Pubblichiamo la seconda parte dell’intervista a Rosetta Zan, già professore associato di Matematiche Complementari all’Università di Pisa, esperta in didattica della matematica.
Nella prima parte dell’intervista (disponibile qui) si è parlato del suo testo “Difficoltà in matematica”, mentre in questa seconda si parlerà di temi a carattere più generale come il livello delle conoscenze matematiche in italia, l’INVALSI, i test OCSE-PISA e la ricerca in didattica della matematica
Parte 2
Veniamo ora a fare delle domande di carattere più generale. Alcune di queste saranno domande potrebbero risultare “scomode”, ma le chiediamo di provare a rispondere ugualmente.
Per prima cosa, non possiamo non chiederle quale è secondo lei il livello delle conoscenze matematiche in Italia?
Direi decisamente inadeguato per una cittadinanza consapevole. Non mi spaventa tanto il livello pur scarso delle conoscenze, quanto la scarsa capacità di utilizzarle con un ragionamento logico e coerente, giustificando le proprie posizioni, naturalmente quando necessario.
Quale è la sua opinione sui test INVALSI di matematica che vengono sottoposti ogni anno agli studenti italiani dei vari ordini di scuola? Pensa possano essere utile alla ricerca didattica? Ritiene siano uno strumento utile per guidare indirettamente la pratica dei docenti?
Dal punto di vista dei contenuti e dei processi matematici coinvolti ritengo che le prove INVALSI siano decisamente significative. La ricerca didattica può trarre molti spunti dai risultati ottenuti a livello nazionale, se va ad indagare in modo fine sui processi messi in atto dagli allievi (processi che dai risultati delle prove non emergono): un esempio è il quesito sul numero più vicino a 100 che ho descritto in una delle risposte. Ma anche per la pratica didattica i quesiti INVALSI possono essere uno stimolo molto positivo: non mi riferisco però al loro uso per addestrare gli allievi in prossimità della somministrazione delle prove, ma a un lavoro ancora una volta mirato a evidenziare i processi messi in atto dagli allievi, e coordinato con la programmazione didattica del docente. L’insegnante può utilizzare i quesiti liberandosi dai vincoli posti da INVALSI (che per lo più discendono dagli obiettivi che caratterizzano una valutazione di sistema): lo scarso tempo disponibile per rispondere, la presenza di risposte per lo più chiuse, soprattutto la mancata richiesta di giustificare la propria risposta.
Per quanto riguarda l’ultima domanda, la mia risposta è affermativa: nella mia attività di formazione nel primo ciclo ho potuto verificare che le prove INVALSI, pur viste inizialmente da molti insegnanti con estrema diffidenza, sono riuscite a mettere in discussione certe pratiche basate più sulla tradizione che su scelte consapevoli degli insegnanti. Il fatto è positivo, anche perché le prove INVALSI sono coerenti con le Indicazioni nazionali, più di quanto siano in genere i libri di testo disponibili: attraverso una riflessione su queste prove l’insegnante trova quindi un supporto indiretto all’applicazione delle Indicazioni stesse.
Condivide l’approccio dei test OCSE-PISA? Pensa che sia il giusto modo di valutare le competenze e in particolare quelle di uno studente italiano?
Dei test OCSE-PISA apprezzo lo sforzo di mettere lo studente in situazioni di problema, il che rende necessario decidere quali conoscenze utilizzare e come. La scarsa abitudine degli studenti italiani di affrontare problemi può essere allora un motivo del loro scarso successo, e un segnale della necessità di lavorare in una certa direzione. Mi convincono meno i problemi che vengono utilizzati, centrati su un’idea di realtà e di utilità della matematica che trovo un po’ riduttiva.
La mia perplessità maggiore riguarda però il fatto che nella valutazione PISA a mio parere si sottovaluta il processo che precede (o dovrebbe precedere) il processo di soluzione, cioè la comprensione del problema: i quesiti PISA sono espressi attraverso un testo, tra l’altro in genere piuttosto articolato, e un’inadeguata comprensione del testo (o comunque un’interpretazione del testo diversa da quella attesa) può pregiudicare il processo risolutivo, anche in presenza di competenze matematiche adeguate.
Esiste, secondo lei, una specificità del modo di insegnare la matematica in Italia rispetto ad altri paesi? Cosa c’è di positivo e cosa di negativo?
In realtà molti nodi del nostro insegnamento sono condivisi da gran parte del sistema scolastico occidentale, come mette in evidenza la ricerca didattica. Un aspetto ‘nostro’ che ritengo negativo è la paura di porre problemi (cioè problemi veri, non esercizi etichettati come problemi) che mi sembra caratterizzi la maggior parte dell’insegnamento. Un aspetto che ritengo positivo nella nostra tradizione è l’attenzione agli aspetti teorici della matematica, in particolare all’argomentazione e alla dimostrazione. È una tradizione che a mio parere va salvaguardata, naturalmente ripensandola e direi ‘rivitalizzandola’ anche alla luce dei risultati della ricerca didattica e delle Indicazioni nazionali: ad esempio trovo cruciale il ruolo dell’argomentazione per l’educazione a una cittadinanza consapevole.
Il suo libro ovviamente si incentra su quello che dovrebbe provare a fare un insegnante per affrontare le difficoltà in matematica dei suoi studenti. Secondo lei il ‘sistema scuola’ italiano mette un docente nelle condizioni di agire nel migliore dei modi?
Bisogna vedere cosa s’intende per ‘nel migliore dei modi’. Ma bisognerebbe anche capire bene cosa intendiamo per ‘sistema scuola italiano’. Certamente ci sono alcuni aspetti su cui l’insegnante non può intervenire (non può scegliersi la quantità e la qualità degli allievi, le ore d’insegnamento, i colleghi, le famiglie, il dirigente, il contesto socio-culturale…) e che possono costituire un ostacolo per la sua azione didattica. Ma ci sono a mio parere tantissimi aspetti su cui l’insegnante può lavorare. Del resto l’insegnamento è problem solving, e nel problem solving l’analisi della situazione, in particolare dei vincoli, è la prima fase per affrontare un problema, non l’ultima: insieme alla consapevolezza dei vincoli è fondamentale la consapevolezza delle risorse che abbiamo a disposizione, per poterle sfruttare al meglio e per poter minimizzare gli effetti negativi dei vincoli.
Penso alla risorsa ‘tempo’: è vero, ne abbiamo poco, ma siamo convinti di sfruttarlo al meglio? La diversità degli studenti: è vero, può essere un ostacolo, ma siamo sicuri che – almeno per certe attività – non possiamo sfruttarla come risorsa?
Allora ‘agire nel migliore dei modi’ assume un significato diverso, più realistico e concreto: vuol dire nel migliore dei modi dato il contesto, date quelle particolare situazioni al contorno.
In questo senso a mio parere è sempre possibile agire ‘nel migliore dei modi’, o comunque in un modo sensato, ‘passabile’, per utilizzare un’espressione dello psicoanalista Donald Winnicott.
Pensa che un insegnante, con due ore a settimana di matematica (come accade nel triennio di praticamente tutti i licei a parte lo scientifico),una classe di 28-30 studenti e una media di 3-4 studenti DSA e BES per classe, sia davvero messo nelle condizioni di lavorare in modo proficuo?
La domanda è retorica… e in un certo senso puntualizza la domanda precedente. Anche la risposta richiama quindi quella che ho dato sopra.
L’insegnante nell’approccio che ho descritto è un solutore di problemi, un agente decisionale, che si trova continuamente a dover riconoscere, affrontare, e eventualmente risolvere (magari parzialmente) problemi.
In particolare i vincoli che la situazione pone, come quelli da lei elencati, costituiscono delle condizioni al contorno che indubbiamente rendono ancora più problematico l’insegnamento. Ma qualcosa si può comunque fare: la matematica ci insegna che fra 0 e 1 ci sono infinite possibilità.
Intervento della prof.ssa R. Zan ai Lincei sul tema del recupero in matematica
Ritiene che il nuovo percorso formativo dei futuri insegnanti sia adeguato a formare migliori insegnanti? Ha una opinione sui vari percorsi (SSIS, TFA ) che lo hanno preceduto?
Ho fiducia nel nuovo percorso formativo, soprattutto sono convinta dell’importanza di definire finalmente con chiarezza un percorso di formazione iniziale e di assicurarne la stabilità nel tempo. Chiarezza e stabilità che sono mancate in tutti questi anni: nelle SSIS ogni anno sembrava l’ultimo, e questa incertezza ha ostacolato una pianificazione ottimale delle esperienze e anche il loro confronto a livello nazionale. Con il TFA si è voluto ricominciare da zero, buttando via il tesoro di informazioni (in positivo e negativo) che quella lunga esperienza aveva permesso di raccogliere.
A mio parere è importante questa volta utilizzare l’esperienza passata, in particolare fare un bilancio sereno e costruttivo delle SSIS, del TFA, dei PAS.
A livello personale la mia esperienza è stata molto positiva: nonostante i limiti organizzativi, in particolare il poco tempo a disposizione, ho avuto modo di conoscere (giovani) corsisti seri, responsabili, entusiasti, che spesso hanno contagiato con il loro entusiasmo e le loro proposte i colleghi con cui interagivano nelle scuole del tirocinio. Molti di loro li rivedo nelle attività di formazione che organizziamo, e questo mi fa molto piacere.
Certo l’esperienza variava molto da sede e sede, ma anche da disciplina a disciplina: laddove non c’era una tradizione di studi in didattica le lezioni spesso si limitavano a ripercorrere i corsi proposti all’università, con un senso di forte (e a mio parere giustificata) insoddisfazione da parte dei corsisti.
In Italia, secondo lei, viene fatta abbastanza ricerca in didattica delle matematica o è una attività di nicchia poco supportate dalle stesse università?
Non abbastanza. Le esperienze che ci sono state nell’ambito delle SSIS e del TFA hanno messo in evidenza l’importanza di persone esperte in didattica della matematica (che è un settore di ricerca al pari di altri) e al tempo stesso il fatto che in molte sedi c’è carenza di queste figure.
Per quanto riguarda il supporto da parte delle università, è vero che la didattica della matematica a volte viene vista da chi fa ricerca in matematica come qualcosa di estraneo, ma ritengo che le cose stiano cambiando e possano ulteriormente cambiare: da un lato il ruolo delle università nella formazione valorizza quel tipo di competenze, dall’altro chi fa ricerca in didattica può essere un riferimento prezioso anche per la didattica a livello universitario.
Il sistema scuola italiano che modifiche potrebbe introdurre per migliorare l’insegnamento della matematica?
Data l’importanza cruciale che riconosco al ruolo dell’insegnante, ritengo strategico investire sulla formazione: quella iniziale ma anche quella in servizio. Ora che siamo di fronte a un percorso nuovo per la formazione iniziale, ritengo importante operare e vigilare al massimo per realizzarlo al meglio.
Cambiando leggermente argomento, cosa pensa della divulgazione scientifica (in particolare quella matematica) nell’attuale panorama editoriale italiano? Ritiene possa svolgere un ruolo utile per modificare la visione della scienza nella società?
Credo che abbia un ruolo importante per modificare la percezione della scienza che caratterizza la nostra società: naturalmente è un processo lento, ma che è importante mettere in atto, dato che alcune convinzioni errate che contribuiscono a costruire le difficoltà dei nostri studenti sono alimentate dal nostro contesto socio-culturale.
La politica ed i mezzi di comunicazione moderni si occupano a sufficienza di scienza e, quando lo fanno, è nel giusto modo? O forse aiutano a consolidare alcuni stereotipi che poi allontanano molti studenti da queste discipline?
A mio parere non se ne occupano a sufficienza e nel modo adeguato, ma quel che è peggio i comportamenti adottati sono spesso un oltraggio al metodo scientifico e ai valori importanti che la scienza può veicolare: penso al mancato ascolto delle opinioni altrui, all’incapacità di condurre un dibattito in modo sereno e costruttivo, al ricorso ad argomenti basati sulla ricerca del consenso o della provocazione a tutti i costi piuttosto che sulla ricerca del vero, alla superficialità con cui in genere si trattano temi complessi, addirittura alla disonestà con cui tale complessità viene ignorata.
Quali indicazioni/suggerimenti si sentirebbe di dare agli studenti di scuola superiore che seguono realtà come il nostro blog e che stanno pensando di iscriversi ad una facoltà scientifica?
Che molto probabilmente si troveranno di fronte a corsi di matematica in cui si richiede di ragionare e comprendere i perché, piuttosto che memorizzare e applicare regole a esercizi di routine; che in ogni caso l’approccio adeguato può essere diverso da quello che magari alle scuole superiori funzionava. Più in generale cercherei di renderli consapevoli del fatto che lo studio universitario ad indirizzo scientifico richiede tempo, organizzazione, costanza, e che fin dalle prime lezioni è importante assumere un ruolo attivo e rendersi conto che ci sono tante decisioni da prendere, decisioni che influenzeranno notevolmente il successo del percorso del primo anno: quali corsi frequentare, se e come prendere appunti (scelta che dipende anche dallo stile del docente), come fare per poter seguire in modo adeguato la lezione successiva, come utilizzare fin da subito le risorse che dà il contesto universitario (ad esempio l’orario di ricevimento del docente). D’altra parte li rassicurerei, perché un eventuale fallimento non è la fine del mondo: si può tranquillamente superare, purché si cerchi di capire quali sono stati i comportamenti che l’hanno causato e si cerchi di modificarli.
C’è un argomento che le piacerebbe che fosse trattato nel nostro blog? E in caso si offrirebbe di aiutarci a trattarlo?
Mi piacerebbe che fosse attivata una riflessione sul rapporto che ognuno di noi ha costruito con la matematica. È un rapporto che mette in gioco sia la visione di questa disciplina che l’immagine di sé che ognuno ha costruito rispetto a essa.
In una ricerca condotta con il collega Pietro Di Martino abbiamo indagato su tale rapporto utilizzando il tema autobiografico dal titolo Io e la matematica: il mio rapporto con la matematica (dalle elementari a oggi), e raccogliendo più di 1600 temi. Per un ricercatore è davvero impressionante la quantità e la qualità delle informazioni che si possono ricavare (in particolare sulle possibili radici di un atteggiamento positivo o negativo), ma anche per chi scrive la riflessione su di sé che lo svolgimento comporta si rileva spesso un’esperienza significativa.
Nel vostro blog una riflessione di questo genere può portare a una raccolta di brevi storie, al loro confronto… forse può perfino aiutare qualcuno a rileggere la propria storia (anche d’insegnante) in modo diverso e più costruttivo, riuscendo a immaginare un finale diverso.
Certamente darei la piena disponibilità a collaborare.
A intervista finita, vi ringrazio davvero per l’opportunità che mi avete dato di illustrare il mio libro, e per le domande molto stimolanti, che mi hanno permesso di riflettere su aspetti vecchi e nuovi.
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