Nel seguente articolo divulgativo si presenta in maniera pseudo-formale la questione della rappresentazione cartografica del planisfero ponendo una particolare attenzione alle motivazioni per cui risulta pressoché impossibile una proiezione della Terra fedele a sufficienza.

Quando la Terra era piatta

Quando ai tempi della Grecia arcaica si pensava che la Terra fosse piatta, l’idea di poter proiettare un qualcosa di “piatto” su di un foglio risultava sensata e coerente. Magari ci si sarebbe dovuti impegnare nel ridimensionare la vastità della Terra nella piccolezza di un foglio di carta. Ma questo poteva passare.
Quando poco dopo, secondo alcuni ricercatori per opera di Pitagora, si ipotizzò che la Terra non fosse poi effettivamente piatta e si pensò che potesse essere sferica (come ovviamente è stato provato in seguito) l’atto di proiettarla su di un foglio piatto è iniziato a risultare più complesso. L’intuitiva difficoltà dell’operazione è stata provata, nel tempo, effettiva. Risultava sempre difficile affidarsi ad una tecnica che potesse essere valida, cioè che permettesse una rappresentazione veritiera della superficie terrestre per com’è. Si è notato, in particolare, che tanto più grande è la porzione di piano da rappresentare, tanto meno accurata è la sua proiezione su di un foglio di carta.

Inizialmente si è sicuramente creduto che tali difficoltà fossero dettate dalle necessarie approssimazioni che l’uomo del passato doveva considerare in quanto privato di strumenti di precisione per visualizzare (dall’alto ad esempio) ciò che doveva disegnare. In realtà, le stesse difficoltà sorgono ad oggi, pur avendo a disposizione fotografie aeree di precisione e potendo usufruire del miracoloso aiuto dei satelliti artificiali.
Ci chiediamo, quindi, perché i conti sembrino non tornare in un’operazione oramai chiara e per la quale decine di menti geniali si sono impegnate per anni ed anni. A questa, e ad altre risposte, ci viene prontamente in aiuto la matematica.

Cosa vuol dire proiettare per un matematico

Consideriamo una funzione $$f:X\rightarrow X$$ dove $$X$$ è un insieme.

Diciamo che la suddetta $$f$$ è un proiezione se vale che:

$$f^2=f$$

In particolare, se associamo ad $$f$$ una matrice $$P$$, vale banalmente che $$PP=P$$. In tal caso la matrice è detta idempotente e valgono altre proprietà peculiari:

  •  $$P^n=P$$
  • gli autovalori di P sono +1 e 0.

Ciò significa, nel concreto, che una volta proiettato un insieme su di un altro non serve riproiettarlo su sé stesso, in quanto non ne vedremmo differenze. Il concetto di proiezione è pressochè assimilabile a quello di ombra. Immaginate tramite una torcia (da inclinare a piacere) di proiettare nel buio l’ombra di un pallone su di un muro. In tal caso, ovviamente, se riproiettassimo la stessa ombra sullo stesso muro, non troveremmo alcuna differenza: il gioco ormai è stato fatto!

pallone1

Proiettare, generalmente, è un’azione molto comune in matematica ed in particolare in geometria. Tale azione viene spesso scelta per passare un numero più grande di punti in un numero più piccolo. Proprio per questo alcuni punti acquistano una stessa proiezione, ma ciò non sempre rappresenta un problema.
Per immaginare questo fatto, riprendiamo l’esempio del pallone e immaginiamo di prenderne un secondo e di metterlo in mezzo tra il primo e la torcia. Come nel disegno.

pallone2Allora ad un punto sufficientemente centrale del pallone di mezzo corrisponderà la stessa proiezione sul muro di almeno un altro punto del pallone secondo. Ma, ad ogni modo, il nostro scopo di proiettare le ombre dei due sul muro è stato portato a termine. Potrebbe, di fatto, interessarci esclusivamente capire il contorno delle due figure senza porre l’attenzione sui punti interni. Come nel disegno.

ombra

Perché non si può creare la mappa perfetta?

Ricordiamo che la Terra, pur essendo un geoide, è spesso approssimata ad una sfera. Risulta quindi più attendibile creare un mappamondo rispetto ad una cartina geografica. Supponendo, come avviene nella realtà, che ci serva rappresentare la Terra su di una cartina devo poter proiettare una sfera su di un piano. Ma si presenta, viste le dimensioni, un primo problema: siamo certi che un foglio sia adatto ad ospitare tutti i punti presenti su di una sfera?

Questioni di dimensione

Una evidente differenza si palesa, quanto meno ad un occhio poco esperto, nel “contesto” in cui piano e sfera vivono. Può apparire, infatti, che questi due enti non possano esser confrontati perché appartenenti a dimensioni differenti.

Ricordiamo che la sfera è definita come segue:

$$S^2=\{(x,y,z)\in\mathbb{R}^3 x^2+y^2+z^2=R\}$$

dove $$R$$ è un fissato raggio.

In tal caso, essa si presenta come un oggetto tridimensionale, in contrasto con “l’essenza bidimensionale” del piano. Viene in aiuto il fatto che, in realtà, la sfera è una superficie (immaginabile come un lenzuolo) che gode della proprietà di essere equidistante in ogni suo punto da uno fissato, detto centro, che giace in $$\mathbb{R}^3$$ ma per descrivere la quale bastano solo due coordinate. Basti pensare proprio alla Terra, pur essendo questa tridimensionale sono necessarie solo la latitudine e la longitudine per identificarne ogni punto con precisione.
Superfici con la peculiarità di poter essere descritte da un numero di coordinate (o variabili) inferiore rispetto a quelle dello spazio dove giacciono sono dette varietà. A conti fatti, quindi, passare da una dimensione all’altra ha senso!

Ma non solo, il fatto che $$S^2$$ sia una varietà di $$R^3$$ ci permette anche di affermare che localmente (essendo descritta da due sole coordinate) può essere assimilata ad un piano. Occhio, però a non farsi prendere troppo la mano: la definizione di varietà ci permette di dire che solo per regioni abbastanza piccole si ha questa “equivalenza”. In effetti, non è detto che passando da piccoli intorni I di un fissato $$x_0$$ ∈ $$S^2$$ alla totalità di $$S^2$$ le sue proprietà non cambino. Questa peculierità della sfera, però, giustifica le osservazioni dei cartografi antichi per cui spazi molto piccoli risultano più veritieri nella rappresentazione su carta. Inoltre, questo ci permette, nel quotidiano, di trattare il suolo su cui camminiamo come piatto.

Stessa fortuna, invece, non è stata concessa ai piloti degli aerei che, al contrario, devono considerare per grandi distanze un’altra “geometria”, diversa da quella del piano piatto di Euclide.
Tutto ciò sembra una buona notizia. E sostanzialmente lo è. Ma potrebbe accadere che il numero di punti da rappresentare (presenti quindi sulla Terra) sia infinitamente più grande del numero di punti presenti su di un piano. E ciò sarebbe un vero peccato.

Quanti punti nel piano e quanti nella sfera

Consideriamo un piano $$\pi$$ infinito (si rimanda agli articoli di divulgazione della rubrica “Appuntamenti con l’infinito”) ed una sfera avente il polo sud appartenente a $$\pi$$. Per provare che $$\pi$$ riesce a contenere tutti i punti della sfera bisogna trovare una funzione

$$f:S^2 \mapsto \pi$$

 biettiva, cioè della forma uno-a-uno.

Si consideri allora il polo nord $$N$$ di $$S^2$$ e per ogni punto $$P$$ in $$S^2$$ si costruisca il segmento $$N,P$$. Questo può essere sempre costruito in maniera univoca (e quindi senza problemi) perché in una geometria euclidea per ogni coppia di punti distinti passa una ed una sola retta (postulato noto come assioma di Euclide). Limitando tale retta ai soli punti compresi tra gli estremi P,N si crea quindi il segmento cercato. Come però espresso nel postulato serve che N e P siano distinti, pertanto questa costruzione (che sarà poi la nostra $$f$$ biettiva) non può avere $$S^2$$ come dominio ma $$S^2- \{N\}$$. Riprendiamo quindi il segmento $$PN$$ e prolunghiamolo indefinitamente verso il piano $$\pi$$ nel verso di P. Questa retta interseca il piano in un punto che chiameremo $P’$.
Pertanto ho trovato
$$f:S^2-{N} \mapsto \pi , P\mapsto P’$$
che è una funzione.

Resta da provare che $$f$$ è biettiva ma è dimostrabile elementarmente ed è chiaro intuitivamente.

Abbiamo, quindi, provato che per numero di punti un piano $$\pi$$ illimitato e una sfera $$S^2$$ di misura arbitraria possono essere considerati scambievolmente. Resta un piccolo dettaglio, pur essendo $$\pi$$ illimitato è sempre possibile (mantenendone inalterato il numero di punti) ridurre le sue dimensioni ad una qualsiasi figura geometrica, in particolare nel nostro caso al rettangolo del foglio scelto per proiettare.

La presente funzione è anche utilizzata come proiezione per la rappresentazione del planisfero. Nel concreto, però, non si presenta particolarmente utile in quanto distorce la visuale rendendo la superficie terrestre una serie di curve concentriche al polo sud. Ad oggi, questa proiezione, anche nota come proiezione stereografica è utilizzata come effetto ottico per modificare le fotografie.

Pur avendo provato (almeno in parte) la coerenza nella richiesta di proiettare con “criterio” la sfera su di un piano, ci si pone un quesito più profondo: tale proiezione potrà risultare sostanzialmente equivalente alla superficie proiettata?

Più semplicemente, siamo certi di poter trovare una mappa cartacea che rappresenti appieno la geografia della sfera terrestre?

Sostanzialmente, risulta necessaria quanto meno un’equivalenza tra le aree effettive e quelle proiettate e tra gli angoli effettivi e quelli proiettati. Vogliamo, infatti, che non ci siano delle “pecche” nella nostra rappresentazione.

Per rispondere a questo quesito è necessario approfondire alcuni risultati prettamente teorici inerenti il campo della geometria. Infatti, se la geometria descritta sulla sfera fosse equivalente a quella sul piano allora la nostra richiesta risulterebbe sensata e con risposta affermativa.

La geometria non euclidea

Una delle opere più stampate e con più traduzioni nella storia dell’editoria mondiale è, curiosamente, un manuale di geometria. Al pari della ristampa di testi sacri come la Bibbia per i Cristiani, gli Elementi di Euclide di Alessandria hanno rappresentato una piccola Bibbia per i matematici di tutti i tempi. Attualmente, i risultati geometrici messi in luce dal matematico ellenico vengono studiati e applicati ancora nelle scuole primarie e secondarie di tutto il mondo: dal calcolo delle aree dei poligoni, alla misura dei perimetri, alle costruzioni di particolari poligoni regolari, possono essere interamente riletti e studiati anche con lo stesso manuale di Euclide. Si pensi, a tal proposito, che fino a pochi decenni fa gli Elementi erano reperibili molto frequentemente nelle scuole e tra le mani degli scolari di tutto il mondo.

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L’impostazione formale che Euclide sceglie di dare ai suoi 13 libri è di tipo assiomatico. Per la prima volta nella storia egli aveva messo in risalto l’importanza del sistema logico da scegliere e dell’attribuzione di un valore di verità valido a ciò che si afferma.

Secondo alcuni studiosi, è chiara l’evidenza del pensiero di Platone che aveva sottolineato la necessità della scienza di costruirsi su basi a priori, dalle quali si possano dedurre tutte le altre come conseguenze logiche delle prime, accettando il metodo deduttivo pur evidenziando una certa critica nei confronti degli assiomi di per sé Aristotele, più propenso ad una forte conoscenza assiomatica, affermava:

Ogni dottrina ed ogni apprendimento che siano fondati sul pensiero discorsivo si sviluppano da una conoscenza preesistente

e definisce Assioma

quel principio che deve essere necessariamente posseduto da chi vuole apprendere

Per Kant gli assiomi e i postulati sono giudizi a priori della mente, in quanto il concetto di spazio resta un sistema di riferimento fortemente intuitivo. L’autore del saggio I sogni della ragione, lo spagnolo Javier Fresàn, afferma invece:

L’ideale sarebbe che tutte le affermazioni vere su certi oggetti potessero essere dimostrabili a partire da un pugno di assiomi

e questa idea è stata più volte esposta dal genio matematico di David Hilbert, considerandola un elemento cruciale per provare la validità della geometria e di tutte le teorie matematiche. Anche il fisico Heinrich Hertz nell’introduzione a Principi della Meccanica analizza verso la fine dell’Ottocento il ruolo degli assiomi (le verità a priori fino ad ora) per stabilire la validità di una teoria tramite la sua non contraddittorietà. Si delinea in esso un pensiero basato sul necessario che evidentemente è figlio di un metodo deduttivo anche detto inferenza induttiva, cioè quel ragionamento che procede dall’universale al particolare, nelle cui premesse vi è la chiave di lettura delle conseguenze.

Definiamo, pertanto, i principi considerati come veri perché evidenti, assiomi. Si osserva che la scelta di questi influenza direttamente la teoria di cui sono genesi perché le deduzioni che ne conseguono possono essere “indesiderate” e quindi condurre ad eventuali future contraddizioni.
Nel primo libro Euclide sceglie di suddividere le verità più vere in due grandi tipologie: gli assiomi e i postulati. Nella maggior parte dei contesti i due termini possono essere considerati semplicemente dei sinonimi, ma il matematico ellenico dota i primi di un’accezione ‚ universalistica‚ sono pertanto validi in ogni settore dello scibile umano, mentre ai secondi dà un’accezione particolaristica legati esclusivamente alle geometria. Nello specifico:

Assiomi:
1.    Cose uguali ad una stessa cosa sono uguali tra loro
2.    Aggiungendo (quantitò) uguali a (quantità) uguali le somme sono uguali
3.    Sottraendo (quantità) uguali da (quantità) uguali i resti sono uguali
4.    Cose che coincidono con un’altra sono uguali all’altra
5.    L’intero è maggiore della parte

Postulati:
1.    Un segmento di linea retta può essere disegnato unendo due punti a caso.
2.    Un segmento di linea retta può essere esteso indefinitamente in una linea retta
3.    Dato un segmento di linea retta, un cerchio può essere disegnato usando il segmento come raggio ed uno dei suoi estremi come centro
4.    Tutti gli angoli retti sono congruenti tra loro
5.    Se due linee sono disegnate in modo da intersecarne una terza in modo che la somma degli angoli interni, da un lato, sia minore di due angoli retti, allora le due linee si intersecheranno tra loro dallo stesso lato se sufficientemente prolungate.

Alla ricerca della mappa perfetta

Consideriamo, quindi, il caso del piano e della sfera. Prendiamo un piano $$\mapsto \pi$$ e una sfera $$S^2$$. E’ facile verificare che su questa sono validi i 4 postulati (2-3-4) scelti da Euclide come fondamento della geometria sul piano (anche nota come geometria euclidea). La questione si presenta quando si lavora con rette e parallele. Pertanto vediamo in dettaglio l’argomento. Ciò che sul piano $$\mapsto \pi$$ è comune come retta, sulla sfera è identificata da quelle circonferenze aventi raggio massimo e giacenti sulla superficie della sfera. Questa “scelta” risulta necessaria al fine di definire la retta come il prolungamento indefinito di un segmento. Anche il concetto di segmento risulta, in effetti, anch’esso alterato:”definizione di segmento sulla sfera”

Ciò accade perché questo deve poter rappresentare l’ente geometrico che rende minimo il cammino tra due qualsiasi punti della sfera. Si può osservare che, tramite l’ausilio di un elastico e di una sfera di polistirolo, presi due qualsiasi punti (e fissati grazie a degli spilli), e collegati tramite l’elastico, questo si dispone proprio lungo la circonferenza di raggio massimo: la nostra retta!

La definizione di retta sulla sfera permette di evidenziare delle proprietà lontane da quelle sul piano $$\mapsto \pi$$. Ad esempio, si noti che se considero su $$S^2$$ due punti antipodali (all’esatto opposto) e considerando, poi, la “retta” per questi due è possibile ruotare tale retta di un angolo a piacere. Pertanto, su $$S^2$$, non è affatto vero che per ogni coppia di punti passa una ed una sola retta.

Risulta, quindi, violato il primo postulato.

Ma non solo. Consideriamo una retta su $$S^2$$ e un punto fuori da questa. Dopo un po’ di tentativi, è facile osservare che non esiste alcuna retta parallela alla precedente passante per il punto. Una qualsiasi retta per P ha, infatti, sempre due punti in comune con una retta data. Pertanto, ogni coppia di rette ha due punti in comune (antipodali). Da qui si nota facilmente che il V postulato di Euclide è invalidato. Non tanto, infatti, si perde l’unicità, ma in partenza, non è verificata neanche l’esistenza.

Le osservazioni appena rimarcate ci fanno evidentemente perdere le speranze di una “mappa perfetta”: è impossibile rappresentare su geometrie differenti lo stesso sistema di punti mantenendo inalterate tutte le relazioni tra questi.

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