre lo si sta cucinando, con l’obbligo di usarla. Dall’altra ci sono l’emergere di nuovi problemi dovuti alla maggiore velocità di gestione dei dati e al loro maggiore volume. Un po’ come il cancro, che in fondo è una conseguenza del fatto che viviamo di più, e quindi siamo maggiormente soggetti a degenerazioni e mutazioni cellulari… L’uso massiccio di algoritmi genererà per forza questo tipo di problemi, solo l’essere umano al momento è in grado di gestirli. L’algoritmo, è bene ripeterselo in continuazione, è una ricetta. Una ricetta per cucinare numeri, ma pur sempre una procedura stabilita. Se le uova sono scadute, è un casino.

D- Nel capitolo 8 scrivete di  Robot-pricing e linguistica forense. Cosa sono queste cose e come sono collegate  con la matematica?

Dino: Inizierei dalla linguistica forense, una disciplina che analizza testi con metodi statistici per identificare, ad esempio, l’autore di una lettera anonima, definire la psicologia di una persona, o denunciare un plagio. Ognuno di noi possiede un’impronta di tipo letterario. Il buffo è che questa impronta non risiede nel vocabolario ma nella frequenza con cui facciamo uso di preposizioni, congiunzioni e articoli, oppure ancor più sorprendentemente, dei cosiddetti quattro-grammi, ovvero le sequenze di quattro caratteri consecutivi, spazi compresi se appartenenti a parole differenti, in cui possiamo ripartire il testo. Non è quindi per nulla banale scrivere una lettera anonima ! Il robo-pricing è un’altra conseguenza dell’uso occulto dei robot. Dobbiamo andare da Roma a Londra in aereo a cavallo di Pasqua ? E’ interessante seguire come cambia il prezzo nel corso del tempo interrogando ripetutamente il sito della compagni aerea. Le variazioni non sono banali: spesso oscillano. Sono il frutto della concorrenza tra i robot che gestiscono le prenotazioni delle diverse compagnie aeree. Il robo-pricing è diventato così sofisticato da finire ogni tanto nel pallone con esiti esilaranti: nel libro si citano esempi molto spassosi che hanno portato i robot a formulare prezzi folli per un libro sulle mosche o sconti esagerati per una bottiglia di vino.

D- Che cosa è GIDEON? E cosa c’entra con l’approccio Bayesiano? 

Dino: GIDEON, l’acronimo di Global Infectious Diseases and Epidemiology Online Network, è un’applicazione web che, in caso di sospetta trasmissione di malattie infettive, affianca il medico per valutare se il contagio è effettivamente avvenuto (http://www.gideononline.com/ ). Un test diagnostico perfetto fornisce esito positivo in tutti i soggetti malati e negativo in tutti quelli sani. Tuttavia, nessun test è perfetto dando così origine a falsi positivi e falsi negativi. L’ approccio di Bayes, basato sull’omonimo teorema, offre un metodo statistico per valutare la probabilità che questi eventi accadano. In soldoni, il teorema permette di calcolare la variazione nel livello di fiducia in una data ipotesi in presenza di nuova informazione e permette di discriminare tra ipotesi alternative.

Marco: Tutto questo, ovviamente, deve essere interfacciato con l’interpretazione umana. GIDEON suggerisce semplicemente al medico, dopo aver valutato i sintomi del paziente e l’eventuale provenienza o permanenza da paesi tropicali, delle possibili patologie che il nostro medico curante potrebbe ignorare. Del resto, chi di noi aveva mai sentito parlare di Zika fino a un paio di settimane fa? Ecco, Zika è una di quelle patologie che GIDEON individua tra le più probabili per persone provenienti dal Brasile e che hanno quel tipo di sintomi.

D- Per Malvaldi: Come ci si trova a scrivere un libro con un fisico  e pure normalista?

Dino è per certi versi il mio salvagente scientifico: da ex chimico che pasticcia con la fisica e la matematica, a volte mi rendo conto di non avere abbastanza competenza per parlare a ragion veduta dell’argomento di cui vorrei parlare. In più, ha una curiosità molto simile alla mia, e ha una convinta fiducia nella necessità del cazzeggio e del perdere tempo in modo attivo. Ma quando si parla di fisica, e di scienza in generale, è una delle persone più lucide e lungimiranti che conosco. Sa smorzare i miei facili entusiasmi con domande semplici, che mi costringono a ragionare e ad ammettere di non averlo fatto abbastanza prima di parlare…

D- Per Leporini: Come ci si trova a scrivere un libro con un chimico che scrive gialli che si risolvono grazie al proprietario del  BarLume e al gruppo di vecchietti abituali frequentatori del suo locale?

Conosco Marco da molti anni, da quando era ricercatore a Chimica qui a Pisa e non ancora “il Malvaldi” a tutti noto; lavoriamo, infatti, in un ambito comune, quello della chimica-fisica con strumenti comuni, i computer e le loro simulazioni. Siamo sempre stati buoni amici vista la sua innata simpatia. Quando Marco mi ha proposto di collaborare alla stesura del libro ero inizialmente diviso tra la curiosità di scrivere un testo divulgativo con uno scrittore affermato e del mestiere come lui e il timore di svolgere il ruolo della sabbia infilata nel motore di una macchina perfetta, la sua, creando problemi con la mia pedanteria accademica. La curiosità di vedere come sarebbe andata a finire alla fine ha prevalso, anche perché parlare di scienza in Italia è una sfida molto intrigante. Per fortuna è andata bene e devo dire che mi sono veramente divertito a vedere come il Marco scrittore “cucina” i suoi libri.

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