In questo appuntamento prenderemo curiosamente visione di alcuni insiemi infiniti le cui proprietà risultano a volte lontane da quanto possa sembrare in apparenza ovvio e quasi banale. Ci addentreremo in tre esempi essenziali: saremo ospiti dello spazioso albergo di David Hilbert, ci sorprenderemo che insiemi in apparenza infiniti in realtà sono molto piccoli e capiremo che non sempre ciò che ci è stato insegnato a scuola riguardo le funzioni è corretto. Per prima cosa, quindi, allontaniamoci un po’ dalla comune idea di algebra di provincia e pensiamo in grande.
Gli ospiti del Grand Hotel di David Hilbert.
Immaginiamo un albergo con moltissime camere, davvero tante. Esageriamo: infinite! Pensate che sarà davvero difficile riuscire a riempirlo, però sarà anche difficile non trovarne posto all’interno. È curioso, ma David Hilbert, grandissimo matematico dei primi del Novecento, lo ipotizzò proprio a proposito del concetto di infinito. In particolare, il professor Hilbert dette vita a questo (che scopriremo sembrare un paradosso logico.. e matematico) per cercare di concretizzare ciò che avviene nell’introdurre i livelli di infinito e le straordinarie equipotenze di insiemi (o per descrivere alberghi che sono solo teoricamente pieni).
Ma ritorniamo al nostro Grand Hotel. Supponiamo di avere la fortuna di occupare tutte le camere dell’albergo. Già questo comincia a sembrarci qualcosa di insolito. Immaginate, però, che se le camere fossero (come si suole) numerate con numeri naturali potrebbero facilmente essere occupate da una persona ciascuna. A questo punto complichiamo la questione: cosa succederebbe se venisse un ospite inatteso? Beh, sappiamo che il Grand Hotel è pieno! Ma sorprendentemente il direttore afferma “Mi lasci pensare, forse ho una soluzione”. Il direttore manda un fattorino in tutte le camere chiedendo gentilmente ad ogni ospite di spostarsi di una camera. Questo è possibile, infatti essendo l’albergo infinito, non esisterà un’ultima camera e basterà scalare di un posto.
Matematicamente la questione è semplice. Considerando l’insieme infinito, ed avendo già citato la numerazione delle camere, è facile immaginare il numero delle camere equipotente a $$\mathbb{N}$$. Ora, supponiamo di aggiungere un elemento. L’operazione del fattorino è una vera e propria funzione:
$$f:\mathbb{N}_0\rightarrow \mathbb{N} , n\mapsto n+1$$
dove per $$\mathbb{N}_0$$ intendiamo i numeri naturali compreso lo 0.
Si può provare molto facilmente che questa funzione è biettiva. Allora la camera numero 0 è stata liberata, infatti la funzione $$f$$ non è suriettiva in $$\mathbb{N}$$ poiché 0 non ha alcuna controimmagine. Che idea il nostro albergatore!
La questione si fa ancora più ardua quando arriva una comitiva di infiniti anziani che cercano ristoro nel nostro Grand Hotel. Il fattorino rimane a bocca aperta. E questi dove li mettiamo? Ma il direttore non demorde e afferma: “Prego, entrate”. Il fattorino viene mandato con una nuova richiesta agli ospiti, spostarsi questa volta dando un’occhiata al numero della propria stanza e andando al suo doppio. Facciamo un esempio: il Sig. Cantor della camera 5 corre lungo il corridoio fino alla camera 10, mentre il Sig. Rossi della camera 14 scappa verso la 28. Il direttore ha liberato… infinite stanze! E il gioco è fatto!
Anche qui, c’è una giustificazione matematica alla geniale idea del direttore. Consideriamo una nuova funzione nell’insieme dei numeri pari P.
$$f:\mathbb{N}\rightarrow P , n\mapsto 2n$$
Questa si prova essere in maniera analoga una biezione. Allora, immergendo $$P$$ nei numeri naturali notiamo che tutti i numeri dispari non fanno parte del codominio. Pertanto, tutte le camere di numero dispari sono libere. Allo stesso modo si può provare che il numero delle camere dispari è equipotente al numero di tutte le camere del Grand Hotel (infinite!).
Ecco il bello di avere un Albergo senza fine.. Ma chi lo pulisce?
Spostiamoci, allora, a considerare qualcosa di un po’ più matematico e meno accessibile per le vie di una città, se anche il nostro Grand Hotel lo fosse.
I punti dell’insieme di Georg Cantor.
Consideriamo il segmento di estremi 0 e 1 e chiamiamo questo $$C_0$$. Su di esso effettuiamo una suddivisione in tre sottosegmenti congruenti. Ovviamente questi saranno rispettivamente i segmenti [0,1/3], [1/3,2/3] e [2/3,1]. Di questi tre ne consideriamo solo i due agli estremali, la cui unione chiamiamo $$C_1$$. Per semplicità mettiamo questi due insiemi uno al di sotto dell’altro.
Possiamo iterare il processo precedente di suddivisione in tre parti e considerazione degli ultimi due segmenti, anche per i sottosegmenti precedentemente scelti. In tal caso poniamo l’unione dei quattro segmenti [0,1/9], [2/9,1/3],[2/3,7/9], [8/9,1] pari a $$C_2$$.
In generale, al passo n-esimo pongo l’unione di $$2^n$$ segmenti costruiti come in precedenza per iterazione. La misura di ogni segmentino al passo n è pari a $$(1/3)^n$$.
Finalmente è possibile definire l’insieme di Cantor, anche noto come polvere di stelle, che è dato dall’intersezione per n che va da 1 a infinito di tutti gli insiemi $$C_n$$. La scelta della denominazione di tale insieme come di una polvere è ben presto chiara: se si prendono tutti e soli i punti in comune degli insiemi $$C_n$$ si sta formalmente “sbriciolando” il segmento iniziale in infiniti pezzetti.
Ma siamo sicuri che vi siano davvero dei punti all’interno? Assolutamente si! Tutti gli estremi fanno parte di $$C$$ ed evidentemente questi sono infinti. Quindi ha senso parlare della polvere di stelle.
Una delle peculiarità di questo insieme è anche nota come autosimilarità, essa è tipica di una classe di speciali enti geometrici denominati frattali. Nel caso dell’insieme di Cantor se ad un generico passo andassi a controllare la struttura di un segmentino questo non avrebbe (se non in misura) nulla di meno o di più del segmento iniziale [0,1]. Questa proprietà ci è “concessa” proprio grazie alla costruzione tramite iterazioni infinite dell’insieme. Una bella storia, magari da approfondire in seguito.
Ma un altro dubbio: quanto è grande questo insieme? Notiamo che $$C$$ non è altro che il limite all’infinito di $$C_n$$, allora la misura del nostri insieme non è altro che il limite della misura di $$C_n$$. Pertanto la misura di $$C$$ è pari al limite per n all’infinito delle misure di $$C_n$$, e ricordando che ogni segmento al passo n ha lunghezza pari a (1/3)^n e che questi sono $$2^n$$ ottengo che:
$$m(C)=\lim (\frac{2}{3})^n=0$$
Ecco un’altra stranezza dell’infinito: un insieme così, pur essendo composto da infinite iterazioni, resta non vuoto ma di misura nulla!!
Spostiamoci, infine, a considerare il segmento unitario in due dimensioni: ciò che gli corrisponde è sicuramente il quadrato. Questa è una delle prime figure geometriche imparate fin da bambini, note a tutti e certamente di cui la maggior parte degli studenti sa calcolare area, perimetro e diagonale.. Eppure un logico degli inizi del ‘900, tale Giuseppe Peano, scoprì una strana proprietà del quadrato, che andiamo ad approfondire.
Il quadrato di Giuseppe Peano.
In diversi corsi di Analisi (anche per chi è alle prime armi) si introduce, tra gli esempi di funzione, una funzione molto particolare e inaspettata agli occhi di uno studente. Spesso, infatti, dopo aver appreso il concetto di funzione ci si districa rapidamente in esempi e controesempi come quello della parabola e quello della circonferenza. Uno studente attento nota immediatamente che tanto la circonferenza, quanto l’ellisse o un quadrato vuoto non rappresentano affatto delle funzioni (quanto meno delle funzioni reali di variabile reale). Queste, infatti, sono relazioni che associano ad un elemento delle ascisse ben due punti nelle ordinate: la storica definizione non è affatto valida qui!
Dopo aver assimilato, pertanto, il concetto di cosa è e di cosa non è una funzione si introduce a volte questo disegno:
Un quadrato pieno sembra apparentemente un esempio di non funzione, se pensiamo che un quadrato vuoto (che associa due soli punti ad un’ascissa) non lo è, figurarsi un quadrato pieno: ha infiniti punti tra i suoi lati. Eppure questa particolare funzione, che parametrizza la cosiddetta Curva di Peano, rappresenta una sorta di eccezione nel suo grafico.
Quadro storico.
Nel 1860 viene pubblicato lo storico articolo Sur une corbe qui remplit toute une aire plaine, scritto dal logico e analista torinese Giuseppe Peano, docente presso il Dipartimento di Matematica dell’Università cittadina che attualmente gli è stato intitolato. La possibilità di immaginare una curva capace di riempire un’intera area rappresentava già all’epoca un’osservazione sagace e perspicace, che ancor più curiosa diveniva se poteva provarsi una funzione. (Per correttezza, tale funzione presentata è una funzione a variabili reali ma immagine nel piano RxR. Tale funzione permette di parametrizzare la curva che è mostrata in figura)
La funzione è quindi di questa forma ed è definita per ricorsione (in un esempio grafico di D. Hilbert):
Questa può facilmente dimostrarsi suriettiva (lo si può osservare dal quadrato costruito) e continua, in quanto non esistono evidentemente punti di discontinuità. Allo stesso modo, però, si nota facilmente che questa è una funzione non derivabile in alcun punto.
Resta, ancora, un dubbio più intuitivo che matematico: è una funzione? O meglio, per come visto in precedenza per la circonferenza, può esistere in qualche modo una funzione di questo tipo?
Personalmente, mi permetto di affermare qualcosa di ancora più interessante: esistono funzioni di questo tipo che siano persino biettive. O ancora, che è analogo, esistono tanti punti nel quadrato di Peano quanti nel segmento che lo sottende. L’osservazione sembra sconcertante attualmente, ma pensate allo smarrimento del lettore dell’articolo di Peano, sicuramente rimasto incredulo.
Eppure, non tanto avrebbe sconvolto il genio matematico di Georg Cantor già conoscitore delle ambiguità sorte nel definire il concetto di grandezza relativo ad insiemi infiniti. Questo di Peano rappresentava per Cantor solo un piccolo esempio all’interno di una teoria ben più ampia che sarebbe sorta dopo poco: la Teoria degli Insiemi.
Quanti punti ci sono in un quadrato?
Quanto vi sto per dire sembrerà quasi ridicolo: in un quadrato ci sono esattamente lo stesso numero di punti che possiamo trovare in uno dei suoi quattro lati. Curiosamente, infatti, esiste una relazione uno ad uno tra un lato qualsiasi del quadrato e tutti punti ad esso interni.
Ciò che fa più effetto è la consapevolezza del fatto che in un quadrato può entrarci un suo lato infinite volte, disponendo ognuno di essi in maniera attigua e parallela l’uno all’altro. Pertanto, stiamo affermando che sostanzialmente non è importante il numero di volte che ce lo metto, basta che ci sia una sola volta! Ancora più interessante è il fatto che un segmento ed un area non ha senso che vengano geometricamente confrontati e, non a caso, le unità di misura che ne determinano la grandezza sono diverse e, ancora, diverse sono le dimensioni. Il segmento, come le curve, o le rette, sono detti enti unidimensionali e giacciono in $$\mathbb{R}^1$$, mentre le figure geometriche, come i piani e i semipiani sono bidimensionali e giacciono in $$\mathbb{R}^2$$ (anche noto come RxR). Intuitivamente sembra che quest’ultimo abbia il doppio dei punti di $$\mathbb{R}$$ (che ovviamente sono infiniti).
Resta da capire come fare ad associare ad un punto $$(x,y)$$ del quadrato un punto $$t$$ del segmento, con $$0<x,y,t<1$$. In particolare è necessario trovare una legge che faccia corrispondere ad ogni punto sul quadrato uno solo sul segmento e ad ogni punto del segmento uno solo sul quadrato.
Il primo criterio che ci verrebbe da utilizzare è proiettare un punto $$(x,y)$$ sul lato che giace sull’asse delle $$x$$, in modo da trovare la prima corrispondenza. Ma utilizzando questa legge risulta impossibile provare che ad un punto $$t$$ sul segmento corrisponda uno solo del quadrato. In questo modo, infatti, a $$t$$ corrispondono tutti i punti del quadrato corrispondenti al proprio asse (e sono infiniti!).
Mettiamo da parte, quindi, il significato geometrico dei punti. Consideriamo una coppia di coordinate $$(x,y)$$ all’interno del quadrato unitario di vertici (0,0); (0,1); (1,1), (1,0). In questo caso sia $$x$$ che $$y$$ possono essere scritti rispettivamente nella forma decimale:
0,abcdefg….
0,ABCDEFG…
Pertanto sfruttiamo questa proprietà dei numeri reali (possono sempre essere scritti in forma decimale limitata, periodica o illimitata come nel caso dei numeri irrazionali) per associare:
(0,abcdefg.. ; 0,ABCDEFG..) a 0,aAbBcCdDeEfFgG..
dove 0,aAbBcCdDeEfFgG risulta ovviamente essere un punto del segmento unitario compreso tra 0 e 1, cioè il lato del nostro quadrato. E il gioco è pressoché fatto: per il viceversa basta associare ad un punto 0,abcdefg.. la coppia (0,aceg.. ; 0,bdf..).
Conclusioni.
Alla luce di quanto visto tanto in questo quanto nei precedenti articoli della rubrica, possiamo affermare che gli enti geometrici, topologici o algebrici intuitivamente distanti tra loro vengono ad unificarsi e a rendersi assimilabili se trattati nell’ottica dello studio dei punti che li compongono.
Un invito a riflettere, in particolare, su come la matematica possa delineare proprietà differenti di stessi oggetti in base alla lente con cui la si guarda.
Forse anche questa è l’essenza della matematica.
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