maurizio-codognoPubblichiamo questa intervista a Maurizio Codogno noto divulgatore della matematica presente in rete con diversi blog (sul Post e qui)   nonché autore di opere divulgative.

Recentemente ha  pubblicato un nuovo libro dal titolo “Numeralia” e proprio su questa opera sarà incentrata l’intervista.

Il libro edito da Codice Edizioni è acquistabile per esempio qui e qui.


 

– Come è nata l’idea di scrivere un libro sui numeri e sui loro collegamenti 119 - Polidoro_140_210_B1come discipline come, per esempio, l’arte e la letteratura?

Avendo ormai già scritto qualche libro, ho voluto fare qualcosa di diverso da quanto avevo già prodotto, pensando anche a chi non è poi così ferrato con la matematica. Il vantaggio di parlare di numeri è che li conosciamo tutti, anzi li conosciamo così bene che non ci accorgiamo nemmeno di quando li usiamo al di fuori della matematica. Esistono già parecchi libri sulle proprietà matematiche dei numeri e naturalmente ce ne sono tantissimi sulle loro proprietà cabalistiche; ma non ne conoscevo nessuno che provasse a cercare i numeri in giro per il mondo. Poi non ho potuto fare a meno di aggiungere anche un po’ di matematica per così dire ufficiale: ma spero da un lato di averla nascosta bene e dall’altro di avere raccontato curiosità sconosciute ai più.

– Per qualcuno, la fissazione per i numeri rientra un po’ nello stereotipo del matematico geniale che a 8 anni moltiplica fra loro numeri di 5 cifre e, mentre cammina, si ferma ad osservare se la targa della macchina appena passata è palindroma o contiene un numero primo. Lei condivide l’idea che questo sia un po’ uno stereotipo o c’è qualcosa di vero? Per esempio nel suo caso o in altri matematici che conosce i numeri si da piccolo hanno svolto un ruolo importante?

Io sono un caso patologico, perché prima delle elementari scrivevo lunghissime somme e sottrazioni senza alcuna ragione specifica. Ma in realtà la maggior parte dei matematici che conosco non ha chissà quale rapporto con i numeri, e anzi tende a seguire l’altro stereotipo dei matematici: quello di non saper fare una somma. Mettiamola così: chi non ha fatto matematica e ha solo dei pallidi ricordi scolastici pensa alla matematica come alla scienza dei numeri, mentre chi la matematica la fa davvero deve usare struttura molto più astratte.

– Dai contenuti del testo che spaziano fra fumetti, letteratura e aneddoti vari, sembrerebbe un libro che si rivolge ad un pubblico non solo di addetti ai lavori. Ci conferma questa impressione? A quale pubblico pensava mentre scriveva questi capitoli?

Sì, l’idea è stata quella di fare un libro che potesse essere apprezzato anche da chi matematico non è – io lo definisco affettuosamente “un libro di pettegolezzi sui numeri”-   ma in cui chi è curioso di cose matematiche potesse trovare spunti interessanti. Naturalmente ogni capitolo ha un mix diverso: mentre la parte di curiosità è sempre presente, la parte più strettamente matematica a volte manca.

– Nell’introduzione del suo libro scrive che “per un matematico i numeri sono come degli accidenti che stanno alla base della disciplina”. Può spiegare ai nostri lettori questa frase?

Non c’è dubbio che la matematica nasca come “scienza dei numeri”: egizi e babilonesi la vedevano così – ma non i greci, che avevano un’idea del tutto diversa che si rispecchia anche nella parola stessa “matematica” che ha la radice di “conoscenza”. Come raccontavo sopra, però, ci si è sempre più allontanati da un approccio strettamente numerico. Già il concetto di dimostrazione è svincolato dai numeri. perché vale per qualunque insieme di valori in ingresso; ma a partire dall XIX secolo il fuoco si è sempre più spostato verso le strutture e i modelli, se non addirittura le strutture di strutture. Sotto sotto i numeri ci sono ancora, ma un matematico non se ne cura più di tanto.

Il Numero della Bestia è 666, dipinto di William Blake (fonte wikipedia.org)

Il Numero della Bestia è 666, dipinto di William Blake (fonte wikipedia.org)

– Venendo ora ai vari capitoli del libro, visto che il testo è molto ampio, abbiamo deciso di farle solo su una selezione dei numeri che lei ha inserito nei diversi capitoli del libro. Vorremmo incuriosire i lettori, ma anche non svelare tutto quello che di interessante e curioso c’è del libro. Se questo per lei va bene, iniziamo con la prima domanda più strettamente legata ai contenuti del suo libro.
Per prima cosa osserviamo che parte (si può dire con il botto) affrontando nel primo capitolo il numero 666. Che c’entra questo numero con la capacità dell’uomo di individuare “pattern” che si ripetono nella realtà e la “pareidolia”?

Beh, come racconto in Numeralia una cosa divertente è che per chi leggeva l’Apocalisse il numero 666 non aveva questa bella ripetizione di cifre, e forse il vero Numero della Bestia non è neppure 666. Però il passaggio alle cifre arabe, con questa ripetizione di cifre, ha sicuramente molto colpito l’immaginazione. Noi esseri umani siamo bravissimi a vedere cose che non ci sono; e siamo anche molto bravi a trovare delle scuse per dire “massì, è praticamente così”. Questo è lo stesso motivo alla base dei Gratta e vinci: sono studiati apposta per farti “quasi vincere” e quindi invogliarti a giocare ancora. Quindi l’importanza per così dire letteraria del 666 ha fatto venir voglia a tante persone di cercare un modo di associarlo a un loro nemico: e ci sono così tante possibilità a nostra disposizione che se siamo abbastanza convinti possiamo trovare quella che fa al caso nostro.

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– Il successivo capitolo parte dal numero 313 della targa della macchina di Paperino e arriva incredibilmente a far notare l’errore che Umberto Eco fece nel “Pendolo di Foucault”. Non possiamo non chiedere di anticipare ai nostri lettori qualcosa di tutto ciò.

Il passaggio dalla 313 a Eco avviene per tramite della Banda Bassotti, o più precisamente dei loro numeri di matricola che sono del formato 176-xxx dove xxx è una permutazione delle cifre 1, 7, 6. Anche Eco fece la stessa cosa, per stampare tutti “i nomi di Dio” nella grafia ebraica traslitterata IAHVEH, ottenendo 720 nomi ma non accorgendosi che ce n’erano di identici.

– Il terzo capitolo per la gioia dei nerd giovani e soprattutto meno giovani è dedicato al numero 42 e arriva a citare Donald Knuth (che per chiunque mastichi un po’ di matematica e informatica è l’equivalente di una quasi divinità terrena). Anche in questo caso le chiediamo di anticiparsi qualcosa di questo capitolo.

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Donald Knuth (fonte wikipedia.it )

Cominciamo dall’inizio. Il 42 è la Risposta alla Domanda fondamentale sulla vita, l’universo e tutto quanto, come Douglas Adams raccontò nella Guida Galattica per gli Autostoppisti. Ma qual è la Domanda? Questo è un mistero. Nel libro il protagonista prova una tecnica particolare per recuperarla, ottenendo umoristicamente “Quanto fa sei per nove?”. Ma sappiamo che gli umani sono bravissimi a trovare connessioni: così c’è chi ha fatto notare come la domanda sia perfettamente corretta… se operiamo in base 13. Knuth, tra le tantissime cose che ha fatto, si è anche occupato di basi di numerazione non standard, come la quaterimmaginaria (non preoccupatevi, si può vivere felici anche senza sapere cosa sia)

– Partendo dal numero 99, inizia un intero capitolo dedicato alla letteratura dell’Oulipo. Che cosa è stato l’Oulipo e che c’entra con la matematica?

oulipo

Fonte http://frenchculture.org/

L’Oulipo (che esiste ancora!) è un progetto nato in Francia nel 1960, in cui letterati appassionati di matematica e matematici appassionati di letteratura si sono uniti per provare a produrre letteratura con regole diverse da quelle classiche. Sostengono che la creatività si attiva non quando lo scrittore opera liberamente, ma quando deve sottostare a dei vincoli: pensate alla poesia con rime e metrica, o anche solo alla struttura di una fiaba. Scopo dell’Oulipo è quindi inventare nuovi vincoli – spesso di ispirazione matematica – e usarli per vedere cosa ne esce fuori. Anche Italo Calvino faceva parte dell’Oulipo: Se una notte d’inverno un viaggiatore è un esempio di opera scritta a partire da un vincolo, in questo caso produrre tante storie diverse a partire dalle singole frasi di un racconto. Il 99 è simbolico nel senso che indica la incompletezza (manca un’unità per arrivare a un numero tondo) e può essere visto come la volontà di non finire preda dell’hybris o anche un modo per ricordare che anche il lettore ha una sua parte nella fruizione di un’opera letteraria: il numero appare quindi spesso nelle opere oulipiane.

– Un altro numero che prende in considerazione è il 515. Può spiegare cosa c’entra questo numero con Dante e una 3-sfera?

Il 515 (“cinquecento, diece e cinque”) appare alla fine del Purgatorio in un brano piuttosto oscuro. L’opinione della maggior parte dei critici è che il numero deve essere letto usando i numeri romani corrispondenti, ottenendo così DVX, un condottiero (“duce”) che riaggiusterà le cose: probabilmente Dante pensava a Enrico VII di Lussemburgo, che però morì nel 1313. Ma tanto la profezia era oscura, e così il sommo vate poté far finta di nulla e lasciarla intatta. Più in generale, Dante usa parecchie volte nel Paradiso esempi matematici, perché in fin dei conti la Divina Commedia è una sorta di enciclopedia. La storia della 3-sfera è un po’ più complicata. Innanzitutto bisogna spiegare che per un matematico la 2-sfera non è altro che la superficie di una sfera (composta di infinite circonferenze, pensate ai paralleli terrestri, che partono come un punto, si ingrandiscono e poi si rimpiccioliscono fino a tornare a essere un punto) nello spazio tridimensionale. Per analogia, la 3-sfera è composta da infinite sfere in uno spazio quadridimensionale, che partono come un punto, si ingrandiscono e poi si rimpiccioliscono fino a tornare a essere un punto. Quando Dante parla della visione di Dio una volta arrivato al Primo mobile, lo descrive come un punto a partire da cui è generato tutto; alcuni matematici si sono accorti che l’immagine dell’unverso dantesco, con i vari cieli con i beati e quelli con gli angeli, è una perfetta descrizione di una 3-sfera. Decidete voi se effettivamente il Poeta ha avuto la possibilità di dare uno sguardo al nostro universo dalla quarta dimensione!

– Nel libro sceglie di parlare anche dello ZERO. Perché questo numero è così importante e che vuol dire la seguente frase presente ad un certo punto in questo capitolo “il punto chiave è che c’è una differenza fra il vuoto e l’insieme vuoto”.

Lo zero è un concetto fondamentale per definire i numeri, e passare da un mero “contiamo quanti oggetti ci sono qui” – e in questo caso lo zero non serve, se non c’è nulla non dobbiamo contare!-  alla definizione di una struttura. La differenza tra il vuoto e l’insieme vuoto è che nel primo caso non c’è nulla ma nel secondo qualcosa c’è (un insieme, per l’appunto: sarà pure una struttura astratta ma è pur sempre qualcosa). Questo è il punto di partenza per poter costruire tutti i numeri naturali partendo dal nulla e dal concetto di insieme.

– L’ultimo numero di cui vorremmo chiedere di parlarci è il 555. Che si arrivaShannon-Teoriadell-Informazione da questo numero a Shannon e la sua teoria dell’informazione?

Il 555 è il prefisso telefonico che viene spesso usato nei film americani, e che era stato scelto perché nei primi centralini la combinazione iniziale 55- non era permessa. È una lunga storia che ha a che fare con le lettere scritte sotto i numeri di un telefono. Shannon non è direttamente collegato a questa scelta, ma il suo lavoro alla Bell System fu fondamentale per comprendere quali erano le condizioni perché un segnale inviato attraverso un mezzo che poteva aggiungere del rumore (un filo telefonico ai tempi, una connessione radio oggi) potesse essere compreso da chi lo riceveva.

– Per finire vorremmo chiederle, come ha scelto l’ordine dei numeri nel libro? E’ possibile seguire anche un ordine non sequenziale nella lettura del testo?

L’ordine è stato scelto più o meno a caso, nel senso che man mano che mi venivano in mente numeri che trovavo interessanti li aggiungevo all’elenco. Il libro può pertanto essere letto in un ordine qualunque: tutti i capitoli sono autocontenuti. È però possibile che gli ultimi capitoli siano un po’ più eterei dei primi, proprio perché parlano di numeri non immediatamente associabili a qualcos’altro.

Veniamo ora a delle domande di carattere più generale.
– Di formazione abbiamo letto che lei è un matematico Normalista e successivamente si è formato come informatico. Ci può raccontare qualcosa di questa esperienza alla Normale? Quanto è stata diversa rispetto a quella successiva come “informatico”?
Ha qualche suggerimento da dare a qualche nostro giovane lettore che vorrebbe provare ad entrare alla Normale?

Diciamo che io sono un matematico non praticante, nel senso che non ho mai fatto il

Fonte: http://www.z80ne.com

Computer di Nuova Elettronica Fonte: http://www.z80ne.com

matematico di professione: però la passione per la matematica e per l’informatica sono sempre andate di pari passo, tanto che avevo già un calcolatore (il “Computer di Nuova Elettronica”, con il famigerato BASIC in italiano!) nel 1979. La Normale mi diede anche l’opportunità di accedere per la prima volta alla Rete (Internet non era ancora nata…) nel 1984, cosa che mi fece rischiare grosso perché stavo per non riuscire a dare gli esami universitari!

La Normale è stata un’esperienza importante, anche se non semplicissima visto che il primo anno avevo qualcosa come 40 ore di lezione settimanali e poi bisognava ancora studiare: mi ha dato però la possibilità di scoprire tantissime cose e soprattutto di “imparare a imparare”, come si suol dire. Quello che serve per riuscire a entrare è avere tanta curiosità: io per esempio riuscii a superare l’esame di ammissione perché al liceo mi ero abbuffato dei libri di Martin Gardner che raccontavano di proprietà matematiche che non si facevano a scuola.

– Lei è autore di diversi libri di divulgazione matematica (Matematica in pausa caffè, Matematica in pausa pranzo). Come è nata la passione per la divulgazione della matematica?

Il processo è stato molto lungo. Come ho detto, fin da ragazzo ero appassionato dellematematica-pausa-caffe ricreazioni matematiche, ma non mi sarebbe mai venuto in mente di scrivere qualcosa al riguardo, esattamente come non mi verrebbe mai in mente di insegnare. Poi a metà degli anni ’90 ho cominciato a scrivere articoli di informatica (tecnicamente corretti, ma parecchio pallosi…); dopo un po’ mi sono però reso conto che se volevo che qualcuno mi leggesse forse avrei dovuto scrivere in modo più accattivante. Poi a me la matematica piace tantissimo, e quindi è stato solo naturale dedicarmici, scegliendo di solito temi non trattati a scuola per poterne parlare in modo non strettamente didattico ma più esperenziale. Un matematico di professione deve dimostrare teoremi, ma tutti gli altri non ne hanno bisogno, proprio come non hanno bisogno di essere esperti in tutti gli altri campi dello scibile umano.

– Cosa pensa della divulgazione scientifica, in particolare matematica, italiana?

Rispetto a quando ero ragazzo io, è una gioia. Ai miei tempi, ma anche alla fine del secolo scorso, tutto quello che si riusciva a trovare erano traduzioni dall’inglese quando andava bene, oppure si dovevano direttamente prendere le opere in lingua originale. Mi stupivo di come i matematici anglosassoni riuscissero a scrivere di matematica in modo accattivante, mentre da noi l’alternativa era tra testi barbosi e problemini stupidi. Per fortuna è arrivato qualcuno della mia generazione e soprattutto parecchi della generazione dopo la mia che hanno svecchiato la divulgazione. Non faccio nomi perché sono certo che me ne dimenticherei tanti 🙂 La difficoltà è diventata un’altra, quella di riuscire a trovare i libri migliori lasciando perdere quelli di divulgatori improvvisati che per di più non hanno chissà quale dimestichezza con la lingua italiana. Perlomeno questo non è un problema con la divulgazione matematica: siamo di nicchia e non vendiamo certo tante copie, ma tutti quelli che ce l’hanno fatta e sono stati pubblicati hanno fatto degli ottimi lavori.

Video in cui Maurizio Codogno parla al Palazzo delle Esposizioni di Roma di Matematica e quotidianità

– Essendo un noto divulgatore nel campo della matematica, ci è capitato di sentirla intervenire in trasmissioni come Radio3 Scienza in merito ai problemi posti dell’INVALSI e più in generale della matematica insegnata a scuola. Cosa ne pensa della situazione della matematica e del suo insegnamento nella scuola italiana?

Premetto che io sono controcorrente e tra i pochi che ritiene molto interessante l’approccio scelto per gli INVALSI di matematica, dove non si vogliono tanto valutare le competenze raggiunte quanto capire se gli studenti le abbiano interiorizzate abbastanza per risolvere problemi “non standard”. (Ed è per quello che sono contrarissimo a che il risultato INVALSI faccia media con gli altri voti: rischiamo che gli insegnanti facciano una preparazione sui quizzini tralasciando le nozioni di base).
Detto questo, e sapendo che i “programmi scolastici” formalmente non esistono più, credo che il problema di base sia la mancanza di testi più innovativi. Al momento io ho solo a che fare con quelli della scuola primaria, visto che ho due gemelli che frequentano la quarta. A quel livello l’esercizio meccanico è giustamente prevalente, perché nozioni come le tabelline sono l’equivalente matematico dell’alfabeto; quello che però vedo è un insieme di nozioni affastellate senza una spiegazione di quello a cui servono in pratica, e così i bambini le imparano (forse) a memoria ma non le capiscono e quindi le dimenticano quasi subito. Per la secondaria, ve lo dirò tra qualche anno…

– Una cosa non possiamo non chiederle: come le è capitata l’opportunità di collaborare con Douglas Richard Hofstadter autore del notissimo testo “Gödel, Escher, Bach: un’eterna ghirlanda brillante” ?

È una lunga storia. Lessi GEB in inglese un paio d’anni dopo la sua uscita, e prima chegodel-escher-bach venisse tradotto in italiano, cosa che ritenevo impossibile. Nel 1986 Hofstadter venne in Italia a tenere un ciclo di conferenze sugli ambigrammi. Io mi ero tenuto un ritaglio di giornale che mostrava la propaganda democristiana contro il Fronte Popolare nelle elezioni del 1948, con la faccia di Garibaldi simbolo della lista che rovesciata diventava Stalin, e gliene parlai. Lui mi chiese se potevo spedirgli una copia del ritaglio, cosa che feci volentieri, e ci fu un breve scambio di lettere ed email. Dieci anni dopo mi contattò per chiedermi se volevo dare un’occhiata alla traduzione del suo libro Concetti fluidi e analogie creative (che venne molto rimaneggiato…) e da lì finii nel gruppo dei “traditori”, vale a dire i suoi amici a cui fa tradurre i suoi libri sapendo che hanno un mix di conoscenze scientifiche, letterarie e ludiche che permette loro di trovare il miglior equilibrio tra lettera e spirito nella traduzione.

– Lei hai vissuto l’epopea della “rete” prima ancora che esistesse il web per come lo conosciamo adesso con internet. Può raccontarci qualcosa di quel periodo? Lei che ruolo aveva? Cosa è rimasto di quei primi tempi?

Come ho detto, uno dei vantaggi di essere stato un normalista è stato un accesso alla Rete prima ancora della nascita di Internet. Il mio lavoro “vero” allo CSELT, l’allora centro di ricerca della SIP, mi ha permesso di continuare ad accedere alla rete; quando ci fu il boom di Internet riuscii a finire nel gruppo che si occupava di queste cose, e così mi inserii nei gruppi IETF che stavano rivedendo i protocolli di posta elettronica e del Web, mentre in Italia sono anche stato il direttore esecutivo della Naming Authority, il gruppo di Internet provider e giuristi della rete che definirono le regole per l’assegnazione dei nomi a dominio in Italia.
A parte l’ovvia considerazione che almeno all’inizio la rete era praticamente solo in inglese e “accademica” (nel senso che c’erano studenti universitari), non è rimasto praticamente nulla della vecchia rete per lo stesso motivo per cui passando dai piccoli ai grandi numeri le cose cambiano: quando si è in pochi c’è sempre qualcosa in comune, mentre quando si è in tanti si hanno mille interessi diversi. Se vogliamo vedere il bicchiere mezzo pieno, mi sono rimasti tanti amici di tastiera!

– Attualmente collabora a Wikipedia. Qual è il suo ruolo e perché Wikipedia, secondo lei, è un progetto importante?

Dal 2011 sono il portavoce di Wikimedia Italia, il “fan club ufficiale di Wikipedia in lingua italiana”. Più specificatamente, Wikipedia è gestita tecnicamente dalla Wikimedia Foundation americana, mentre le voci dell’enciclopedia sono gestite dalla comunità dei contributori: noi come associazione facciamo opera di comunicazione al mondo esterno, sapendo bene che le dinamiche interne a Wikipedia sono incomprensibili per chi non ci lavora. L’importanza di Wikipedia è innegabile, ma probabilmente non per le ragioni che uno può pensare: per come la vedo io, è un punto di partenza eccezionale per avere un’idea di base su un argomento qualunque e poi potere andare a cercare le informazioni altrove. Quando nel 2004 coninciai a contribuire, non c’era quasi nulla: ricordo che iniziai a scrivere le voci di base di matematica, roba tipo “addizione” e “sottrazione” per intenderci. Naturalmente ha anche tutti i difetti di un’opera che nasce dal basso e senza coordinamento se non emergente: restando sulla matematica, molte voci sono incomprensibili per chi non è un addetto ai lavori mentre almeno il primo paragrafo dovrebbe essere per quanto possibile accessibile. Solo che è noto a tutti che è più semplice  scrivere in maniera difficile anziché comprensibile… però la chiarificazione potrebbe essere un’ottima palestra per chi volesse cimentarsi!

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Maurizio Codogno al centro con, a sinistra, 2/3 dei “Rudi Matematici” e a destra 1/21 di “Math is in the Air”. Foto scattata da Roberto Natalini durante un Carnevale della Matematica organizzato a Napoli

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