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Riceviamo e molto volentieri pubblichiamo questo contributo di Antonio Veredice,  insegnante di matematica e fisica presso il Liceo Scientifico Peano di Monterotondo, laureato in matematica all’università “La Sapienza”, attualmente sta svolgendo un dottorato di ricerca sulla storia e la didattica della Logica 


 

Questa storia inizia con una persona, un precursore, un uomo che, come avrebbe detto Frank Zappa, era “ahead of its time”. Quest’uomo si pone una domanda, o meglio, la fa porre ai personaggi di un suo dialogo, e la domanda è:

I numeri “quadrati” (1,4,9,16…) sono tanti quanti i numeri naturali (1, 2, 3, 4…) o sono di meno?

Secondo me è una bella domanda matematica perché la potete porre a chiunque, ad un parente, a vostro figlio,  ad un vostro studente! E ognuno può esprimere il suo punto di vista, se ne può discutere…non capita sempre con la matematica, spesso tale disciplina viene considerata un insieme di conoscenze certe, trasmesse dogmaticamente, dove non c’è spazio per il “punto di vista”, fa parte del linguaggio comune l’espressione “la matematica non è un’opinione!” E invece sono proprio opinioni diverse e diverse prospettive quelle che offrono i protagonisti del dialogo a cui accennavo (per inciso si tratta dei “Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze” e il precursore, cioè l’autore, è Galilei che li ha scritti nel 1638):

Salviati: … onde se io dirò, i numeri tutti, comprendendo i quadrati e i non quadrati, essere piú che i quadrati soli, dirò proposizione verissima: non è cosí?

Simplicio: Non si può dir altrimenti.

Salviati: Interrogando io di poi, quanti siano i numeri quadrati, si può con verità rispondere, loro esser tanti quante sono le proprie radici, avvenga che ogni quadrato ha la sua radice, ogni radice il suo quadrato, né quadrato alcuno ha più di d’una sola radice, né radice alcuna piú d’un quadrato solo.

Simplicio: Cosí sta!

Salviati:  Ma se io domanderò, quante siano le radici, non si può negare che elle non siano tante quante tutti i numeri, poiché non vi è numero alcuno che non sia radice di qualche quadrato; e stante questo, converrà dire che i numeri quadrati siano tanti quanti tutti i numeri, perché tanti sono quante le loro radici, e radici sono tutti i numeri; e pur da principio dicemmo, tutti i numeri esser più che i propri quadrati, essendo la maggior parte non quadrati.

Lucio Lombardo Radice riassume il senso di questo frammento nei seguenti termini:

  • Primo. I quadrati sono solo una parte dei numeri.
  • Secondo. È però possibile stabilire una corrispondenza biunivoca tra l’insieme $$ \mathbb{N}$$  dei numeri e quello dei quadrati naturali, cioè una corrispondenza nella quale a ogni numero corrisponde un solo quadrato, e viceversa ogni quadrato è il corrispondente di un solo numero: i quadrati, parte dei numeri, sono “tanti quanti” tutti i numeri! (L. L. Radice “L’infinito” Editori riuniti 1981)

Possiamo visualizzare la corrispondenza fra numeri e quadrati con una figura:

paradosso_galilei

questa conclusione appare paradossale a Galilei perché in contraddizione con il principio aristotelico secondo cui “il tutto è maggiore della parte”, infatti Galilei conclude che si tratta di

“difficoltà che derivano dal discorrer che noi facciamo col nostro intelletto finito intorno a gl’infiniti, dandogli quelli attributi che noi diamo alle cose finite e terminate; il che penso che sia inconveniente, perché stimo che questi attributi di maggioranza, minorità ed egualità non convenghino agl’infiniti”.

Da Galilei ne è passata di “acqua sotto i ponti” e matematici come Bernhard Bolzano, Georg Cantor, Richard Dedekind fra Ottocento e Novecento hanno approfondito e in qualche modo chiarito alcuni aspetti paradossali legati alla trattazione di insiemi infiniti.

In particolare è stato accettato che, nel caso di un insieme infinito, può accadere che l’intero insieme e una sua parte, certamente non identici, possano essere messi in corrispondenza biunivoca ovvero abbiano la stessa cardinalità. Ciò è contario alla nostra intuizione perchè, come ci aveva avvertiti Galilei, noi siamo abituati a ragionare su insiemi finiti e, per gli insiemi finiti, vale effettivamente il principio secondo cui una parte di un insieme ha “meno elementi dell’insieme stesso”.

La cardinalità di un insieme A, indicata con il simbolo |A|, è uno dei concetti basilari della teoria degli insiemi di Cantor ed è, per gli insiemi finiti, il numero di elementi dell’insieme, esempio: se $$A=\{a, b, c\}$$  allora $$|A|=3$$. Come estendere tale concetto agli insiemi infiniti? Per capirlo usiamo la seguente metafora suggerita da Aigner e Ziegler nel libro “proofs from the book”: se un certo numero di persone deve prendere posto in bus, come facciamo a capire se le persone sono tante quante i posti disponibili? Semplice, le facciamo entrare nel bus, se ogni persona trova posto e nessun posto rimane vuoto allora possiamo concludere che i due insiemi (l’insieme delle persone e l’insieme dei posti a sedere) hanno la stessa cardinalità anche se non li abbiamo contati esplicita- mente perché abbiamo stabilito una corrispondenza biunivoca, questa idea si può estendere anche agli insiemi infiniti affermando che due insiemi A e B hanno la stessa cardinalità (|A| = |B|) se è possibile stabilire tra di essi una corrispondenza biunivoca.

Il fatto che un insieme possa avere la stessa cardinalità di un suo sottoinsieme proprio (ovvero non coincidente con l’insieme stesso) è una caratteristica degli insiemi infiniti; Richard Dedekind parte proprio da questa peculiarità, nella sua opera del 1888 “Was sind und was sollen die zahlen” (tradotto in Italiano da Oscar Zariski con il titolo “Essenza e significato dei numeri”), per definire un insieme infinito:

DEFINIZIONE Un sistema S si dice infinito, se è equipotente a una sua parte propria; nel caso opposto si chiama finito
(R. Dedekind “Was sind und was sollen die zahlen” 1888)

dove equipotente significa che può essere messo in corrispondenza biunivoca e parte propria vuol dire sottoinsieme. È evidente il cambio di prospettiva: si parte da una proprietà che hanno gli insiemi infiniti e non quelli finiti. Ad esempio un segmento ha tanti punti quanti una semiretta, cioè può essere messo in corrispondenza biunivoca con essa, come si può evincere dalla figura seguente:

segmento_semiretta

in cui ogni punto del segmento (tranne il punto E) viene “proiettato” su un punto della semiretta e quindi corrisponde a un punto della semiretta e viceversa.

Come disse George Cantor, comunicando una scoperta simile a Dedekind, “Lo vedo, ma non lo credo!”, sembra impossibile che i punti di un segmento siano “tanti quanti” quelli di una semiretta.

Eppure, dopo i primi tentennamenti, i matematici sembrano aver acquisito una tale dimestichezza con le questioni riguardanti l’infinito che David Hilbert, nel 1920, inventa una specie di favola a tal proposito, la famosa storia dell’Albergo di Hilbert.

Si tratta di un albergo con un numero infinito di stanze, tutte occupate da clienti, un giorno arriva una persona e chiede ospitalità. Se si trattasse di un albergo normale il proprietario sarebbe costretto a mandare via il nuovo venuto, ma è l’albergo di Hilbert ed ha un numero infinito di stanze quindi se ne può liberare una senza problemi, basta dire al cliente della stanza numero uno di spostarsi nella stanza numero 2, al cliente della stanza numero 2 di spostarsi nella stanza numero 3 e, in generale, al cliente della stanza numero n di spostarsi nella stanza numero n + 1 in questo modo la stanza numero 1 rimarrà libera e tutti i clienti avranno una propria stanza.

E se arrivassero infiniti nuovi clienti?

hilbert_hotel

 

Anche in questo caso il proprietario ha la soluzione: dice al cliente della stanza numero 1 di spostarsi nella stanza numero 2, al cliente della stanza numero 2 di spostarsi nella camera numero 4 al cliente della stanza numero 3 di spostarsi nella stanza numero 6, al cliente della stanza numero 4 di spostarsi nella stanza numero 8 e, in generale, al cliente della stanza numero n di spostarsi nella stanza numero $$2n$$, in questo modo tutte le stanze di numero pari saranno occupate dai vecchi clienti, ma le stanze di numero dispari rimarranno vuote! Pronte per essere occupate dagli infiniti nuovi clienti.

Attenzione però a non considerare l’infinito come un “grande contenitore” in cui tutto si confonde (la famosa “notte in cui tutte le vacche sono nere” di hegeliana memoria): gli infiniti clienti dell’albergo, i numeri pari, i quadrati, i numeri naturali, i punti della semiretta e quelli del segmento, sono tutti infiniti e quindi hanno tutti lo stesso numero di elementi?…in effetti….non è così!

Esistono infiniti “più infiniti degli altri” ad esempio l’insieme dei numeri reali, anche solo quelli compresi tra 0 e 1 (ovvero tutti i punti di un segmento di retta), ha una cardinalità maggiore dell’insieme dei numeri naturali e quindi, in un certo senso, ha più elementi. Sono entrambi infiniti ma di una infinità diversa, infatti si dice che i numeri reali hanno la cardinalità del continuo mentre i numeri naturali hanno la cardinalità del numerabile e tra di essi non è possibile stabilire una corrispondenza biunivoca come dimostrò Cantor con il suo “procedimento diagonale”.

Il procedimento diagonale di Cantor è una dimostrazione “per assurdo” così articolata: consideriamo i numeri reali compresi tra 0 e 1 (0 escluso e 1 compreso) e supponiamo che siano “tanti quanti” i numeri naturali cioè che esista una corrispondenza biunivoca tra di essi. Ciò significa che ad ogni numero naturale corrisponde un numero reale tra 0 e 1 e viceversa, quindi possiamo elencare i numeri reali tra 0 e 1 nel seguente modo: $$a_1, a_2, a_3, …., a_n, …$$ uno per ogni numero naturale.

Pensiamo ora che ognuno dei numeri $$a_1, a_2, a_3, …., a_n, …$$, essendo un numero reale tra 0 e 1, può essere scritto, in un modo unico, come uno zero seguito da infinite cifre decimali  (ammettiamo che, tra queste infinite cifre, quelle nulle debbano essere in numero finito, ciò serve ad evitare che ci siano due scritture per lo stesso numero ad esempio un numero come 0, 43 deve essere riscritto come 0,42999999…. e anche 1 sarà riscritto come 0,99999… ). In questo modo ogni numero può essere scritto come nella seguente tabella:

Schermata 2020-01-31 alle 00.11.41

dove le lettere con il doppio indice $$a_{11}, a_{12}, a_{23}….$$ rappresentano le cifre decimali di ciascun numero. Ora arriviamo al nodo centrale della dimostrazione: consideriamo le cifre della diagonale (quelle che ho indicato in neretto $$a_{11}, a_{22}, a_{33}….$$) e “costruiamo” un numero del tipo:

$$b = 0, b_1b_2b_3…$$

dove le cifre $$b_1b_2b_3$$… sono scelte in modo da essere diverse dalle corrispondenti cifre sulla diagonale ($$b_1\neq a_{11}, b_2\neq a_{22}, b_3\neq a_{33}, ….$$ sempre con il vincolo che non ci siano infinite cifre uguali a zero);  il numero $$b$$ è un numero reale compreso tra 0 e 1 ma non compare nella tabella precedente!

Pertanto i numeri reali tra 0 e 1 sono “di più” dei numeri naturali.

Bene, riprendiamoci dalle normali perplessità suscitate dal procedimento diagonale e ricapitoliamo: tra gli insiemi infiniti ci sono insiemi con diverse cardinalità, come fare per orientarsi in questo mare di infiniti?

Se siamo in grado di stabilire una corrispondenza biunivoca (come negli esempi già visti: numeri naturali e quadrati oppure segmento e semiretta) il gioco è fatto (i numeri quadrati hanno la stessa cardinalità dei numeri naturali cioè sono due insiemi numerabili mentre il segmento ha la stessa cardinalità della semiretta, sono due insiemi continui). Ma se non riusciamo a trovare una corrispondenza biunivoca come quelle viste? Il Teorema di Cantor Bernstein ci dà una risposta affermando che, dati due insiemi A e B, se riusciamo a stabilire una corrispondenza biunivoca tra A e un sottoinsieme di B e se riusciamo anche a fare il viceversa (cioè una corrispondenza biunivoca tra B e un sottoinsieme di A) allora A e B hanno la stessa cardinalità (cioè si può stabilire una corrispondenza biunivoca tra A e B). In effetti ad una prima lettura il risultato può apparire scontato, soprattutto se lo si reinterpreta in termini di cardinalità:

TEOREMA (Cantor-Bernstein 1898) Se |A| ≤ |B| e |B| ≤ |A| allora |A| = |B|

verrebbe da chiedersi: “c’era proprio bisogno di farci un teorema?”, se sappiamo che un numero a è minore o uguale di un numero b e, allo stesso tempo, sappiamo che b è minore o uguale di a, allora per forza deve essere a = b. Come  al solito il problema è che c’è di mezzo l’infinito e quindi |A| potrebbe essere la cardinalità di un insieme infinito e quando scriviamo |A| ≤ |B| intendiamo dire che l’insieme A può essere messo in corrispondenza biunivoca con un sottoinsieme di B, viceversa |B| ≤ |A| significa che l’insieme B può essere messo in corrispondenza biunivoca con un sottoinsieme di A. Basta tutto ciò ad affermare che A è in corrispondenza biunivoca con B? Il buon senso direbbe di si ma…come dimostrarlo?

Vediamo un esempio. Consideriamo l’intervallo A = (−1,1) cioè l’insieme dei numeri reali compresi tra −1 e 1 esclusi gli estremi (cioè esclusi −1 e 1) e l’intervallo B = [−1,1] cioè l’insieme dei numeri reali compresi tra −1 e 1 inclusi gli estremi questa volta (cioè inclusi −1 e 1). È abbastanza evidente che |A| ≤ |B| cioè esiste una corrispondenza biunivoca tra A e un sottoinsieme di B, ovvero A stesso.

Un pò più complicato è trovare una corrispondenza biunivoca tra B e un sottoinsieme di A, per esempio possiamo creare una corrispondenza tra B = [−1, 1] e l’intervallo [−1/2 , 1/2] che è un sottoinsieme di A facendo corrispondere ad ogni elemento di B, la sua metà e, viceversa, ad ogni elemento di [−1/2,1/2]  il suo doppio, come illustrato dalla figura seguente:

corrispondenza_1

Ora che abbiamo una corrispondenza biunivoca tra A e un sottoinsieme di B e tra B e un sottoinsieme di A, come trovare una corrispondenza biunivoca tra A e B? La dimostrazione del teorema di Cantor Bernstein si basa proprio sulla descrizione di tale corrispondenza.

Vediamo l’idea di questa dimostrazione utilizzando l’esempio precedente. Procediamo per passi:

    • partiamo dalla corrispondenza tra A = (−1, 1) e un sottoinsieme di B = [−1, 1], abbiamo detto che essa si ottiene facendo corrispondere ad ogni elemento di A l’elemento stesso, perché A è un sottoinsieme di B;
    • quella appena considerata non può essere una corrispondenza biunivoca tra A e B, infatti “rimangono fuori” i due elementi −1 e 1 che appartengono a B e non ad A;
    • a questo punto entra in gioco l’altra corrispondenza di cui avevamo parlato, quella tra B = [−1, 1] e l’intervallo [− 1/2 , 1/2] , infatti possiamo far corrispondere all’elemento 1 di B (che era rimasto “tagliato fuori”) l’elemento 1/2 di A;
    • attenzione! In questo modo l’elemento 1/2 di B non può essere associato ad 1/2 in A! Non c’è problema: lo assoceremo ad 1/4 in A;
    • e 1/4 in B? Corrisponderà ad 1/8 in A, e così via…come nell’albergo di Hilbert, grazie all’infinito.

La corrispondenza è illustrata nella figura seguente in cui le frecce orizzontali nere associano ad ogni elemento di A l’elemento corrispondente in B mentre le frecce oblique in rosso fanno entrare nella corrispondenza anche 1 in B che corrisponde a 1/2 in A da cui discende che 1/2 in B corrisponde a 1/4 in A etc..

Schermata 2020-05-08 alle 09.29.55

 

Questo tipo di ragionamento, adeguatamente generalizzato, porta alla dimostrazione del teorema di Cantor-Bernstein. 
Un’ultima considerazione, spesso nella matematica “più diffusa”, quella che 
si fa a scuola o nei corsi universitari non prettamente matematici, l’attenzione è posta più sull’enunciato di un teorema che sulla sua dimostrazione; penso al 
Teorema di Pitagora, alla somma degli angoli interni di un triangolo, ma anche al teorema di Weierstrass, al teorema di Torricelli Barrow o al teorema di Rouché Capelli che possono essere utilizzati ed apprezzati anche senza conoscerne 
la dimostrazione. Il Teorema di Cantor Bernstein appartiene invece a quei teoremi la cui importanza è strettamente legata alla propria dimostrazione, come ad esempio l’infinità dei numeri primi, la non numerabilità dei numeri reali, l’irrazionalità di $$\sqrt{2}$$; apprezzare questi risultati vuol dire, a mio avviso, avere un’idea, anche se vaga, di una loro dimostrazione

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