Di Maria Mannone e Federico Favali

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Escher: una rappresentazione labirintica e vertiginosa delle scale. Immagine tratta dal blog https://www.stilearte.it/a-chi-si-ispiro-escher-lossessione-delle-scale-delle-carceri-di-piranesi/

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Lo scrittore e poeta Jorge Luis Borges. Foto da Wikipedia

“Un labirinto dove è facile perdersi..” Potrebbe essere questo l’inizio di un avvincente racconto, o la descrizione dell’esperienza di chi non ama districarsi fra i meandri della matematica. E se entrambe le cose potessero inestricabilmente fondersi? E se la matematica entrasse in un racconto, o se un racconto si facesse strada fra le equazioni, proprio come un rompicapo, o un labirinto da cui fuggire?

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Labirinto Borges, Venezia, Isola di San Giorgio Maggiore. Fotografia di F. Favali

Se il labirinto è uno dei temi principali dell’opera dello scrittore argentino Jorge Luis Borges (Buenos Aires, 1899 – Ginevra, 1986), lo è anche, prepotentemente, la matematica. La matematica è così potente, e la sua insistenza così continua, che il concetto di potenza del continuo non è estraneo all’opera borgesiana.

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Abitazione di Borges in Calle Maipù a Buenos Aires. Fotografia di F. Favali

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Jorge Luis Borges con María Kodama. Fotografia da http://www.minimaetmoralia.it/wp/borges-intervista-maria-kodama/

Correva l’anno 1899 quando il matematico Georg Cantor definì il concetto di cardinalità, il “numero degli elementi di un sistema”. 

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Il matematico Georg Cantor. Foto da Wikipedia

Contiamo le pecore di un gregge: sono molte. Contiamo i fili d’erba calpestati dalle pecore di un gregge: sono molti di più, sono più “densi” delle pecore nello stesso spazio. Contiamo le molecole d’ossigeno nel vento che smuove i fili d’erba: ancora di più. O ci si addormenta, oppure si rimane a leggere ad occhi sgranati qualche concetto matematico. Se contiamo i punti della linea dell’orizzonte… no, non si può. Si tratta del continuo. Un insieme di un tot di pecore e il numero di punti su un segmento (una porzione finita di una retta, come della linea dell’orizzonte) sono *qualitativamente* diversi. Se il nostro gregge di pecore è infinito, e se la linea dell’orizzonte diventa una retta infinita, si hanno due infiniti, ma sempre *qualitativamente* diversi. 

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Contando le pecore. Da “Intervallo”, Youtube.

Questa diversità richiama al matematico la lettera “Aleph”, e allo scrittore la parola “Aleph” fa pensare al titolo di un romanzo borghesiano.

Con il simbolo “Aleph”, la prima lettera dell’alfabeto ebraico e fenicio, si indica la cardinalità di insiemi infiniti.

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Aleph, da Wikipedia

Aleph con pedice  zero indica la cardinalità dei numeri naturali (propria degli insiemi detti “numerabili” come vedremo fra poco), aleph con pedice 1 la cardinalità dei numeri reali. Che significa? Esempi di insiemi infiniti sono i numeri. Tutti, davvero tutti i numeri. Prima i numeri naturali: 0, 1, 2, 3… e così via, fino a infinito. Poi gli interi, cioè i numeri naturali con segno: oltre a 0, 1, 2, 3…, anche -1, -2, -3, …  e così via fino a meno infinito. I numeri interi sono infiniti, come i numeri naturali, ma ce ne sono… di più. I numeri razionali, ottenuti come frazioni di numeri interi, sono di più.

Fra un numero e l’altro, per quanto incredibilmente possano essere vicini, si può trovare ancora una frazione che stia fra i due numeri. E poi ancora un’altra frazione, e un’altra ancora. I numeri razionali sono “densi”. Cantor ha però dimostrato che, pur essendo densi, i numeri razionali sono numerabili: si può ancora creare una corrispondenza biunivoca fra di essi e i numeri naturali (il numero delle pecore, per intenderci). E’ possibile costruire uno schema che metta in relazione le frazioni con i numeri naturali, trovando il “precedente” e il “successore” di un numero dato (vedi il capitolo 3 del libro “Il labirinto del continuo” di Giorgio Chinnici).

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E’ tuttavia con i numeri reali che inizia la catastrofe: non sono numerabili, sono continui. 

Non ci si può addormentare contando i numeri reali. Non si possono contare. Non si possono ottenere come nessuna frazione, non ci sono coppie di numeri il cui rapporto dia un numero reale. Non c’è separazione fra l’uno e l’altro, fra un numero e l’altro. I numeri reali sono ancora più “vicini” di tutti gli altri: anche se considera una minuscola separazione, una distanza infinitesima, si potrà comunque trovare un numero. Si parla dunque di “potenza del continuo”.

E sembra che, dal discreto al continuo, non ci siano soluzioni di continuità. E’ come passare da un libro come lo conosciamo, con pagine chiaramente separate, a un libro con infinite pagine fra l’una e l’altra. Un “libro di sabbia”, dal titolo di un romanzo di Borges.

Può uno strano libro rimandare al concetto di infinito?Screen Shot 2019-08-28 at 17.18.52

“Con la mano sinistra sopra il frontespizio, cercai la prima pagina con il pollice quasi incollato all’indice. Tutto fu inutile: tra il frontespizio e la mano s’interponevano sempre nuovi fogli. Era come se sorgessero dal libro”. Il “regressum ad infinitum” è citato dal matematico Claudio Cirini, professore di Analisi Matematica al Politecnico di Milano, nel suo originale testo “Da Pitagora a Borges: discussioni in rete sull’infinito”, dove, in una chat immaginaria, sul tema dell’infinito si confrontano scienziati e artisti d’ogni tempo.

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Borges si è sempre interessato al rapporto fra noi e l’infinito, ha sempre avuto interesse a mettere in relazione quello che possiamo misurare con quello che non possiamo, il reale con l’irreale. “La Biblioteca perdurerà: illuminata, solitaria, infinita, perfettamente immobile, armata di volumi preziosi, inutile, incorruttibile, segreta. Aggiungo: infinita”. L’immagine della biblioteca è emblematica. Un luogo con molti libri (definiti) ma che è una finestra verso l’infinito. Borges spesso usa diversi simboli che richiamano l’infinito.

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La continuità ritorna per i numeri complessi, ma questo è un altro post.

Per altri dettagli sulla cardinalità non rimandiamo all’Infinito di Leopardi ma all’Infinito di Zichichi, e ad una discussione chiara ma precisa della cardinalità degli insiemi finiti e infiniti a opera dell’ingegnere, fisico e divulgatore Giorgio Chinnici (già citato).

“L’Aleph” non è soltanto il titolo di un paragrafo di un testo di matematica. E’ anche il  titolo di un vertiginoso racconto borgesiano, dove il ricordo ancora fresco di una persona scomparsa si fonde al cambiamento indifferente e inesorabile del mondo circostante. Il racconto poi si sofferma su un punto, anzi, in un punto di una stanza, un punto da cui sembra di vedere tutto l’esistente, tutti i pensieri e tutte le prospettive, un punto detto “Aleph”.

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Il protagonista del racconto è lo stesso Borges. Dopo la morte dell’amata, Beatriz Viterbo, va a casa sua e trova suo cugino: Carlos Argentino Daneri. Si tratta di un mediocre poeta con un ego enorme e col desiderio di “mettere in versi tutta la rotondità del pianeta”. Un giorno comunica a Borges che la sua casa sarà abbattuta per fare spazio a una pasticceria. Si dispera, perché sa che perderà tutto e soprattutto perderà l’Aleph, un punto nascosto in cantina dove si trovano “tutti i luoghi della terra, visti da tutti gli angoli”. A Borges rimane assai antipatico anche perché crede sia pazzo. Lo scrittore un giorno decide di andare comunque a trovarlo e segue tutte le istruzioni per vedere l’Aleph: sdraiarsi sulle mattonelle e fissare “lo sguardo sul diciannovesimo gradino della scala”. Daneri lascia solo Borges a vedere l’Aleph ed accade il miracolo: Borges vede effettivamente l’Aleph, ossia tutti i punti del mondo, (in) un attimo in cui tutti i punti dello spazio e tutti gli attimi del tempo si rendono visibili

Fatto miracoloso e paradossale che pone delle domande importanti: può un uomo vedere la totalità dell’universo, e può uno scrittore dirla a parole? Matematicamente, pensiamo a cosa potrebbe essere questo Aleph del racconto.

Viene in mente il concetto di punto di accumulazione. Un punto che contiene gli “intorni” di tutti gli altri punti, come una casa il cui giardino contiene i giardini dei vicini.

Viene in mente anche il colimite in teoria delle categorie: un oggetto misterioso verso cui convergono tutte le frecce che partono da altri oggetti, e dato un altro oggetto, le combinazioni delle rispettive frecce possono esprimersi in modo unico in termini di quella freccia “terminale” che conduce al colimite. Viceversa, un punto da cui partono tutte le frecce, l’origine di tutto, l’elemento duale del colimite, è il limite. 

Ci chiediamo se l’Aleph sia un punto di arrivo o un punto di partenza. E se fosse solo un effetto “ottico”?

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Rappresentazione di una lente gravitazionale. Da Wikipedia

Pensiamo alla lente gravitazionale. Quando osserviamo le stelle e i pianeti, e sembra di vedere “più proiezioni” dello stesso oggetto, si è in presenza di una “lente gravitazionale”: un oggetto particolarmente massivo che agisce proprio come una lente ottica, deviando la traiettoria della luce attraverso lo spazio-tempo, e creando più proiezioni di una stessa immagine. Che l’Aleph del racconto borghesiano sia una sorta di punto dal quale si osservano tante proiezioni…?  

La prospettiva cosmologica è utilizzata da William G. Bloch, professore di matematica in Massachusetts, nel libro “The Unimaginable Mathematics of Borges’ Library of Babel”.

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Un punto con una visuale privilegiata che ci permette di vedere molto di più di quello che normalmente agli uomini è dato di vedere? E questo punto esiste davvero, è un qualcosa di materiale, oppure è un punto dentro di noi? Si tratta di temi sui quali il racconto ci invita a riflettere ed a dare le nostre risposte.

In “La Biblioteca di Babele”, la biblioteca diventa metafora dell’Universo, con una geometria inconsueta: “the Library is a sphere whose exact center is any hexagon and whose circumference is unattainable”. 

La biblioteca presenta strutture esagonali, percorsi che portano ai punti di partenza, inversioni, cambi di orientazione, cammini che possono essere investigati attraverso grafi  e geometrie non euclidee. Nella sua analisi, Bloch parte dalla geometria del toro e della bottiglia di Klein in più dimensioni per tentare di visualizzarne l’idea (qui un video sulla costruzione della bottiglia di Klein). Il toro si può vedere come una versione modificata attraverso un taglio, un cambio di direzione, un’intersezione e un reincollamento delle superfici al bordo, un po’ come un anello di carta, tagliato, girato a un’estremità e reincollato dà vita ad una rappresentazione del nastro di Möbius. Con un “toro di tori”, che Bloch chiama 3-torus, un anello fatto di tori, ogni punto è un centro e “il centro di ogni 3-toro è dovunque e in nessun posto” (pag. 84 di “The Unimaginable Mathematics”). La forma del 3-toro è periodica, con strutture che si ripetono, e il riferimento alla periodicità è presente nel testo borghesiano a proposito della “Biblioteca”. Bloch fa riferimento anche all’ipersfera, concetto utilizzato anche per spiegare alcuni punti del Paradiso dantesco. Anche lo scrittore (e dottore in logica matematica)  Guillermo Martínez fa riferimento all’ipersfera, la borghesiana “sfera con centro ovunque e circonferenza in nessun posto” a proposito della stanza dell’Aleph, in “Borges e la Matematica”,download le cui idee sono presentate in inglese qui. Dal libro infinito del “Libro di sabbia” all’insieme infinito di libri nella biblioteca, all’infinita ricorrenza di una mappa all’interno di una mappa raccontata da Odifreddi, i temi matematici, dall’analisi alla logica, dall’aritmetica alla geometria, emergono prepotentemente fra le pagine borghesiane.

Il tema del labirinto, nel corso del XX secolo, è stato assai frequentato anche da altri artisti. Si va dalle opere di Pollock che possono essere considerate tali a “Quer pasticciaccio brutto de Via Merulana” di Carlo Emilio Gadda che pure può essere visto come un labirinto: un omicidio seguito da indagini che non portano a niente, rappresentazione simbolica della vita come labirinto.

Nel racconto borgesiano “La casa di Asterione”,  il protagonista Asterione il Minotauro è un personaggio che vive solo in una casa dalla struttura intricata. Egli vive nel suo labirinto lamentandosi della sua solitudine e sperando che prima o poi qualcuno venga a salvarlo. Solo alla fine del racconto scopriamo la vera identità del protagonista.

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Una rappresentazione greca del Minotauro. Foto da Wikipedia

In questa rielaborazione del mito classico, infatti, il ruolo del Minotauro è capovolto rispetto alla versione originale. Nel mito classico è un mostro orribile e violento che si nutre soltanto di carne umana; nel racconto borgesiano il Minotauro vive invece solitario, aggirandosi nel labirinto-prigione, condannato alla solitudine dalla sua diversità: nessuna creatura lo accetta né lui dimostra un vero interesse verso gli esseri umani.

In un altro racconto, “I due re ed i due labirinti”, troviamo un altro labirinto terribile: il deserto. Un altro invito di Borges a leggere il labirinto come luogo senza una direzione. Nel deserto, tutte le direzioni sono possibili: un numero infinito di percorsi,  con la

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Immagine del deserto. Foto da Wikipedia

potenza del continuo! Dunque Borges ci presenta varie tipologie di labirinto, alcune delle quali trascendono l’immagine consolidata che abbiamo in mente. Ci dice anche che bene o male tutti ci troviamo (talvolta) in un labirinto. Sta a noi capire in che rapporto stiamo con una struttura del genere, se la subiamo o ci muoviamo al suo interno.

Ma andiamoci piano. Anzi pianissimo. Anzi, lentissimamente. Come la tartaruga, che non fu superata, secondo Zenone, dal piè veloce Achille. Sarà stato vero? Nel racconto “Metempsicosi della tartaruga” (da Altre Inquisizioni) Borges affronta il paradosso di Achille e della tartaruga dal punto di vista delle serie.

Immaginiamo un numero iniziale, seguito da una successione di numeri, uno dopo l’altro, che si sommano. Una somma di  N numeri, o una somma di infiniti numeri. Anche la somma farà infinito? Dipende dai numeri in questione. Le distanze che separano Achille dalla tartaruga continuano a sommarsi e Achille non raggiunge la tartaruga. Ma in realtà le distanze sono sempre più piccole e quella particolare serie raccontata da Borges non tende a infinito ma “converge”. Ed ecco che formule e definizioni matematiche fanno capolino in un libro di racconti.

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Fine della storia? No, forse è solo l’inizio. E’ stato scritto molto su Borges e la matematicanonché su Borges e la meccanica quantisticaManca qualcosa? In Fisica, si credeva che si fosse già scoperto tutto già un secolo dopo la morte di Newton; mancava soltanto un piccolissimo dettaglio, una piccola spiegazione dell’effetto di corpo nero, da cui prese il via la ‘catastrofe’ della meccanica quantistica. Forse rileggendo bene alcuni racconti, si può trovare un enigma non risolto, una porticina aperta verso un altro mondo?

 

 

Nota esplicativa sugli autori. Maria è un fisico dello staff di “Math is in the Air”. Federico è un compositore e musicologo, studioso di Borges. L’intersezione non vuota delle loro aree di ricerca ha prodotto questo post di mezz’estate — anzi, di fine estate. 

 

 

 

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