Pitagora, cuor di Leone
Ci siamo lasciati, nello scorso appuntamento, con il povero pastore preistorico e la sua affermata voglia di saper contare. Pur sembrando lontano del nostro discorso, l’atto del contare (o dell’associare oggetti in corrispondenza uno-a-uno) risulta a ragion dovuta essere uno dei primi esempi di infinito. Non tanto perché il vecchio e stanco pastore avrebbe raggiunto l’Assoluto grazie a quest’azione, quanto perché invero avrebbe potuto farlo. Mi spiego meglio: parlare di infinito non è cosa semplice, né quanto meno intuitiva, infatti non è possibile toccare qualcosa di veramente infinito, né è possibile contare davvero fino all’infinito, ma è facile osservare che alcune operazioni
(proprio come quella del pastore) possono essere iterate tante e tante volte, senza alcun limite. Ecco il primo grande approccio dell’uomo con il concetto di “senza fine”. La vastità dell’Universo secondo gli astrofisici o della stupidità umana secondo Albert Einstein sono esempi di infinito, esempi di concetti enormemente grandi e potenzialmente illimitati. Ma non solo. Anche un numero può essere infinito: un numero decimale periodico, per dirne una, oppure anche un numero irrazionale.
La scoperta dell’esistenza di numeri irrazionali, come è noto, avvenne grazie al già citato Pitagora di Samo, uno dei più grandi matematici che la storia abbia mai avuto. A lui è intitolato uno dei più importanti teoremi della storia, anche se non proprio sua fu la prima formulazione. Esempi di utilizzo del teorema di “Pitagora”, infatti, sono state rinvenute dagli archeologi in terra mesopotamica ed egizia. In particolare, questi ultimi sfruttavano delle terne pitagoriche per accertarsi che un angolo fosse retto, sfruttando una considerazione inversa del teorema. Pitagora, però, può ritenersi il massimo divulgatore e lo studioso più metodico e consapevole di una prima parte della geometria che tutt’oggi resta invariata sui libri di testo fin dai primi livelli di istruzione.
Pitagora trovò degli esempi di terne di numeri per cui vale il teorema (proprio come quelle sfruttate dagli egizi), la prima delle quali è la terna (3, 4, 5). In parte, furono queste terne e la generalizzazione del teorema di Pitagora a condurre alla congettura di Fermat (la cui dimostrazione si è avuta alla fine degli anni ’90, grazie a A. Wiles).
L’applicazione del teorema ad un semplice triangolo isoscele di lato unitario ha condotto i pitagorici ad uno strano numero (fino ad allora mai riscontrato nei calcoli) che li strinse in una forte crisi: . Fu la nascita, o la scoperta, dei numeri irrazionali. Un numero irrazionale ha una peculiare proprietà: non può essere scritto come frazione: non esistono, quindi, due numeri interni il cui rapporto possa dare come risultato un numero irrazionale. Inoltre, come conseguenza, ritroviamo un numero indefinito di cifre dopo la virgola che (a quanto ne sappiamo) non soddisfano alcuna legge precisa: non si può, quindi, trovare la cifra successiva senza applicare un opportuno algoritmo di calcolo (per , ad esempio). Alcuni hanno ipotizzato che una qualsiasi combinazione numerica, come la nostra data di nascita, la data dell’attentato delle Torri Gemelle ed eventi futuri, possa trovar posto in un numero irrazionale. È facile intuire come la scoperta del primo numero di quest’ultima tipologia abbia dato luogo a non pochi problemi per Pitagora, timoroso (possiamo aggiungere) non solo delle fave ma anche di tutti quei numeri che, come , non hanno una ratio.
Quest’ultima paura forse era ben più fondata della prima, soprattutto perché la dimostrazione dell’esistenza di numeri che non possiamo conoscere interamente, senza una regola algoritmica ben definita (almeno ad intuito) per conoscerne le sue cifre, spiazza tutt’ora tanto il matematico quanto il filosofo. Lo scrittore R. Musil, nei primi del Novecento in un romanzo dal titolo “I turbamenti del giovane Torless”, mise un forte accento sugli interrogativi che tutti i numeri come il o la sezione aurea facevano sorgere spontaneamente alle menti più attente e curiose:
“In fondo,con i numeri irrazionali non è la stessa cosa? Una divisione che non finisce mai, una frazione il cui valore non risulterà mai e poi mai per quanto tu continui a calcolare. Io credo che ad essere troppo scrupolosi la matematica finirebbe per non esistere più...”
Possiamo aggiungere, allora, che non solo l’illimitatamente grande è fonte di “perdizione” ma anche l’infinitamente piccolo. Pensate che alla scoperta di Pitagora vietò a chiunque di parlarne, spaventato. Infausta fu infatti la scelta di Ippaso di Metaponto che, narrando dell’esistenza di numeri “senza ragione”, si fece gettare in mare dalla setta del vecchio matematico durante una traversata che riuscì a far annegare con Ippaso anche questo grande dubbio: possono i numeri essere tanto lontani dell’intuito?
Pitagora e i suoi avevano riposto fino ad allora una cieca fiducia nel numero, in quanto ragione e perfetta descrizione della realtà che ci circonda. Stranamente, fu proprio il concetto di infinito, il terrore di non poterlo concepire, di non contenerlo, di non conoscerlo completamente a rivoluzionare il modus operandi dei vecchi geometri dell’epoca. La geometria che descrive il mondo si fa una scienza secondaria, e ahinoi Pitagora non poté far altro che prenderne atto. Furono queste impreviste conseguenze della matematica e l’incompatibilità della mente umana di concepire l’infinito a lasciar strada alla geometria delle incognite, ai teoremi e alle dimostrazioni, alla matematica come forma di filosofia e, soprattutto, alla perdita di fiducia non tanto nella scienza, quanto nella capacità potenziale dell’uomo di comprenderla.
Eppure Pitagora stesso, rispondendo alla domanda: “Perché ci hanno creato?” disse “Per contemplare il cielo”. E, aggiungerei, per conoscere ciò che vi è dietro.
This work is licensed under a Creative Commons Attribution-NonCommercial-ShareAlike 4.0 International License.
Ancora nessun commento