Pubblichiamo in questo post la seconda parte dell’intervista al fisico e storico della scienza prof. Lucio Russo  lucio_russo dedicata al suo libro “Stelle, atomi e velieri”. In questo caso risponderà a domande sulla ricerca scientifica scientifica, la divulgazione, la scuola.

In fondo a questa intervista inseriamo, infine, i riferimenti ad un ciclo di lezioni disponibili su youtube dal titolo “Un ciclo di lezioni di storia della scienza”.” tenuto dal prof. Russo e promosso dalla fondazione Tullio Levi Civita.


 

Sempre prendendo spunto dal suo libro, vorremmo ora proporle delle domande di carattere più generale su cui ci piacerebbe sapere la sua opinione.

– In un suo altro libro, “Ingegni minuti”, affrontava, tra le altre cose, il problema delingegni_minuti ruolo della scienza nella società italiana. Pensa che la scienza abbia un ruolo adeguato nella cultura italiana?

Oggi certamente non lo ha, ma bisogna guardarsi dal considerare questo fenomeno una caratteristica intrinseca alla tradizione della cultura italiana. La scienza ha costituito un aspetto essenziale (anche se spesso trascurato dagli storici) del Rinascimento italiano. Ricordo un solo esempio: Piero della Francesca è stato probabilmente il maggiore matematico europeo del suo tempo. Credo in effetti che la scienza moderna sia nata nel Rinascimento italiano. La scienza ha continuato a svolgere un ruolo centrale nella cultura italiana fin quasi alla fine del Seicento. Per fare ancora un solo esempio, Francesco Redi, che a scuola mi fu presentato solo come autore del “Bacco in Toscana”, è stato il fondatore del metodo sperimentale in biologia. La sottovalutazione della scienza si sviluppò nell’Italia del Settecento, ma con il Risorgimento vi fu un’importante ripresa allo stesso tempo della ricerca scientifica e del ruolo degli scienziati nella cultura (e anche nella politica) nazionale, che durò fino all’inizio del Novecento. L’attuale deprecabile situazione dura quindi solo da circa un secolo e anche se ha dei precedenti settecenteschi, non è affatto una caratteristica di tutta la tradizione culturale italiana. Va sottolineato che i periodi storici più felici della scienza italiana hanno coinciso con il superamento della separazione tra cultura scientifica e cultura umanistica.

– Cosa pensa della divulgazione scientifica (e in particolare matematica) nell’attuale panorama editoriale italiano?

Penso molto male della divulgazione scientifica attuale, non solo italiana, nel campo delle scienze esatte. In Italia vi sono alcune eccezioni (ricordo ad esempio alcuni libri di Andrea Frova e di Pietro Greco e i libri di divulgazione storica di Fabio Toscano), ma la tendenza generale, coerente con l’attuale moda internazionale (penso ad esempio ai libri divulgativi di Hawking), è quella di non scrivere per diffondere elementi del metodo scientifico, ma, al contrario, per stupire e trasmettere il fascino della scienza in quanto misteriosa e lontana dal buon senso e dall’esperienza del lettore, che viene spinto a diffidare della propria ragione e delle proprie osservazioni per accettare passivamente le affermazioni di un nuovo tipo di sacerdoti, la cui autorità è sancita soprattutto dal loro successo mediatico. Si tratta di una tendenza diametralmente opposta al tentativo di diffondere la razionalità scientifica. La divulgazione era stata di qualità molto superiore dal Settecento al primo Novecento e in parte lo è ancora nel campo delle scienze della vita.

E’ appena uscito un libro scritto da Alessandro Della Corte e me (La bottega dellobottega_scienziato_DellaCorte_Russo scienziato. Introduzione al metodo scientifico, Il Mulino), nel quale critichiamo la tendenza appena descritta e tentiamo di indicare una strada diversa. Immagino che non possiamo aspirare a un successo commerciale, poiché il nostro libro (anche se non richiede prerequisiti superiori a quanto si apprende normalmente nel primo biennio di una scuola secondaria), si occupa veramente di scienza e richiede quindi al lettore un certo impegno.

– Cosa pensa della “irragionevole efficacia della matematica” descritta in un noto articolo dal fisico Wigner ? In che senso, nel suo libro, critica questa idea ?

Credo che il motivo per cui l’efficacia della matematica è apparsa irragionevole a Wigner (e a molti scienziati suoi contemporanei) risale al tentativo (ben rappresentato dal programma di Hilbert) di autofondare la matematica ignorando l’esistenza del mondo reale. Se la matematica è vista come una disciplina astratta, la cui validità non ha alcuna relazione con la natura e le attività umane, appare realmente molto strano che possa essere utile nelle scienze della natura. Ma non è così, come è mostrato, tra l’altro, dal fallimento del programma di Hilbert.

Va anche detto che Wigner, nel suo articolo, parla dell’irragionevole efficacia della

Eugene Wigner

Eugene Wigner

matematica “nelle scienze naturali”, mentre gli fu fatto notare (da Gelfand) che la matematica aveva un’altrettanto irragionevole inefficacia in biologia. L’efficacia della matematica va quindi, più correttamente, riferita alla fisica e va spiegata, a mio parere, con la stretta interazione tra la fisica e la tecnologia. La fisica di fatto ha elaborato modelli matematici non tanto della “natura” in generale, quanto della tecnologia scientifica e tali modelli sono stati di grande efficacia perché la tecnologia spiegata era stata elaborata insieme ai modelli che la spiegavano. Mi rendo conto di essere stato molto sintetico; il lettore interessato a una trattazione più estesa può naturalmente trovarla nel mio libro.

– Più volte nel suo testo (il caso di Joule e del suo birrificio è emblematico) sottolinea il fatto che lo spunto per nuove scoperte nasce da problemi concreti. Le chiediamo, quindi, di condividere con i nostri lettori le sue considerazioni sul rischio di separazione fra scienza applicata e di base espresse anche nel testo.

Questo punto è strettamente legato al precedente. Lo sviluppo scientifico ha sempre ricevuto stimoli essenziali dall’esigenza di risolvere problemi concreti, almeno fino alla prima metà del Novecento. Negli ultimi tempi si è invece allargata la forbice tra la ricerca applicata, finanziata essenzialmente da multinazionali private, coperta dal segreto e finalizzata a risultati economici immediati, e la ricerca di base, finanziata dagli Stati e da organismi pubblici sovranazionali, i cui risultati sono pubblici, ma che rischia di perdere il contatto con i problemi concreti. Si spiega in questo modo, io credo, il successo ottenuto per decenni nell’ambito accademico da una teoria come la teoria delle stringhe, che non è stata mai utile per spiegare alcun fatto sperimentale. Più precisamente, la spiegazione va ricercata nel fatto che la ricerca di base sviluppata in ambito accademico, non dovendo più confrontarsi con problemi reali, viene valutata esclusivamente, in modo autoreferenziale, in base alla sua capacità di proliferarsi generando sempre più articoli scientifici. è ciò che è stato ottenuto giudicando i ricercatori in base agli indici bibliometrici. Tra parentesi: secondo voci insistenti, in Italia si sta pensando di eliminare del tutto i concorsi universitari con commissioni giudicatrici, assegnando le cattedre universitarie in base ai soli indici bibliometrici.

– In base alla sua esperienza di docente universitario, come vede gli studenti di oggi rispetto a quelli di generazioni precedenti quali ad esempio la sua?

La preparazione degli studenti è diminuita drammaticamente. Non certo per colpa loro, ma in seguito a una serie di scelte politiche. Vi è stato innanzitutto un continuo declino della preparazione fornita dalla scuola secondaria. Si tratta di un dato dimostrabile. Ricordo, ad esempio, che Andrea Frova una ventina di anni fa provò a sottoporre agli immatricolati in fisica all’Università La Sapienza di Roma lo stesso test d’ingresso usato una quindicina d’anni prima: il confronto tra i risultati (riportato nel suo libro “Perché accade ciò che accade”) dimostrava un calo drammatico. Si era negli anni Novanta. Da allora le cose sono molto peggiorate. Al declino della preparazione preuniversitaria si è sovrapposto infatti il declino della preparazione fornita dall’università, dovuta soprattutto all’introduzione del famigerato 3+2 e all’eliminazione di ogni forma ragionevole di selezione per merito degli studenti (tra i criteri con cui vengono formulate le valutazioni delle università, da cui dipendono i finanziamenti, vi è il numero di studenti promossi). Non voglio dire, naturalmente che gli studenti non siano più selezionati: molti degli immatricolati non riescono a laurearsi, ma la selezione è basata esclusivamente sul reddito: non arrivano alla laurea quelli che, per necessità o per scelta, decidono di cercarsi un lavoro. Chi invece può permettersi di spendere senza lavorare per diversi anni, e decide di farlo, arriva alla laurea, qualunque sia la sua impreparazione. Il risultato è che oggi una laurea, in particolare nelle materie scientifiche, non garantisce alcuna competenza. I minimi sono infatti crollati a livelli assolutamente indecorosi. Per fortuna i massimi, pur scendendo anch’essi, non hanno subito un crollo paragonabile. Vi sono ancora studenti bravi. Credo anzi che nell’ultimo decennio siano aumentati. Penso che la diffusione della consapevolezza del degrado abbia accresciuto l’impegno dei migliori.

– Vuole condividere con i nostri lettori la sua opinione sull’attuale sistema scolastico italiano? Cosa pensa, per esempio. della crisi del liceo classico?

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Immagine di una delle iniziative che si stanno realizzando per promuovere il Liceo Classico

Sto pensando di scrivere un libro per rispondere all’ultima parte della domanda. In estrema sintesi, credo che la tendenza ad abbandonare lo studio della cultura classica possa privare il nostro paese di una risorsa preziosa, che andrebbe però ripensata profondamente. In particolare non si dovrebbero presentare gli studi classici come alternativi a quelli scientifici. Si rischia di dimenticare che la scienza è uno dei principali frutti della cultura greca.

– In altri suoi libri ha affrontato il problema dell’insegnamento di discipline scientifiche quali matematica e fisica. In particolare ha evidenziato il problema di un insegnamento che non tiene conto del percorso storico. Può indicare alcuni aspetti che andrebbero modificati?

Sono convinto che un insegnamento scientifico, più che trasmettere risultati, dovrebbe insegnare come possano essere ottenuti e l’unico modo per farlo è ripercorrere, almeno in parte, il percorso seguito nel passato. Solo così si possono preparare persone in grado di ottenere risultati nuovi. Credo che l’assenza della prospettiva storica sia particolarmente grave nel caso della matematica, che rischia di ridursi a un apprendimento, più o meno passivo, di risultati astratti privi di motivazioni e di applicazioni. è estremamente raro che un laureato in matematica, e in particolare un ricercatore in questa disciplina, sia in grado di matematizzare un problema concreto.

– Quali indicazioni/suggerimenti si sente di dare agli studenti di scuola superiore che seguono realtà come il nostro blog e che stanno pensando di iscriversi ad una facoltà scientifica?

Se vogliono impadronirsi del metodo scientifico, dovrebbero essere consapevoli che per questo non basta la preparazione sufficiente per superare gli esami. Dovrebbero cercare attivamente altri metodi di studio, come probabilmente già fa chi segue il vostro blog. Consiglierei in particolare di affiancare alla lettura di testi e articoli recenti (indispensabile per avere un’informazione aggiornata) lo studio di testi più antichi, spesso molto più formativo. Se ad esempio si imbattono in testi di matematica e fisica della scuola sovietica venduti a pochi euro non dovrebbero lasciarsi sfuggire l’occasione: spesso si tratta di testi illuminanti.

– C’è un argomento che le piacerebbe fosse trattato nel nostro blog? E, in caso, si offrirebbe di aiutarci a trattarlo?

Sono disponibile, nei limiti del tempo lasciatomi libero dagli altri impegni, a darvi una mano, in particolare nell’affrontare temi di interesse metodologico, storico e didattico.

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