Questo articolo è tratto dalla n. 39 della rivista Query su cui “Math is in the Air” cura la rubrica “Numeri Razionali”
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Figura 1: schema interno dell’arma di rappresaglia Fieseler Fi 103 meglio nota come V1.

Nella seconda guerra mondale l’uso dell’aviazione assunse un ruolo sempre più decisivo.

È noto che, conquistata la Francia, Hitler ed i suoi generali iniziarono quella che è comunemente indicata con il termine “battaglia d’Inghilterra”. L’obiettivo era conquistare il predominio dei cieli e predisporre la successiva invasione terrestre dell’Inghilterra.

In quel caso l’aviazione inglese, anche grazie all’utilizzo del radar e di una rete di avvistamenti, riuscì a resistere all’offensiva tedesca via cielo.

Anche se, secondo alcune ricostruzioni storiche, la Luftwaffe non fu esente da errori derivanti da errate scelte strategiche, l’eroica resistenza della Royal Air Force meritò ampiamente il tributo che Winston Churchill le attribuì con la sua famosa frase: «Never was so much owned by so many to so few» (in italiano: “ mai così tanti dovettero così tanto a così pochi”).

Tra le scelte strategiche effettuate dai Nazisti, vi fu quella dei bombardamenti sui civili, veri e propri atti terroristici con l’obiettivo di generare il panico nella popolazione.

Parte integrante di questa strategia fu, nell’ultimo periodo bellico, l’utilizzo delle nuove armi denominate V1 e V2. Le prime erano a tutti gli effetti aerei-bomba senza pilota, le seconde dei veri primi missili.

L’uso bellico delle V1 iniziò il 13 giugno 1944, con un bombardamento di Londra da basi sulla costa della Manica. Complessivamente, entro la fine della guerra, furono prodotte circa 30.000 V1. Dopo un primo periodo di smarrimento, gli inglesi riuscirono a organizzarsi e ad abbattere fino al 70 per cento delle V1 prima del loro impatto.

L’Inghilterra fu raggiunta da circa 10.000 V1. In particolare Londra venne colpita 2.419 volte, con l’uccisione di 6.184 persone e il ferimento di ulteriori 17.980. (cfr.[1]).

La V2, invece, era un missile monostadio a propellenti liquidi, alto 14m e di massa 12t, con carico utile di quasi una tonnellata di alto esplosivo. La costruzione iniziò nel 1943 ed entro la fine della guerra ne furono costruiti 5.789 esemplari; l’uso bellico iniziò l’8 settembre 1944, con un bombardamento su Londra. Complessivamente, 1.115 missili giunsero nella zona di Londra e 1.675 su obiettivi continentali.

Sulla base dei punti di impatto delle bombe, tra la popolazione londinese si diffuse la convinzione che alcune zone della città fossero prese di mira più di altre, generando ulteriore panico.

Ovviamente non era nota la precisione con cui i tedeschi erano in grado di colpire i loro obiettivi e quindi non era a priori noto se nella scelta dei luoghi di impatto si nascondesse una strategia. In particolare si diffuse l’idea che fossero le zone più povere della capitale inglese ad essere colpite.

Nella figura seguente sono indicati i punti di impatto delle V1 nel centro di Londra.

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Figura 2: Mappa dei punti di impatto delle bombe V1 nel centro di Londra, tratta da [2].

Effettivamente uno sguardo superficiale alla mappa sembrerebbe mostrare la presenza di zone più colpite di altre (per esempio la zona in basso a destra della mappa).

Una successiva e più accurata analisi (che venne effettuata negli anni ’70 da ricercatori nel campo della statistica) ha mostrato, invece, che i luoghi di caduta delle bombe erano compatibili con l’ipotesi statistica che fossero casuali[2].

Questo esempio, importante dal punto di vista storico, è tra quelli che vengono presentati in alcuni studi condotti per dimostrare che chiunque (compreso chi ha un grado di istruzione elevato) ha difficoltà nel ragionamento quantitativo quando deve gestire molti dati.

È ovviamente interessante domandarsi come mai sorgano queste difficoltà.

In un noto articolo del 1974, gli psicologi Amos Tversky e Daniel Kahneman[3] pubblicarono alcuni esperimenti che avevano come obiettivo quello di studiare questo fenomeno. Essi mostrarono che spesso gli individui operano delle scelte violando i principi della razionalità.

Questi studiosi, a partire dalle loro ricerche, svilupparono una teoria delle decisioni che descrive come le persone si comportano quando devono prendere una decisione in condizioni di rischio nelle quali è possibile stimare la probabilità associata ai possibili eventi che potrebbero accadere.

Questa teoria, nota come Teoria del Prospetto, si pone per certi aspetti in alternativa alla teoria “classica” dell’utilità attesa di John von Neumann e Oskar Morgenstern, che aveva il fine di stabilire le condizioni entro cui una decisione può essere definita razionale.

Per i loro studi Tversky e Kahneman idearono alcuni quesiti da porre ai soggetti partecipanti, chiedendo loro di elaborare una decisione.

Uno dei più celebri era formulato in questo modo:

«Linda ha 31 anni, è single, intraprendente e molto intelligente. Si è laureata in Filosofia. Da studentessa era molto interessata alle questioni relative alla discriminazione e alla giustizia sociale, ed ha anche partecipato a una manifestazione contro il nucleare.»

Dopo aver letto la breve descrizione della biografia di Linda, ai partecipanti veniva richiesto di valutare una serie di opzioni circa le possibili occupazioni attuali di Linda, disponendole in un ordine di probabilità che andasse dalla maggiormente probabile alla meno probabile.

La lista delle alternative includeva:

  • (A) Linda è una cassiera di banca
  • (B) Linda è una cassiera di banca ed è attiva nel movimento femminista

Circa l’85% degli studenti universitari a cui era stato sottoposto il test, indicarono l’opzione B come quella che ritenevano più probabile, incorrendo così nella cosiddetta fallacia della congiunzione.

È noto, infatti, che la probabilità di un evento congiunto (in questo caso l’opzione B comprende anche l’opzione A) è sempre minore della probabilità dei singoli eventi.

Questo, in linguaggio matematico, si esprime scrivendo:

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e

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Tversky e Kahneman hanno, inoltre, mostrato con altri esperimenti che gli individui sono avversi al rischio (tesi sostenuta anche dagli economisti neoclassici), ma che possono diventare propensi a correre un rischio quando si tratta di scegliere fra alternative classificate come perdite.

Proviamo a spiegarlo con un esempio simile a quello utilizzato dagli studiosi nei loro studi.

Supponete di dover scegliere tra un investimento A che fornisce un profitto certo di 24.000€ e un investimento B che ha il 25% di probabilità di darvi un guadagno di 100.000€ e il 75% di probabilità di non farvi guadagnare nulla. Quale opzione scegliereste?

Se avete scelto l’opzione A, avete risposto come la maggioranza delle persone a cui è stato sottoposto tale quesito. Questo comportamento di risposta conferma quanto sostenuto anche dagli economisti neoclassici, ovvero che la maggior parte delle persone è avversa al rischio. Dal punto di vista statistico, infatti, l’opzione B fornisce un guadagno atteso più alto, pari a 25.000€. In altre parole, gli individui rischiano soltanto se si aspettano un guadagno molto più alto delle alternative meno rischiose (o addirittura certe). Tversky e Kahneman però scoprirono anche altro; proviamo a spiegarlo con un esempio.

Immaginate di avere ora davanti un altro problema: dovete scegliere fra una opzione di perdita certa di 75.000€ (che indicheremo come opzione C) e una opzione D che ha il 75% di probabilità di farvi perdere 100.000€ e il 25% di probabilità di non farvi perdere nulla.

In questo caso, quale delle opzioni scegliete? I risultati degli esperimenti mostrano che la maggioranza degli intervistati opta per l’opzione D, nonostante che la perdita attesa sia per entrambe le opzioni pari a 75.0000€.

Il valore della Teoria del Prospetto è proprio quello di riuscire a spiegare alcune evidenze sperimentali come quelle appena introdotte, che non vengono spiegate dalla teoria classica.

Per esempio, offre una spiegazione del motivo per cui le persone tendono a continuare a giocare d’azzardo quando sono in perdita. Se il giocatore ha come riferimento la cifra con la quale ha iniziato il gioco, una volta iniziato a perdere si troverà di fronte alla scelta tra smettere, il che renderebbe definitiva la perdita, oppure continuare a giocare, sperando di ridurre o addirittura azzerare tale perdita. Il ragionamento, tipico dei giocatori ma non razionale, porta a preferire il rischio di perdere ben più di quanto non si farebbe se si fosse scelto di smettere di giocare.

Più recentemente, Thomas L. Griffiths ha analizzato il ragionamento delle persone utilizzando il framework concettuale della statistica Bayesiana[4].

Ricordiamo che a fondamento dell’approccio Bayesiano vi è, semplificando, l’idea di imparare dall’esperienza aggiornando la propria conoscenza. Questo framework concettuale si fonda sul noto teorema di Bayes che è descritto dalla seguente relazione:

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essendo h una particolare ipotesi e p(h) la probabilità a priori che una persona attribuisce a quel fenomeno, H l’insieme delle possibili ipotesi e p(d|h), detta likelihood o verosimiglianza, la probabilità che si verifichi d assumendo che h si sia verificato.

Tra gli esperimenti proposti da Griffiths, uno considera anche lo scenario relativo al bombardamento di Londra di cui abbiamo parlato all’inizio dell’articolo. Ai soggetti dell’esperimento venivano mostrate delle mappe simulate dei bombardamenti di Londra e veniva chiesto loro di indicare se ritenevano che la disposizione dei punti nella mappa fosse compatibile o meno con alcune ipotesi. La ricerca prevedeva inoltre di dover rispondere ad alcune domande relative alle attese di vita di una persona stimate a partire dalla sua età, o sulla possibilità di prevedere o meno il successo di un film al botteghino in base al budget usato per produrlo.

Griffiths ha evidenziato che il ragionamento usato dalle persone per prendere una decisone richiama fortemente quello bayesiano e ha mostrato che scelte sbagliate derivavano da errate stime di quello che viene indicato come “odds ratio” o rapporto di probabilità. Nel caso semplificato in cui si indichi con h1 l’ipotesi che un certo evento si verifichi e con h0 l’ipotesi che non si verifichi, si definisce “odds ratio” come:

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Il parallelismo evidenziato da Griffiths tra approccio bayesiano e ragionamento umano che impara dell’esperienza è certamente affascinante.

Complessivamente, quel che emerge dalle ricerche che abbiamo qui considerato è che spesso le persone sono capaci di sbagliare problemi molto semplici (come quello di Linda), ma sanno affrontare in mondo corretto problemi molto più complessi; e quando sbagliano lo fanno per una errata stima del rapporto di probabilità.

Ancora una volta, la matematica si dimostra quindi centrale per prendere delle decisioni corrette.

Note

1) Voce ‘V1’, ‘V2’, ‘V3’ dell’Enciclopedia Treccani online https://bit.ly/2o7dpMs .

2) Gilovich, T. (1991) How We Know What Isn’t So: the Fallibility of Human Reason in Everyday Life. New York: Free Press.

3) Tversky, A. and Kahneman, D. (1974) “Judgment under uncertainty: heuristics and biases”. Science, 185, 1124–1131.

4) Griffiths, T. L. (2006), “Statistics and the Bayesian mind”. Significance, 3: 130-133.

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