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Riceviamo e pubblichiamo questo interessante articolo di Giovanni Conti sulla matematica e il rischio di credito, una tematica su cui molto si sta discutendo in questi ultimi anni. Termini come “bail-in” o “accordo di Basilea” sono diventati comuni anche se spesso non è noto fino in fondo il loro significato.

In tempi in cui si parla di crisi delle banche pensiamo che sia importante fare divulgazione evidenziando alcuni aspetti della matematica che si applicano nel campo dell’economia e della finanza che sono troppo spesso ignorati.

Giovanni Conti è è  laureato  in ingegneria elettronica  e si è occupatogioconti  sempre di informatica  prima come programmatore (C++) poi come analista funzionale: si occupa, in particolare,  di  vigilanza bancaria, cioè, di analizzare le normative emesse in materia e di tradurle in specifiche per sviluppare il software necessario. Infatti le banche “vigilate” devono effettuare una serie di elaborazioni che portano poi al “report” finale da trasmettere alle autorità di vigilanza.

Ringraziamo Giovanni per questa serie di contributi che verranno pubblicati “a tappe” nei prossimi post di questo blog.


1 Introduzione

Sicuramente in questo periodo tutti abbiamo sentito almeno una volta il termine sofferenze con riferimento al mondo bancario e termini come crediti deteriorati. Dai mezzi di informazione abbiamo compreso anche che la presenza di sofferenze all’interno di una banca può essere causa di perdite economiche quando non, addirittura, del dissesto o del fallimento vero e proprio della banca stessa, con gravi ripercussioni sui risparmiatori che avevano investito , a vario titolo ed in vario modo, su di essa, in particolare dopo la direttiva sul cosiddetto “bail-in” recentemente recepita anche in Italia.

 Un particolare della fontana dei fiumi, piazza Navona, Roma (foto di G. Conti)

Un particolare della fontana dei fiumi, piazza Navona, Roma (foto di G. Conti)

Il “rischio di credito” ossia il rischio di sostenere perdite sui prestiti erogati è, quindi, di fondamentale importanza: è entrato prepotentemente nel dibattito pubblico ed è stato, negli anni, oggetto di grande attenzione da parte delle autorità preposte alla regolamentazione del sistema creditizio.

In particolare, soprattutto con gli accordi noti come “Basilea 2” ( e la loro recente revisione come “Basilea 3”), sono stati introdotti modelli statistici di stima volti ad una sua quantificazione sempre più accurata.

L’accuratezza della stima è fondamentale perché, come vedremo, le banche possono far fronte alle perdite inattese solo con opportune dotazioni di capitale; se la stima accurata delle perdite indica una sottocapitalizzazione della banca questa sarà costretta ad aumenti di capitale, da reperire sul mercato.

In questo articolo ci proponiamo di tratteggiare alcune caratteristiche del rischio di credito, ma soprattutto di descrivere intuitivamente gli aspetti matematici dei modelli avanzati approvati dall’Unione Europea per la sua valutazione ed utilizzati, conseguentemente, da alcuni degli istituti di credito più importanti a livello mondiale.

2 Il rischio di credito

Il rischio di credito è tecnicamente definibile come l’eventualità che un’entità, ad esempio una banca oppure una società finanziaria, sostenga delle perdite sui prestiti erogati causate da un rimborso insufficiente degli stessi.

Questa definizione delimita il perimetro dei contratti stipulati da una banca che sono soggetti al rischio di credito: infatti se una banca eroga un mutuo trentennale ad un suo cliente , deve valutare e sostenere il rischio di credito per tutta la durata del prestito, chiaramente in misura decrescente man mano che il cliente ne rimborsa regolarmente le rate.

Le esposizioni simili a quella appena delineata rappresentano un modello ideale per illustrare il rischio di credito e formano quello che tecnicamente viene denominato il banking book ossia il portafoglio bancario, costituito , in sostanza, da esposizioni che la banca detiene fino alla loro scadenza naturale.

Il concetto di portafoglio, quando si parla di rischio dell’attività bancaria, è in realtà cruciale, perché ha un ruolo molto importante nel processo di calcolo e di stima del rischio ad esso connesso, sia in termini qualitativi che quantitativi.

Un altro portafoglio molto importante, su cui non ci soffermeremo nel presente articolo, è il trading book , contenente quelle esposizioni che, in contrapposizione con quelle del banking book, sono detenute non fino a scadenza, ma soltanto temporaneamente, con l’obiettivo di essere rivendute appena le condizioni di mercato diventino favorevoli: il trading book è soggetto ad un’ altra tipologia di rischio, il rischio di mercato, cioè il rischio che la banca registri perdite per oscillazioni di valori quotati sul mercato.

Entrambi i rischi sono molto importanti, ma non sono gli unici rischi a cui è esposta una banca: ci sono, ad esempio, il rischio di liquidità, il rischio operativo ed una serie di altri indicatori di rischio che devono essere accuratamente stimati per garantire la sana e prudente gestione della banca; qui ci limitiamo al rischio di credito.

3 Perdite attese e probabilità di default

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Il portafoglio bancario è, quindi, il terreno esposto al rischio di credito. Vale la pena accennare al fatto che non tutte le controparti sono soggette al rischio di credito in egual misura, quindi il portafoglio bancario è segmentato in sottoportafogli, in base alla natura della controparte oppure alla natura dei contratti (ad esempio un sottoportafoglio è costituito da controparti che sono altre banche , un altro sottoportafoglio è costituito da controparti che sono imprese industriali, eccetera): con il termine portafoglio ci riferiremo, implicitamente e più correttamente, nel seguito, ad un sottoportafoglio generico, contenente, quindi, contratti omogenei dal punto di vista del rischio di credito.

Il rischio di credito è , come visto, il rischio che la banca sostenga delle perdite: detto così è ancora un po’ troppo generico: come in ogni attività d’ impresa ci possono essere perdite prevedibili, quasi fisiologiche e perdite che possono manifestarsi soltanto a seguito di eventi rari o addirittura catastrofici; è, però, evidente che entrambe le perdite devono essere fronteggiate per consentire all’ impresa di poter continuare la sua vita.

Anche nel contesto bancario, quindi, ci sono perdite attese ed inattese. Con riferimento, in particolare, al rischio di credito, le perdite attese sono quelle che la banca, all’atto di erogare un prestito, è in grado di valutare a priori, a seguito di un’ attenta istruttoria e disamina della controparte, della capacità di rimborso della medesima, ed in base alle caratteristiche stesse del contratto (ad esempio un mutuo ipotecario, in virtù della garanzia reale rappresentata dall’ipoteca, sarà, verosimilmente, meno soggetto a perdite di un prestito chirografario, a parità di controparte); sono perdite che si manifestano, inoltre, con una probabilità significativa, rappresentando una perdita media per quel soggetto e per quel contratto.

Le perdite inattese sono quelle che la banca è, sì, in grado di stimare a priori, ma che si manifestano, verosimilmente, soltanto con bassa probabilità.

Il trattamento che la banca riserva alle due stime di perdita è profondamente diverso: per comprendere meglio questo aspetto è necessario introdurre una definizione fondamentale, quella di default ossia insolvenza di un determinato mutuatario: una controparte è in uno stato di default ad un certo istante temporale se non è ritenuta dalla banca in grado, da quell’istante in poi, di rimborsare pienamente i propri debiti dando, quindi, origine a delle perdite per la banca stessa. La valutazione è, quindi, fatta dalla banca creditrice sulla base di circostanze oggettive (presenza di contratti scaduti in modo continuativo) oppure di valutazioni soggettive. Senza entrare nei dettagli più tecnici della definizione di default, possiamo però precisarla meglio dicendo che un cliente è in default se si verifica una delle seguenti circostanze:

  • una significativa quota delle sue esposizioni è scaduta da più di 90 giorni
  • la banca classifica il cliente come inadempienza probabile
  • la banca classifica il cliente come “sofferenza”

Le tre circostanze di default sono disposte, sostanzialmente, in ordine di gravità ossia di maggiore propensione a generare perdite: il concetto di inadempienza probabile è frutto di una valutazione soggettiva su di un cliente che versa in una situazione di difficoltà economica che si ritiene abbia qualche probabilità di remissione, pertanto è meno grave della sofferenza.

Le sofferenze sono, infatti, quei prestiti in cui il cliente versa in uno stato di insolvenza secondo il giudizio soggettivo della banca prestatrice, indipendentemente da eventuali pronunciamenti giudiziari e da eventuali garanzie poste a presidio del prestito: in altri termini il manifestarsi di sofferenze è uno dei possibili esiti dell’erogazione del credito effettuato da una banca e costituisce il materializzarsi delle peggiori previsioni circa il rischio di credito.

In ogni caso un cliente in default può provocare perdite per la banca e, accanto alla definizione di default, è opportuno definire alcune grandezze fondamentali:

  • la probabilità di default o PD, riferita ad un intervallo temporale, tipicamente un anno: la PD riferita ad un determinato intervallo di tempo per una determinata controparte , rappresenta la probabilità che quella controparte entri in default entro tale intervallo di tempo. La PD dipende soltanto dalle caratteristiche del cliente e non anche da quelle del contratto, rappresentando la capacità di rimborso del cliente.
  • L’ esposizione al default : è l’ ammontare del prestito residuo in capo ad una determinata transazione (ad esempio un mutuo) di una determinata controparte fotografato al momento del default ; viene indicata come EAD
  •  la perdita dato il default: nell’ ipotesi che il cliente sia andato in default è la frazione effettivamente persa dell’ EAD sopra definita: è indicata come LGD (Loss Given Default ) si parla di frazione effettivamente persa e non di tutta la EAD perché , anche se il cliente non è in grado di rimborsare dopo il default, possono essere escusse le sue garanzie reali e/o personali)

Nel prosieguo assumeremo che PD, EAD , LGD siano quantità note a priori: le banche utilizzano opportuni modelli di stima per la loro valutazione.

Fatta questa premessa, supponiamo di essere al 31.12 di un anno X e che la banca stia effettuando una stima delle perdite attese ed inattese dovute al rischio di credito, limitandoci, per ora, a quelle attese: supponiamo che sotto esame ci sia un mutuo erogato ad un certo cliente e che al 31.12 dell’anno X il cliente debba restituire ancora 100.000 euro; supponiamo che la probabilità di default per quel cliente sia del 10% sull’orizzonte temporale dell’anno X + 1 : non sappiamo quale possa essere l’ EAD all’istante T di effettivo ingresso in default (conosciamo , infatti l’ esposizione residua al 31.12.X , all’istante T potrebbero essere intervenuti dei rimborsi), ma accettiamo l’approssimazione che sia uguale all’esposizione, nota, al 31.12.X, cioè poniamo EAD = 100.000 euro. Supponiamo, inoltre, che, mediamente, per un contratto di mutuo come quello sottoscritto dal nostro cliente, in caso di default di quest’ultimo, il tasso di perdita LGD dell’intera EAD sia del 30%.

Per comprendere realmente, facciamo riferimento ad un portafoglio e supponiamo di avere a che fare con 1000 prestiti con caratteristiche identiche a quelle descritte, ma erogati a controparti diverse, ciascuno da 100.000 euro come quello visto nell’esempio: PD, LGD siano, per definizione, le stesse per tutti i 1000 prestiti: per la legge dei grandi numeri (assumendo che i 1000 prestiti siano un grande numero di prestiti), esattamente come avviene con il lancio della monetina, è intuibile che le perdite effettivamente sostenute ex post dal portafoglio siano calcolabili come segue:

  • se la PD è del 10% 100 clienti su 1000 saranno effettivamente in default entro l’ anno
  • se la LGD è del 30%, per ciascuno dei 10 clienti in default si sarà effettivamente persa il 30% dell’ esposizione quindi perdite : (10% di 1000) * 100.000 euro * (30%) = 100 * 100.000 * 0,3 = 3.000.000 euro che può anche scriversi come

Perdite attese = $$ \sum_{i=1}^n PD_i EAD_i LGD_i$$

sottolineiamo il termine “attese”: per un grande numero di esposizioni le perdite sostenute, coincideranno, ex ante, proprio con le perdite attese che assumono, perciò, un carattere di perdita media del portafoglio, quindi perdita sostenuta con probabilità elevata.

Per comprendere come la banca tratta una situazione in cui è possibile stimare ex ante una perdita che si realizza ex post con probabilità elevata, conviene pensare alla banca come ad una specie di fruttivendolo e ad un portafoglio come ad un cesto di mele.  Supponiamo che in un medesimo cesto ci siano posizioni omogenee, esattamente come i 1000 prestiti sopra detti, che condividono la stessa PD e la stessa LGD e la stessa EAD: ci si attende che nel tragitto dal campo di raccolta al mercato alcune mele “fisiologicamente” risultino non vendibili perché si rovinano lungo il cammino, abbiamo visto il 10 %; ma tale perdita è assimilabile ad un “costo” certo della produzione esattamente come è un costo certo la benzina utilizzata per trasportare il cesto; tale costo viene, quindi, incorporato nel prezzo di vendita: le mele dello stesso cesto che risulteranno vendibili, lo saranno ad un prezzo che incorpori e compensi anche il costo di produzione rappresentato dalle mele dello stesso cesto risultate da buttare esattamente come il prezzo di vendita incorporerà le spese di trasporto, la manodopera etc.

Uscendo dalla similitudine il “sovrapprezzo” di vendita della mela si traduce in un maggiore tasso di interesse applicato a tutti i clienti dello stesso portafoglio in quanto esposti in egual misura al rischio di credito applicando, cioè, uno “spread”, un tasso aggiuntivo a quello che si applicherebbe se il portafoglio fosse privo di rischio di credito (risk-free).

È quindi di vitale importanza per le banche effettuare una stima accurata delle grandezze PD, LGD, EAD: se una banca sottostima, ad esempio, la PD sottostima anche le perdite attese, che sono costi di produzione, e subirà delle perdite reali non adeguatamente coperte.

Va anche da sé che, se una stima corretta di PD indica un valore elevato, principi di sana e prudente gestione dovrebbero suggerire alla banca di valutare se non concedere affatto prestiti al potenziale cliente in questione. Alla PD è associato il concetto di rating ossia di merito creditizio; soggetti con elevata PD hanno rating più basso, ovviamente, e viceversa.

Per quanto detto sopra dovrebbe essere quindi chiaro che prestare denaro a soggetti con basso rating, quando non risulti proprio sconsigliabile tout-court, porta la banca ad inasprire, cioè aumentare, lo spread sui tassi di interesse quale remunerazione per il rischio sostenuto: in senso più ampio l’aumento dei tassi è quello che si verifica sul mercato, ad esempio dei titoli di stato, quando il merito creditizio dell’emittente si abbassa.

I criteri di determinazione di PD, LGD, EAD, per quanto assolutamente cruciali, esulano dall’ambito di questo articolo; sono basati su valutazioni effettuate su serie storiche dei comportamenti di prestiti erogati in passato e su modelli statistici di stima.Come già detto si assume nel presente articolo che siano grandezze note a priori: una volta note e stimate tali grandezze la normativa comunitaria permette di individuare in modo univoco le perdite attese e quelle inattese.

Dal momento che la stima di PD, LGD, EAD è demandata a una procedura di valutazione interna della banca procedura che deve essere comunque validata dalle autorità competenti, i modelli di calcolo delle perdite che fanno uso di PD ,LGD, EAD sono denominati dalla normativa vigente come IRB (internal rating based approach). Un modello alternativo per la stima delle perdite inattese, di cui non ci occupiamo qui e che non si avvale di valutazioni interne della banca bensì di valutazioni di agenzie di rating esterne , è detto metodo standardizzato.

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