La teoria delle categorie è un ramo della matematica nato negli anni ’50 del secolo scorso per modellizzare altri rami della matematica con punti, frecce e diagrammi. Il pensiero categoriale si è poi rivelato utile anche in altre discipline; da qui le categorie applicate. Ne abbiamo parlato in un post dedicato.
Un testo di teoria delle categorie sembra “astratto”: ci si potrebbe chiedere perché mai vi siano tante frecce e punti. Eppure…
Alcuni concetti di teoria delle categorie si possono applicare alla musica e al confronto tra forme visive e musicali. Questo post fa parte del mio “poster virtuale” per la conferenza Applied Category Theory (ACT) 2020, organizzata dal MIT, che si svolgerà online nel luglio 2020.
Diversi studiosi, fra cui Jedrzejewski, Mazzola, Arias, Popoff, Clark, si sono dedicati all’applicazione della teoria delle categorie in musica.
Mi sono cimentata anch’io utilizzando alcuni concetti basilari e alcune semplici connessioni. Uso il linguaggio delle categorie per modellizzare strutture e trasformazioni musicali, ma anche per paragonarle a forme visive, forme della natura e processi di crescita e trasformazione. In questo breve testo citerò alcuni esempi di questo approccio.
Troppo ambizioso? Sorridiamoci su.
La Fig. 1 mostra due punti e una freccia tra di essi: si tratta di una rappresentazione grafica di un morfismo fra due oggetti di una categoria. Nell’ambito della musica, i due punti possono rappresentare due diversi valori di intensità, come un piano e un forte, e la freccia che li connette è un crescendo. (Vedremo fra poco perché si può parlare di categoria).
Immaginiamo un “sorriso” doppio, per indicare due diversi modi di realizzare un crescendo, per esempio lentamente o velocemente. L’uno si trasforma nell’altro grazie ad una “freccia tra frecce” (Fig. 2).
Ogni punto può esso stesso contenere punti e frecce, creando così una struttura annidata (Fig. 3).
Otteniamo così una sorta di volto in cui gli occhi sono volti (grafici da questo articolo, [3]). Queste idee possono ispirare opere grafiche, come un frammento del mio disegno “Duality” (Fig. 4).
Torniamo alla musica, la quale presenta molte strutture annidate. Nell’esempio citato, un crescendo si può descrivere come una variazione da un livello di intensità a un altro, come dal piano al forte. Ma ci sono diversi modi di realizzarlo, ad esempio più velocemente o più lentamente. Se ogni crescendo è rappresentato da una freccia, la variazione di tempo fra crescendi è rappresentata da una freccia tra frecce. Siano dunque i punti le intensità, e le frecce le variazioni di intensità. La composizione di due variazioni di intensità dà nuovamente un’intensità. La proprietà associativa si verifica facilmente e l’elemento neutro è dato dalla variazione zero di intensità. Abbiamo dunque una categoria avente come oggetti le intensità e come morfismi le variazioni di intensità. Possiamo definire una 2-cella dove gli oggetti sono le variazioni di intensità (1-frecce), e i morfismi sono le loro variazioni di velocità (le 2-frecce). Lo stesso passaggio può essere eseguito da strumenti diversi. Definiamo dunque le 3-celle, e così via. Vedi questo articolo e quest‘altro per dettagli.
Si possono anche definire morfismi fra categorie, detti funtori, che trasformano oggetti dell’una in oggetti dell’altra categoria, e morfismi dell’una in morfismi dell’altra. Si tratta di concetti basilari in teoria delle categorie, ma già dalla portata generale. Ho applicato queste idee alla forma degli alberi (Fig. 5).
La figura 5 mostra, a sinistra, un esemplare giovane (in alto) e adulto (in basso) di Butia capitata, e a destra un esemplare giovane (in alto) e adulto (in basso) di Coccothrinax argentea. Qui l’idea di categoria è usata per indicare una specie. I morfismi all’interno di una categoria indicano il processo di crescita, i morfismi fra categorie indicano il paragone delle forme fra individui coetanei della stessa specie (“form comparison” fra oggetti) e il paragone fra processi di crescita nelle diverse specie (“growth comparison” fra morfismi). L’esempio è tratto dal libro “Mathematics, Nature, Art” (MNA) [1].
La forma degli alberi può diventare musica attraverso un funtore appropriato. La musica si svolge nel tempo, e dunque può rappresentare anche lo sviluppo di una forma nello spazio dei suoni. Molti studiosi vedono infatti la forma delle piante come il risultato di un processo di crescita nel tempo. D’Arcy Thompson [6] nota infatti:
Organic form itself is found, mathematically speaking, to be a function of time… We might call the form of an organism an event in space-time, and not merely a configuration in space.
E Francis Hallé [5] aggiunge:
The idea of the form implicitly contains also the history of such a form.
L’idea di funtore si può applicare anche alle forme di animali e al loro possibile rendimento musicale; vedi un post dettagliato sull’argomento.
Un’altra struttura categoriale è data dalle trasformazioni naturali, che, intuitivamente, confrontano l’azione di diversi funtori. Nello stesso testo (MNA) è incluso un esempio dove i morfismi indicano lo schiudersi dei fiori in un’infiorescenza, il funtore rappresenta il “collocamento” dei fiori all’interno dell’infiorescenza sferica, e un secondo funtore rappresenta il collocamento dei fiori all’intero di un’infiorescenza ellissoidale. L’infiorescenza sferica si ispira all’Echinops ritro; l’infiorescenza ellissoidale mostrata è invece inventata, vedi figura 6. I fiori di Echinops ritro hanno cinque petali, ma sono qui schematizzati con tre.
Nello stesso libro ho definito un funtore “sonificazione” che trasforma singoli fiori in temi musicali, e trasforma infiorescenze in distribuzioni dei temi in una sfera nello spazio dei suoni. È infatti possibile definire categorie annidate e funtori tra funtori.
La tecnica di sonificazione che adopero è basata sulla teoria dei gesti musicali e sulla loro “trasferibilità” da un dominio all’altro.
A proposito di gesti, vorrei citare la definizione di gesto musicale data da Mazzola e Andreatta [4], vedi figura 7, in termini di mapping da un grafo orientato (con punti e frecce) a un cammino continuo (che congiunge punti in uno spazio) in uno spazio topologico. Occorre mappare ogni vertice del grafo in un punto dello spazio e ogni bordo del grafo (freccia) in una freccia continua fra punti dello spazio, mantenendo la corrispondenza delle teste e delle code delle frecce originali.
In [2, 4], il grafo orientato è chiamato Delta e l’insieme di punti e curve continue appartiene allo spazio X. Si possono allora definire i gesti come mapping da Delta a X, e rappresentare trasformazioni fra gesti come 2-frecce, che possiamo anche comporre. Si pensi, in musica, a un movimento (gesto) non connotato che diventa un movimento “piano” e poi un “forte” (Fig. 8).
Potremmo anche indicare come gesto l’insieme dei punti nello spazio e le curve che li connettono nello spazio e nel tempo. Mazzola e Andreatta usano la metafora dei movimenti continui del danzatore che connettono i passi discreti. Sono partita da questa metafora per condurre un breve studio sulle categorie applicate alla danza (Fig. 9).
Il direttore d’orchestra, ad esempio, volendo dirigere un tempo ternario, pensa ad uno schema con tre punti toccati in un ordine preciso; eseguirà dunque dei movimenti continui nello spazio e nel tempo, congiungendo i tre punti (Fig. 10).
Possiamo considerare un intero gesto come un punto, e definire quindi frecce tra gesti. I gesti compositi sono gli ipergesti [4] che possono essere definiti in modo ricorsivo. La composizione di ipergesti (paths) è, come dicono i matematici, associativa a meno di un percorso di percorsi. Possiamo ridefinire gli ipergesti come classe di equivalenza di ipergesti, in modo da avere formalmente una 2-categoria. Queste idee sono discusse e dimostrate in due teoremi, vedi qui [3].
Possiamo tener conto della ciclicità dei movimenti in corrispondenza alla ciclicità del tempo musicale (esempio: lo schema 1-2-3 che si ripete in un tempo ternario), vedi figura 11.
Se consideriamo la categoria avente come oggetti i punti nello spazio (e nel tempo) necessari per la direzione d’orchestra, e come morfismi i movimenti della bacchetta del direttore che li connettono (consideriamo la mano destra per semplicità), i 2-morfismi sono le variazioni di questi movimenti: cambi di velocità, di articolazione, e così via.
Il formalismo delle 2-celle ci può servire per analizzare i gesti del direttore e confrontarli con quelli degli altri professori d’orchestra. Se, per esempio, il direttore segnala un crescendo per tutti, i vari musicisti effettueranno trasformazioni fra gesti (2-morfismi) che avranno qualcosa in comune. Esempio: un pianista esegue un gesto che produce una dinamica forte, così come un percussionista. Se lo gli schemi dei loro movimenti è diverso, si possono denominare ad esempio Delta e Gamma. I movimenti di pianista e percussionista si svolgono nello spazio dei parametri X e Y, rispettivamente. I parametri per il pianista sono: tempo, posizione delle mani sulla tastiera, velocità, eccetera; i parametri per il percussionista sono: tempo, posizione delle bacchette, scelta degli strumenti, eccetera. Possiamo confrontare i gesti di percussionista e pianista usando il linguaggio delle categorie, vedi figura 12. Le doppie frecce (2-frecce) agiscono in modo equivalente, rendendo i gesti simili.Lo stesso formalismo della figura 12 si applica alla danza, vedi figura 13.
Potremmo investigare variazioni simili nel movimento dell’archetto di un violinista, o nell’uso della bocca e del diaframma per un flautista. Da qui nasce la congettura della similarità gestuale, riguardante similarità nel movimento e nel suono prodotto [2]. Eccone la versione euristica.
Conjecture A.1 (The heuristic conjecture) Two gestures, based on the same skeleton, are similar if and only if they can be connected via a transformation:
(1) that homotopically transforms one gesture into the other, and
(2) that also leads to similar changes in their respective acoustical spectra.Homotopy is a necessary, but not sufficient, condition to get similar gestures.
Quando il direttore segnala un “forte” di “tutti”, ogni musicista eseguirà movimenti diversi a seconda dello spazio di parametri del proprio strumento. I vari movimenti avranno però delle analogie (un esempio: aumento di pressione dell’archetto per il violinista e di pressione dell’aria per il flautista) che producono analogie sonore (un esempio: aumento di intensità sonora e correlata modifica timbrica), riscontrabili negli spettrogrammi.
L’idea di funtore si può anche applicare alla trasformazione dai simboli visivi della partitura al suono dell’esecuzione. Le trasformazioni naturali aiutano a formalizzare il confronto tra esecuzioni diverse della stessa composizione. Possiamo anche confrontare i gesti adoperati dai musicisti di diverse orchestre e i suoni che si ottengono, e così via.
Dal momento che non produce direttamente un suono ma lo suggerisce, il gesto del direttore risulta più “astratto” rispetto a quello dei musicisti dell’orchestra. Oseremmo dire che i gesti del direttore siano ontologicamente diversi rispetto ai gesti degli altri musicisti.
Altro argomento: il ruolo dell’ascoltatore è opposto a quello del direttore. L’esecuzione orchestrale si può vedere come un flusso di frecce dal direttore (livello 1), agli orchestrali (livello 2), all’ascoltatore (livello 3). Nella teoria delle categorie, le costruzioni che si ottengono invertendo tutte le frecce sono dette duali. Possiamo infatti costruire un formalismo equivalente (ma invertito), in cui l’ascoltatore (livello 1) presta attenzione ai movimenti e al suono degli orchestrali (livello 2), i quali prestano attenzione al gesto del direttore (livello 3). Il gesto del direttore, inoltre, sintetizza gli elementi salienti della partitura e le informazioni essenziali per gli orchestrali. Per questi motivi, possiamo ispirarci, in modo metaforico, a costruzioni categoriali quali limiti e colimiti per modellizzare questi rapporti fra livelli diversi (Fig. 14); vedi qui [2] per diagrammi più dettagliati. Un limite è la generalizzazione di un prodotto (semplificando, le frecce partono da esso); un colimite è la generalizzazione della somma diretta (le frecce convergono ad esso). Il colimite è il duale del limite. Come precisato nell’articolo, in [2] le proprietà universali non sono descritte in dettaglio, ma sono fornite spiegazioni concettuali del perché questo tipo di linguaggio si potrebbe adattare a direttore/orchestra/ascoltatore.
Dall’articolo (pagina 14):The choice of listener as a limit, even if considered as a metaphor, satisfies the universal property because all the “listening and perception activities” can be reduced to the listener, in contraposition to the sound-production activities. The conductor plays the opposite role: all the “sound production” gestural activities can be related to the conducting gesture, which is a pure gesture without any direct sound production.
Il passaggio verso l’astrazione, che possiamo metaforicamente rappresentare come un colimite, in un ambito extra-musicale si potrebbe applicare alla classificazione delle specie in biologia. La figura 15 mostra, nel caso dei pesci, la progressiva astrazione per mezzo di composizioni di frecce dalle singole specie, ai generi, e così via procedendo verso l’alto, per raggiungere un equivalente dell’idea più astratta di “pesce”, rappresentata con un disegno schematico. (Le differenze rispetto all’idea platonica sono discusse nel libro).
La congettura della similarità gestuale si può estendere alle interazioni tra musica e immagine. Pensiamo a una collezione di punti disegnati su un foglio di carta, e una sequenza di note eseguite in modo staccato: note staccate e punti possono essere considerati come simili perché si generano attraverso lo stesso gesto “staccato”, come una mano che disegna nello spazio dei suoni, come lo stesso gesto creativo che genera suoni e immagini.
Chiaramente, non si ha una corrispondenza 1-1 perché possiamo avere infinte collezioni di punti da accostare alla sequenza musicale data. A tale sequenza musicale non accosteremmo però una linea continua. Allo stesso modo, dato un insieme di puntini, possiamo sonificarlo attraverso note diverse, ma tutte in staccato. Dunque possiamo pensare a classi di equivalenza di possibili rendimenti musicali che verificano similarità gestuale.
In questo modo, una musica prodotta da un algoritmo o composta “liberamente” può creare l’illusione di una produzione simultanea di suono e immagine; cfr. un’intervista alla Ca’ Foscari. Qualunque sia la tecnica scelta per la realizzazione musicale di una forma, libera o algoritmica (anche usando gli studi di Lindenmayer [5] nel caso delle piante), un rendimento musicale efficace di una forma deve, a mio parere, verificare la similarità gestuale. Il rendimento musicale di forme complesse è un problema non banale, affrontato nell’articolo sulla “Quantum GestART“.
Per concludere, immergiamoci in un oceano matematico, dove le forme sono il grafici di equazioni parametriche o solidi di rotazione, e la musica segue il criterio di similarità gestuale.
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[1] Mannone, Maria. Mathematics Nature Art. (2019). Palermo: Palermo University Press.
[2] Mannone, Maria. (2018). “Introduction to Introduction to gestural similarity in music. An application of category theory to the orchestra”. Journal of Mathematics and Music, 12(2): 63-87. https://www.tandfonline.com/doi/abs/10.1080/17459737.2018.1450902
[3] Mannone, Maria. (2018). “Knots, Music, and DNA”. Journal of Creative Music Systems, 2(2). https://doi.org/10.5920/jcms.2018.02
[4] Mazzola, Guerino, and Andreatta, Moreno. (2010). “Diagrams, Gestures and Formulae in Music.” Journal of Mathematics and Music, 1 (1): 23–46.
[5] Prusinkiewicz, Przemyslaw, and Lindenmayer, Aristid. (2004). The Algorithmic Beauty of Plants. New York: Springer.
[6] Thompson, D’Arcy Wentworth. (1966). On Growth and Form. An Abridged Edition Edited by John Tyler Bonner.Cambridge, Massachusetts: Cambridge University Press.
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