Prima della costruzione della torre Eiffel, i più diffusi souvenir parigini erano forse dei sassi informi e grigi. E pensare che la “signorina d’acciaio” sarebbe dovuta essere smontata al termine dell’Esposizione Universale del 1889. Forse i parigini, quasi in extremis, si accorsero che sì, quella forma slanciata poteva fornire ispirazione per degli oggetti-ricordo.
Cosa dire della Roma prima della costruzione del Colosseo, o della pendenza di una torre toscana, del profilo di una gondola che si staglia sull’acqua, e via dicendo? Alcune costruzioni, oggetti, edifici hanno una valenza iconica e arrivano ad identificarsi quasi univocamente con i luoghi che li ospitano.
E si fabbricano i souvenir associati. Il souvenir è un oggetto che “ricorda” qualcosa di oggetti/elementi/edifici emblematici. Li ricorda innanzi tutto nella forma, ma possiede, nel contempo, qualche altra determinata caratteristica: deve rientrare nel budget del turista e deve essere trasportabile. Un modellino di torre Eiffel altro due metri non potrebbe facilmente entrare nella cappelliera di un aereo. Il modellino che campeggiava sulla mia scrivania a Parigi era alto poco più di dieci centimetri ed era costato pochi euro. I souvenir in marmo di Carrara sono belli ma pesanti. Anche il materiale in cui è realizzato l’oggetto gioca quindi un ruolo, così come la sua costruzione/realizzazione. Una mini-gondola scolpita e dipinta a mano potrebbe avere un notevole costo, mentre una forma stilizzata in metallo o plastica costa certamente molto meno.
Già, un’immagine stilizzata: poche linee bastano a rendere riconoscibile una forma, e a trasformare un oggetto anonimo in una torre Eiffel, in un Colosseo, in un Beg Ben, in una cupola di San Pietro, in una gondola. Ma quante linee? Se poche, non connotano sufficientemente l’oggetto iniziale. Di conseguenza non consentono la riconoscibilità dell’immagine, la rendono ambigua, difficilmente distinguibile da altre anche genericamente somiglianti. Troppe linee, all’opposto, danno un’idea di precisione, ma possono risultare superflue, e, tradotte in dettagli, potrebbero far lievitare il prezzo del souvenir. Occorre dunque fermarsi al livello minimo di riconoscibilità richiesto per identificare univocamente la forma rappresentata.
Se si approssima una forma generica attraverso combinazioni di forme semplici, come punti, linee, triangoli, archi, cerchi e quadrati, si troverà un numero minimo di elementi necessario per riconoscere la forma di riferimento. Più elementi sono usati, più è variata la loro dimensione e posizione (entrambe definite attraverso opportuni coefficienti), più la somiglianza con l’oggetto originale risulta evidente. Un numero infinito di forme semplici approssima in modo esatto la forma dell’oggetto che si vuole rappresentare. Immaginiamo un punto (concettuale) con la forma iniziale; negli intorni del punto si hanno le varie semplificazioni. Vi sarà un intorno oltre il quale non è più possibile riconoscere la forma originale. Il limite di questo intorno è l’intorno Gestaltico (Gestalt neighborhood). Come si fa a conoscere questo limite? Si possono condurre esperimenti cognitivi su un numero N di persone, chiedendo loro di adoperare un numero X di forme semplici per approssimare la forma di un oggetto dato. In matematica è più semplice, possiamo dire “esiste una soglia ε tale che…”
Importante è inoltre la scelta del materiale: una scultura in un materiale eccessivamente scadente potrebbe danneggiarsi già in itinere. C’è quindi da considerare un livello minimo di qualità del materiale usato.
Elemento di non poco conto è il costo: una pregiata scultura, possibilmente ricoperta d’oro, troverà intenditori ed estimatori, ma non sarà alla portata di tutte le tasche. C’è quindi un livello massimo di spesa che non può comunemente essere superato.
Questi parametri (riconoscibilità, qualità, costo) chiaramente variano a seconda dell’oggetto rappresentato, del turista che desidera acquistarlo, della modalità di viaggio, e via dicendo. È però possibile stabilire dei limiti minimi e massimi come piani che intersecano lo spazio tridimensionale, e analizzare le variabilità individuali/locali come spostamenti fra questi piani. Quello che si ritrova analizzando un gran numero di casi (quanti? lascio la parola agli statistici), sono dei fasci di piani, e delle figure geometriche (triangoli) nate dalla loro intersezione. I souvenir che rientrano in questa intersezione sono i più commerciabili: basso prezzo, buona somiglianza, materiale abbastanza idoneo.
A proposito di souvenir e di misure, c’è un argomento che mi frulla in testa da un po’, a cui ho già dato un nome: il “Teorema del Souvenir”. Sarà un vero teorema o si tratterà di una congettura? Posso presentarvi alcune definizioni e spunti; altri elementi sono ancora vaghi, certamente meno rigorosi. Ma possono diventare più precisi. Ecco come nasce una nuova teoria! Anche un’idea semplice come quella di un souvenir può fornire un punto di partenza per la ricerca matematica.
Definiamo il “sottospazio di vendibilità” (una porzione dello spazio tridimensionale) e la “superficie di migliore vendibilità”.
Partiti dall’idea di souvenir, stiamo adesso di fatto facendo matematica.
Definizione. Definiamo uno spazio NEQ dato da N, il numero di ket visivi che approssimano una forma, E il costo e Q la scelta di materiale e la qualità complessiva del prodotto. I souvenir vivono nello spazio NEQ.
I “visual kets” sono oggetti formali per descrivere le forme semplici, come segmenti, archi, punti, che “vivono” in uno spazio euclideo tridimensionale. Possiamo usare un certo numero di ket, e di coefficienti appropriati, per approssimare una data forma complessa. Passando da una base di ket visivi a una base di ket musicali, trasformiamo l’approssimazione di una forma visiva in un semplice brano musicale. La discussione precisa dell’applicabilità di questi termini, e del senso di “base” in questo contesto, è descritta nell’articolo “Quantum GestART”, e richiederebbe un post a parte — forse da scrivere?
Il termine ket è derivato dal linguaggio della meccanica quantistica. Nella Figura X, N indica il numero di forme semplici che approssimano la forma data, E il costo e Q la qualità del materiale scelto. I souvenir “vivono” nello spazio NEQ. Lo sviluppo e quindi anche il valore di N* dipendono dalla base scelta.
Definiamo il sottospazio di vendibilità come porzione dello spazio NEQ:
Congettura: sottospazio di vendibilità e superficie di migliore vendibilità. Sia N* il numero minimo di ket visivi (soglia minima) necessari per riconoscere una specifica forma; E’ un limite di budget (soglia massima); Q* una qualità minima (soglia minima). Dato un souvenir s, definiamo il sottospazio della sua vendibilità come una sottospazio dello spazio NEQ, con N ≥ N*, E ≤ E′ e Q ≥ Q*. Possiamo definire la superficie di miglior vendibilità nel sottospazio di vendibilità, come il piano strettamente delimitato da tre punti: (N = N*, E = 0, Q = 0); (N = 0, E = E* ≤ E’, Q = 0); (N = 0, E = 0, Q = Q*). “Strettamente” delimitata perché gli zero non vengono toccati. E* è il valore che minimizza il prezzo, maggiore della soglia E′′ che assicura una minima copertura delle spese di produzione e un buon pagamento della manodopera, ma sempre di gran lunga inferiore al limite di budget del turista.
Chiarimento. I valori di N sono considerati discreti. Potremmo tentare un salto al continuo se si considerano forme incomplete oppure piccole, molto piccole, infinitesime.
Questo è l’enunciato del “Teorema del Souvenir”:
Enunciato informale. Se il souvenir ha il numero minimo di parti del materiale più economico ed è (esso stesso) abbastanza economico, ma imita abbastanza bene la forma originale (il colimite è lo stesso della forma originale), il turista lo comprerà. Il souvenir è commerciabile se, con le parti più piccole ed economiche, l’immagine è riconoscibile. I criteri decisivi sono dunque: riconoscibilità, prezzo e qualità.
Enunciato formale. Consideriamo uno spazio NEQ e un souvenir “s” che rappresenta l’oggetto originale “o”. Sia il souvenir s che l’oggetto o appartengono allo spazio NEQ. Lo spazio NEQ (così come lo spazio indicato da assi x, y, z) è infinito. Nella nostra analisi trascuriamo l’infinito delle coordinate E e Q. Per quanto riguarda gli N, la forma originale richiede un N infinito per la sua approssimazione esatta. Consideriamo però approssimazioni con N finito. Il sottospazio di vendibilità è una porzione di NEQ con N finito. Se vi è una soglia minima $$N^{*}$$ in $${\sum^{N^{*}}_i b_i|\phi_v\rangle}$$ di s, tale che il suo intorno delimitato da questa somma interseca almeno un intorno di o, e dunque l’immagine che otteniamo semplificando o è vicina alla forma di s, dato un prezzo ragionevole (inferiore o uguale a E*) e una buona qualità (maggiore o uguale a Q*), il souvenir s appartiene al sottospazio di vendibilità, alla superficie di massima vendibilità, e verrà probabilmente venduto. Nota: la “libertà di scelta” degli intorni è limitata dall’ambiguità della figura approssimata: se troppe altre figure possono essere scambiate per quella data, allora il souvenir non è di fatto riconoscibile e non viene acquistato.
A proposito di intersezione: in uno spazio euclideo, dato un intorno di un punto (chiamiamolo A) e un altro punto qualsiasi (B), esiste un intorno di B che interseca l’intorno dato di A. Ma… l’intorno di cui sta parlando qui è un intorno gestaltico, delimitato da un criterio percettivo. Infatti N è massimo al “centro” dell’intorno e poi decresce fino a un valore minimo che consente la riconoscibilità della forma complessa che si intende rappresentare.
Le figure 49 e 50 (tratte da un articolo non ancora pubblicato) mostrano un esempio di piani all’interno del sottospazio di vendibilità con N* = 3 (un numero adimensionale), Q* = 3 (in unità di “qualità”), and E* = 6 (in unità di “costo”), e il più piccolo di questi piani, i cui vertici di fatto non vengono toccati. Se lo fossero, vi sarebbe un assurdo, come nel caso di (0, 3, 0), un souvenir con prezzo 0, 0 ket e migliore qualità. Il vertice è da interpretare nel modo seguente: minima quantità di ket ma sempre sopra la soglia, massima qualità, minimo costo ma sempre sopra la soglia. Si tratta insomma di individuare punti all’interno della superficie ma non sui vertici che la delimitano.
Un possibile abbozzo di dimostrazione è il seguente. Supponiamo per assurdo che ciascun intorno gestaltico del souvenir non intersechi nessun intorno gestaltico dell’oggetto originale o. Il turista può essere attratto dall’oggetto s in sé, ma non può acquistarlo come un souvenir di o, perché s non gli ricorda o. Dunque s non è un souvenir di o, che è assurdo.
Il lettore attento noterà che, per parlare di intorni (e, dunque, di topologia), serve il continuo. Qui si utilizza invece il discreto, perché si considerano diverse approssimazioni, tutte con N finito (tranne il punto “centrale” dell’intorno, corrispondente all’oggetto stesso). Questa definizione “imprecisa” (o, meglio, flessibile) di intorno gestaltico è descritta in dettaglio nell’articolo “Quantum GestART”.
Il viceversa richiederebbe una sorta di Gedankenexperiment. (Si tratterebbe sempre di una dimostrazione matematica?) Analizziamo una collezione di souvenir $\left\{ s_1, s_2, …, s_n \right\}$ che ricordano ai turisti l’oggetto originale $o$. Possiamo semplificare i souvenir in termini di una collezione di decomposizioni in ket visivi, e valutando il più piccolo N, come limite superiore per la soglia di riconoscibilità N*. Dal sottoinsieme di souvenir che vengono di fatto acquistati, si valuta anche la qualità minima e il prezzo più basso, per ricostruire lo spazio di vendibilità e la superficie di migliore vendibilità.
Sarà vera matematica? Si potrebbe anche fare un’analisi statistica, e costruire un modello a partire dai dati. Ma in questo modo si utilizzano concetti e metodi ontologicamente fuori dalla matematica. Forse qualcuno dei lettori potrebbe proporre uno schema di dimostrazione formale? 🙂
Due linee fanno una torre Eiffel, una linea con una certa angolatura fa una gondola, una linea con una certa angolatura adagiata su una linea orizzontale fa una gondola in un canale di Venezia.
Un ottimo souvenir è, ovviamente, anche un pop-up, leggero, trasportabilissimo, quasi sempre economico, in grado di dare un’idea abbastanza chiara di quanto raffigura.
È possibile inoltre creare souvenir musicali, mappando forme semplici in semplici strutture musicali, e “testando” la riconoscibilità degli elementi essenziali e della forma complessiva tattile o visiva in termini sonori. Tale traducibilità avverrebbe chiaramente per classi di equivalenza, e con molti caveat percettivi di cui tener conto.
Ho proposto il Teorema del Souvenir (“Souvenir Theorem”) in un articolo di ricerca in inglese scritto alla fine del 2019, prima che l’era Covid cambiasse anche il mondo dei viaggi. Ho recentemente visto che anche un altro studioso, David L. Hume, nel 2014 si è occupato di souvenir, confrontandone le tipologie (“The Language of Souvenirs A Design Theory for the Production of Tourist Souvenirs: Three Discrete Groups – the Sampled, Crafted and Representative”).
Il mondo che cambia intorno a noi potrebbe consentirci di ripensarlo matematicamente, a partire da città e souvenir, e di viaggiare anche fra i teoremi. E forse i souvenir post-covid potrebbero essere progettati usando un criterio… matematico. Buon viaggio!
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