APPUNTAMENTI CON L’INFINITO [n. 4]

di Pierandrea Vergallo e Alessandro Carbotti

Il 1642 fu una data cardine per la scienza in generale ed in particolare per la matematica. Nei primi giorni di quell’anno, infatti, la matematica e la fisica persero un emerito studioso, un rivoluzionario, un pilastro per la scienza moderna: Galileo Galilei. Nel giorno di Natale dello stesso anno nacque Isaac Newton, che avrebbe rappresentato a sua volta una divinità per chiunque si sarebbe occupato da quel momento in poi di meccanica. Questo curioso passaggio di testimone tra i due scienziati ha dell’interessante anche se considerato in merito allo studio dell’infinito.
27Si è parlato nell’articolo “Verità paradossali”, di questa stessa rubrica, di quanto spesso l’uomo è incappato in difficoltà logiche considerevoli nell’affrontare il problema dell’infinito. In particolare, con i paradossi di Zenone e Galilei si è visto che insiemi di numeri che possono sembrare più o meno grandi di altri in realtà non lo sono affatto. Ad esempio, Galileo evidenziò l’esistenza di una relazione uno-ad-uno tra i numeri pari e tutti i numeri naturali, cosa che sicuramente non ci saremmo aspettati: i pari sono la metà di tutti!
La questione numerica non si concluse qui, gli insiemi di numeri hanno rappresentato e rappresentano tutt’ora un ambiente molto vasto e creativo per la ricerca matematica. Sir Isaac Newton parallelamente al tedesco Goffried Wilhelm von Leibniz presentarono un nuovo metodo di “fare matematica”, dando vita a quella che è più comunemente nota come Analisi Matematica. L’idea dei due studiosi era quella di trattare quantità infinitamente piccole come delle quantità concrete, come dei numeri effettivi, reali. Questa nuova teoria doveva però poter poggiare su un insieme numerico capace di definire cosa fosse un infinitesimo, da qui due strade: la nascita degli infinitesimi di Leibniz e la formalizzazione (avvenuta quasi tre secoli dopo) dei numeri reali. Questi ultimi dovevano poter rappresentare qualcosa di più completo rispetto a quanto visto fino ad allora.

Un po’ di storia.

Alla base di tutto possiamo certamente porre la disputa su chi tra Newton e Leibniz fosse il vero “padre” del calcolo infinitesimale. Tale questione sollevò molte polemiche durante la seconda metà del XVII secolo, quasi certamente più di quanto non volessero gli stessi protagonisti della controversia. Rimanendo super partes, bisogna dire che220px-Gottfried_Wilhelm_von_Leibniz quanto è sopravvissuto nella Analisi Matematica moderna, soprattutto da un punto di vista notazionale, si deve in gran parte a Leibniz. Detto ciò, il calcolo infinitesimale di Leibniz non è stato affatto esente da critiche; una su tutte l’osservazione del vescovo George Berkeley, che definì “fantasmi di quantità defunte” gli infinitesimi utilizzati per definire integrali o derivate. Per “infinitesimo” intendiamo una quantità più piccola in valore assoluto di qualsiasi numero reale positivo, diversa però da zero. Pensiamo alla velocità istantanea, definita come valore limite del rapporto tra uno spostamento molto piccolo e un intervallo di tempo altrettanto piccolo, oppure pensiamo al calcolo dell’area sottostante al grafico di una funzione: questa la potremmo approssimare con la somma di un numero molto grande di aree molto piccole, appunto, infinitesime.

isaac-newton

Bisognava dunque superare questo ostacolo concettuale per rendere universalmente accettate le definizioni di derivata e integrale. Questo fu fatto da Cauchy e Weierstrass, i quali rifondarono il calcolo infinitesimale sul concetto di limite, adeguatamente sistemato con l’inserimento degli epsilon e delta così com’è conosciuto oggi. Tale processo di formalizzazione è stato possibile solo grazie all’introduzione (anch’essa dal punto formale) di un nuovo insieme numerico per cui si fosse certi che avesse senso parlare di limite. Al contrario dei soli numeri razionali, di fatti, tutte le successioni convergenti devono “cadere” all’interno dell’insieme di definizione: ecco la nascita dei numeri reali.

La costruzione dei numeri reali a cui appartengono tutti i limiti delle successioni convergenti ha permesso di creare una sorta di vera e propria retta continua di numeri, grazie alla quale si è potuto lavorare più liberamente con il concetto di infinitesimo, tipico dell’analisi matematica di tutti i tempi. Tale concetto venne poi ripreso nel secolo scorso da Abraham Robinson con la fondazione della cosiddetta Analisi non standard, nella quale si considerano estensioni dei numeri reali detti numeri iperreali, i quali si presentano nella forma $$x+dx$$, ove x è un numero reale detto parte standard e dx è un infinitesimo, definito come un numero positivo più piccolo del reciproco di qualsiasi numero naturale.

Perché parlare di calcolo infinitesimale?

Correre. Questo verbo è presente nella vita di ognuno di noi sin dalla più tenera età; chiunque rincorre o viene rincorso, che sia per volontà o per necessità. Ma fermiamoci per un attimo e chiediamoci: come fare per calcolare la nostra velocità in un determinato istante di tempo? Sin dalle scuole secondarie inferiori ci è noto il concetto di velocità media in un intervallo di tempo. Ora, è chiaro che la velocità media non fornisce una risposta alla nostra domanda.
Immaginiamo però di rendere sempre più piccolo l’intervallo $$[t_1; t_2]$$ in cui studiamo la variazione della nostra posizione s (t) nel tempo, così piccolo da far tendere l’istante finale a quello iniziale; tale processo è detto limite, e in linguaggio matematico si scrive

limite

Riassumendo, ciò che abbiamo fatto per ottenere la velocità istantanea è stato vedere cosa succede alla velocità media quando il valore del tempo t2 è molto vicino a quello del tempo t1. In Analisi Matematica un rapporto della forma $$\frac{s(t)-s(t_1)}{ t-t_1}$$ dove s (t) è una funzione continua e $$t1$$ è un punto appartenente al dominio della funzione, è detto rapporto incrementale. Se tale limite esiste finito, allora il valore limite è detto derivata di $$s (t)$$ in $$t_1$$ che scriveremo in simboli come $$s_0 (t_1)$$.

Il concetto di derivata è alla base del calcolo infinitesimale, sin dal XVII secolo con Newton e Leibniz.. Essa, oltre al significato fisico enunciato precedentemente, ha anche un evidente significato geometrico. Infatti, se disegniamo il grafico della traiettoria percorsa nel piano da un punto materiale e consideriamo la retta secante passante per i punti $$(t_1; s (t_1))$$ e $$(t; s (t))$$, man mano che t si avvicina a $$t_1$$ la secante varia sempre più la propria inclinazione (aumenta o diminuisce, a seconda del fatto che t si avvicini a $$t_1$$ da destra o da sinistra), fino a quando essa stessa diventa la tangente nel punto $$(t_1; s (t_1))$$ la cui pendenza è data appunto dal valore $$s_0 (t_1)$$. In Analisi Matematica, un concetto come la derivabilità è detto “locale”, ovvero si verifica solo nelle vicinanze di alcuni punti del dominio; da qui l’importanza della proprietà della retta reale di essere “piena”. Questo ci permette di lavorare con intervalli molto piccoli attorno ad un punto (detti intorni) che sono sicuramente non vuoti. Addirittura Weierstrass nel 1872 mostrò un esempio (non banale) di funzione continua ma non derivabile in ogni punto.

Il calcolo infinitesimale presenta altri interessanti aspetti che coinvolgono un concetto fondamentale, quello di Integrale. In un periodo storico in cui l’olio di palma è più temuto della peste ai tempi del Manzoni, tale parola ci fa pensare a qualcosa da poter fare entrare in dispensa senza batter ciglio; ma l’integrale in questione ha ben altre origini. Fin dal III secolo a.C. con Archimede ci si era posto il problema di determinare l’area della parte di piano compresa tra il grafico di una curva e l’asse delle ascisse (famoso è il suo trattato intitolato De quadratura parabola), ciò che il calcolo infinitesimale di Newton e Leibniz ha mostrato circa 20 secoli dopo, è che tale problema è esattamente il problema opposto a quella di determinare la retta tangente ad una curva in un punto. Formalmente, scriviamo che il valore dell’area compresa tra il grafico della funzione $$f (x)$$ e un segmento $$(a; b)$$ sull’asse delle ascisse è dato dall’integrale di f tra a e b, in simboli

teoremaintegrale

Apparentemente questa definizione non lega in alcun modo la derivata e l’integrale; questi due concetti sono legati da un Teorema detto Teorema fondamentale del calcolo integrale, il quale ci consente di dire che derivazione e integrazione sono uno il processo inverso dell’altro.

Anche per il caso dell’integrale e della derivata, l’assenza di un insieme numerico adatto non permetteva affatto una definizione ben posta. Si pensi, a tal proposito, che esistono funzioni a valori razionali che non sono integrabili: una su tutte la funzione di Dirichlet.

Ma quanti numeri esistono davvero?

Numeri naturali e numeri interi.

NUMERIMeglio aver ben chiaro, allora, il concetto di numero.
Nel primo articolo di questa rubrica, intitolato “In principio fu un numero”, si introduce per la prima volta l’idea di numero come ente concreto, come un sassolino, in grado di tener conto del numero di elementi presenti in un insieme: quello delle pecore nel caso del pastore preistorico. Ecco il primo grande insieme numerico della storia: i numeri naturali. A questo, la cultura indiana introdusse un’altra infinità di numeri per necessità di calcolo. È doveroso, infatti, osservare che ogni qual volta l’uomo si accorge che il sistema, matematico nel nostro caso, non lo soddisfa, tende a crearne uno più grande, dove valgano le vecchie proprietà e ve ne siano delle nuove.
Per i commercianti indiani che dovevano appuntare le entrate e le uscite in uno scambio commerciale, si ritenne fondamentale la fruizione di un insieme grande il doppio: in nero si sarebbero dovute indicare le entrate (in numeri naturali) e in rosso le uscite (anch’esse sotto forma di numeri naturali): proprio come vediamo oggi nel nostro estratto conto. Queste due entità dovevano poter essere sottratte, o sommate con segno opposto (come sarebbe più corretto dire data la genesi del problema). Ad esempio una spesa di 100 denari e un ricavo di 300 poteva essere indicata:

300 denari
100 denari

E il totale si sarebbe calcolato come:

300-100 oppure 300+100

Dove però il 100 in rosso rappresentava di per sé una quantità preceduta da un segno negativo.
Nascevano così i numeri negativi che, uniti ai naturali, permettono di definire l’insieme dei numeri interi. Resta un piccolissimo dettaglio: lo zero? L’introduzione dello zero avvenne simultaneamente a quella dei numeri negativi, seppur logicamente solo come conseguenza. Ogni qual volta il numero delle uscite avrebbe pareggiato quello dell’entrate il risultato non avrebbe rappresentato null’altro se non uno stato neutro del conteggio. Ciò a cui attualmente diamo il nome di zero. Pertanto, per essere più precisi chiameremo interi i numeri naturali con segno (positivo o negativo) assieme allo zero.
Numeri razionali.
Le necessità storiche che hanno portato alla nascita dei numeri razionali sono sorprendentemente parallele a quelle dei numeri interi. Si pensi, infatti, che nell’antica Grecia i razionali erano trattati con grande abilità ma era totalmente sconosciuto il concetto di numero negativo e assolutamente lontana l’idea dello zero. Quest’ultima avrebbe rappresentato, al momento della sua introduzione, una sorta di rivoluzione non solo nella concezione della matematica ma anche nell’approccio generale alla filosofia ellenica.
I greci scoprirono l’importanza della misura, anzi la importarono dall’Egitto, al fine di calcolare le grandezze degli oggetti e soprattutto di appezzamenti agricoli. A tal proposito, osservarono che alcune lunghezze potevano essere ripartite utilizzando un criterio matematico e mantenendo omogenee le relazioni tra i suoi sottoinsiemi (come nel caso della divisione a metà). scalaStudi approfonditi di queste relazioni condussero alla nascita della teoria delle proporzioni che necessitava, inevitabilmente, un insieme numerico in cui tutte le grandezze potessero essere “rapportate” tra loro. Da qui si definisce:

$$Q={m/n| m\in Z,n\in N}$$

Definendo, così, un insieme apparentemente “molto più infinito” dei naturali e degli interi: le frazioni. Calcolando, poi, tramite semplici algoritmi di divisione il rapporto tra m e n si possono persino considerare i valori numerici risultanti che noi chiamiamo numeri decimali.
Ne concludiamo che l’insieme dei numeri razionali è composto da tutte le frazioni o, che è equivalente, da tutti i numeri decimali, periodici o limitati. È da osservare che anche i numeri interi (e con essi i naturali) sono in Q: basti considerare n=1 al denominatore.

Stabilità.

È fondamentale approfondire, infine, il concetto di numero reale. Forse perché uno dei più utilizzati e le cui proprietà sono considerate come “tipiche” dei numeri che utilizziamo quotidianamente. Siamo stati abituati, infatti, sin dalle scuole superiori, ad usare dei numeri con i quali si potesse operare molto tranquillamente. Mi spiego meglio: raramente ci si è preoccupati nelle espressioni aritmetiche o nella risoluzione di equazioni algebriche se due numeri si potessero effettivamente sommare tra loro, se si potessero sottrarre, dividere, moltiplicare o farne la radice. Questo perché l’insieme con cui abbiamo avuto più spesso a che fare si dice essere stabile o chiuso rispetto a tutte queste operazioni.
Questa è una peculiarità assai singolare in quanto sono molteplici gli esempi di insiemi (numerici e non) in cui non si può lavorare in maniera così disinvolta. Pensiamo ad i numeri naturali e consideriamo su quest’insieme la sottrazione: operazioni come 5-2, 32-17, 44-44 sono lecite e “tranquille” ma sicuramente non può dirsi lo stesso di operazioni come 3-10, 4-5 o 7-11. Intuiamo, ed effettivamente è così, che se il primo operando è minore del secondo il calcolo non è valido in quest’insieme. Se rappresentassimo, infatti, su di una semiretta puntata l’insieme dei naturali, con operazioni come questa incapperemmo nell’altro lato della semiretta: usciremmo fuori dall’insieme. Ma ancora: nel caso dei numeri interi (o naturali con segno) non è detto sia lecita l’operazione della divisione, in quanto le frazioni proprie non sono sicuramente dei numeri interi. E analogamente non è detto che si possa calcolare la radice quadrata di un qualsiasi numero razionale (una frazione), esempio emblematico è il caso di radice di 2.
Riassumendo, abbiamo i seguenti insiemi:

$$N\subset Z \subset Q \subset R$$

Tutti stabili rispetto ad un numero di operazioni maggiori dell’insieme precedente (che contengono) assimilandone le vecchie proprietà.

1024px-Diagramma_di_Venn_dei_numeri.svg
Un piccolo appunto: tutti gli insiemi numerici fino ad ora nominati sono infiniti. Sicuramente questi sono illimitati superiormente (cioè non hanno un elemento maggiore di tutti gli altri) e alcuni di questi, come abbiamo accennato alcune volte nei nostri Appuntamenti, sono anche “infiniti” nel limitato. Ricordiamo, infatti, che insiemi come i razionali e i reali posseggono un numero infinito di punti anche all’interno di un segmento ben definito per estremi. Basti osservare che dati due numeri decimali è sempre possibile considerare un numero tra essi compreso e, analogamente in geometria, è sempre possibile continuare a suddividere un segmento a metà.

I numeri reali.

Ci possiamo finalmente chiedere rispetto a quale operazione il nostro insieme dei numeri reali sia stabile. Oltre ad essere chiuso, infatti, rispetto alle quattro operazioni fondamentali, quest’insieme numerico ci permette di contenere sempre l’estremo superiore di un insieme. Questa proprietà non può dirsi valevole nell’insieme dei razionali. Ad esempio:

$$A={x\in Q | x^2<2}$$

Non ha estremo superiore in Q. Facilmente intuiamo, infatti, che se esistesse dovrebbe essere proprio quel valore di x che al quadrato dà come risultato 2, cioè x=√2. Ma sfortunatamente questo non è un numero razionale, come già scoperto dal povero Pitagora.
Tramite la costruzione di insiemi molto simili ad A si può formalizzare la definizione di R, grazie all’approccio del matematico Richard Dedekind. Analogamente, ma percorrendo una via differente, si può definire l’insieme dei reali come l’insieme in cui le successioni convergenti ricadono in ogni punto, anche all’infinito. Quest’ultimo approccio si deve al tedesco Georg Cantor che ritroveremo più in là nei nostri appuntamenti.
La capacità, quindi, di contenere i limiti di convergenza o, che è equivalente, gli estremi superiori di un insieme fa di R un insieme stabile e continuo, cioè come già visto privo di “buchi”. Tale proprietà dei reali è detta, appunto, assioma di Dedekind. Ecco l’ultimo grande insieme che contiene tutti gli altri: la sua nascita darà parecchio filo da torcere agli studiosi dell’infinito. Ma questo è un altro appuntamento..

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