Proponiamo di seguito questa intervista a Ludovico Pernazza, docente di Geometria presso l’Università di Pavia e attualmente Presidente della Commissione Olimpiadi dell’Unione Matematica Italiana (UMI).

D. Prima di tutto grazie per aver accettato questa intervista. Come prima domanda, ti chiederei se puoi spiegarci in cosa consiste il tuo ruolo di Presidente della Commissione Olimpiadi. In particolare, quante persone, a diverso titolo, coinvolge l’organizzazione delle gare di matematica?

R. La Commissione è formata da venti persone, le quali si dividono le diverse attività da svolgere, che sono gradualmente aumentate nel corso degli ultimi anni. La Commissione rappresenta però solo la punta di un iceberg; bisogna infatti aggiungere almeno 60-80 collaboratori, che di solito sono ex-partecipanti alle gare e attualmente studenti universitari, o docenti, o semplici appassionati, che contribuiscono attivamente nella proposta e selezione degli esercizi o nello svolgimento di stage locali o nazionali (nel gergo delle Olimpiadi chiamati “Stage Senior”, “Winter Camp” e “Stage PreIMO”, che si svolgono a Pisa grazie alla collaborazione con la Scuola Normale Superiore e il Dipartimento di Matematica). A livello locale, la gestione delle gare è affidata a poco più di un centinaio di Coordinatori e Responsabili Distrettuali che operano nei 91 distretti in cui è divisa l’Italia [che corrispondono a una o più province, NdR]; essi possono a buona ragione definirsi l’ossatura di tutta l’organizzazione delle gare. Mi piace ricordare anche tutti i Referenti di istituto, il cui ruolo è principalmente quello di organizzare e gestire i Giochi di Archimede, e sono all’incirca un migliaio. Ultimi, ma non per importanza, vanno ricordati la Segreteria e l’Ufficio di Presidenza dell’UMI che si occupano dei rapporti con le scuole e con il Ministero dell’Istruzione (che finanzia parzialmente l’iniziativa). Da tener presente anche il valido supporto di tutti coloro che lavorano a Cesenatico, dove dal 1987 si tengono le fasi finali delle Gare, e a volte la collaborazione di sponsor, come quest’anno con la Huawei.

In qualità di Presidente della Commissione Olimpiadi, oltre a partecipare all’organizzazione delle attività, cerco di fare da punto di riferimento, da coordinatore, e di accertarmi che tutte le attività siano in armonia fra di loro, assicurandomi che le informazioni vengano correttamente trasmesse tra i componenti della commissione. In altre parole, cerco di assicurarmi che tutte le attività vengano svolte per il meglio, cercando allo stesso tempo di non impormi più di tanto (ma su quest’ultimo aspetto bisognerebbe chiedere ai miei collaboratori!).

D. Che importanza riveste la Commissione Olimpiadi e, in generale, le Olimpiadi della Matematica all’interno dell’UMI?

R. In quanto associazione, ogni socio dell’UMI potrebbe avere una risposta diversa a questa domanda. A mio avviso, per l’Ufficio di Presidenza, la Commissione Scientifica e per chi lavora al suo interno le Olimpiadi sono molto utili per perseguire le finalità dell’UMI, vale a dire la diffusione della matematica e della cultura matematica all’interno della società, mostrando in questo caso ai ragazzi delle superiori la matematica “che ci piace di più”, a nostro avviso divertente e che stimola il ragionamento, anche se a volte difficile. E’ chiaro comunque che le Olimpiadi sono solo una delle attività proposte dall’UMI, la quale si occupa, solo per fare qualche esempio, anche dell’insegnamento della matematica nelle scuole, della formazione dei docenti, di pubblicare libri, collane, bandire premi e borse per dottorandi, organizzare convegni, mantenere rapporti con altre Società scientifiche italiane e straniere. E’ comunque con ogni probabilità l’attività che coinvolge più persone; basta pensare che ai soli Giochi di Archimede ogni anno partecipano circa 170 mila studenti (quest’anno meno per motivi noti).

D. Il numero di studenti partecipanti alla prima fase sembrerebbe in calo rispetto ai 200 mila o poco più di qualche anno fa. A cosa può essere dovuto?

R. Può essere che il numero di partecipanti sia diminuito, ma può anche essere che sia aumentata la nostra capacità di rilevare esattamente il numero di coloro che aderiscono. Fino a circa dieci anni fa il numero di partecipanti era stimato sulla base di quante erano le scuole che aderivano al progetto e sulla base delle dichiarazioni di alcuni docenti, ma in modo campionario e non capillare. Ciò implica che il numero esatto non veniva rilevato e solo di recente abbiamo fatto uno sforzo per avere dei dati più completi, come d’altro canto richiesto dal Ministero. Forse è un caso ma più raccogliamo dati con precisione, minore è il numero di coloro che ci risultano prendere parte ai giochi. La quota di 170 mila è di due anni fa, sebbene anch’essa sia affetta da arrotondamenti e stime. Contiamo in futuro di migliorare sempre più il computo di coloro che aderiscono all’iniziativa.

D. Cambiando discorso, come è nata la tua passione per la matematica e, in particolare, come è nata la tua passione per le Olimpiadi della Matematica?

La passione per la matematica è nata quando ero piccolo. Ricordo in particolare quando mio fratello, che ha cinque anni più di me, frequentava l’ultimo anno della scuola elementare e aveva una squadra con angoli 30° – 60° – 90° e su di essa ci stava disegnato un piccolo triangolo rettangolo, con lati a, b, c e accanto il teorema di Pitagora $a^{2}+ b^{2}= c^{2}$. Ho chiesto a mio fratello cosa volesse dire, ma non mi ha saputo rispondere. Ho chiesto successivamente a mia madre, la quale ha liquidato il tutto dicendo che l’avrei studiato a tempo debito. Ho chiesto infine a mio padre, che mi ha spiegato il teorema e mi è sembrato bellissimo. In particolare, il fatto che una simile relazione fosse vera per tutti i triangoli rettangoli mi è sembrata una verità assoluta e da allora è nata la mia passione. Verso i 6-7 anni mi fu regalato un libro che si intitolava “Il segreto dei numeri”, che trovavo interessante solo per il titolo misterioso anche se, quando iniziai a leggerlo, ebbi molta difficoltà. Lo ho abbandonato e ripreso più volte, ogni volta riuscendo a leggerne un capitolo in più, fino a quando sono stato in grado di comprenderlo tutto e da quel momento ho iniziato a leggere tutto ciò che trovavo in casa che parlava di matematica.

Discorso diverso per le Olimpiadi. Era il 1988, frequentavo il liceo classico e allora le Olimpiadi non erano così diffuse come lo sono oggi: partecipavano circa 15-20 mila studenti in tutta Italia e, superata la fase scolastica, si accedeva direttamente alla gara nazionale. La mia insegnante di matematica, prof.ssa Lomonaco (che tuttora ringrazio a distanza di tutti questi anni), visto che andavo molto bene nella sua materia, volle farmi partecipare alle gare, cosa inusuale allora per uno studente del classico. Così sono entrato in contatto con l’ambiente olimpico dove tutti erano appassionati di matematica come me: mi rendeva particolarmente felice potermi confrontare e parlare di matematica con loro. Sono stato anche fortunato nelle gare nazionali, tanto da rientrare nella squadra italiana che ha preso parte alle IMO (International Mathematical Olympiad) nel 1990 che si sono tenute a Pechino, in Cina. E’ stato un momento molto bello della mia vita; ho incontrato tanti ragazzi provenienti da 56 paesi del mondo che condividevano la mia stessa passione e con i quali potersi confrontare, parlare, raccontarsi esperienze.

D. Nelle gare ricorrono diverse tipologie di problemi; quali sono secondo te discriminanti ai fini di una selezione? In particolare, quali risultano più difficili per i concorrenti?

R. Dipende molto dal livello della gara. Laddove c’è bisogno di svolgere delle dimostrazioni, quindi sicuramente nella gara nazionale ma anche fin dalla gara distrettuale, molto spesso gli esercizi in cui c’è il rischio di arenarsi sono quelli di geometria. A livello internazionale c’è la tradizione di inserire almeno due esercizi di geometria sui sei totali. Ciò implica che, se anche uno strategicamente volesse fare una preparazione mirata per prendere più punti possibili, senza la geometria non andrebbe molto lontano. Per risolvere un problema dimostrativo di geometria bisogna sviluppare delle capacità che a scuola difficilmente vengono sviluppate. Vedere o immaginare nella configurazione dei nuovi elementi o informazioni che non sono già scritti nel testo è un’abilità che si impara facendo esercizi; diversamente è molto difficile riuscire nell’intento. Altri ambiti, come ad esempio gli esercizi di algebra nelle gare, dovrebbero essere più affrontabili da uno studente di scuola che conosce già dei principi da applicare. Questo non vuol dire che tutti gli esercizi di algebra sono facili da svolgere: in generale, tutti gli esercizi olimpici hanno la caratteristica di far scoprire una cosa nuova. A meno che non se ne siano visti in grande quantità, difficilmente di fronte a un nuovo esercizio, qualunque esso sia, si è in grado di sapere esattamente cosa va fatto senza procedere con qualche tentativo. Ogni quesito presenta sempre almeno un elemento di novità, qualcosa da scoprire sul momento.

Anche la teoria dei numeri “olimpica” presenta alcune difficoltà, sebbene lo studente sia più abituato a lavorare con i numeri interi. Discorso a parte merita la combinatoria, argomento poco trattato a scuola e soprattutto in certi casi molto frustrante. Infatti diversi problemi hanno una soluzione breve e semplice ma che va cercata in mezzo a una grandissima quantità di strade che non portano a niente. Mentre nelle altre discipline olimpiche se uno fa un progresso se ne accorge in quanto scopre delle nuove relazioni che gli indicano una strada, in combinatoria questo non accade spesso, e la strada che porta al risultato va trovata in mezzo a moltissimi diversi ragionamenti. Riassumendo, se uno vuole fare la differenza, è bene che sappia un po’ di algebra e di teoria dei numeri, ma è bene che si alleni facendo esercizi di geometria e combinatoria.

D. Come spiegare questa difficoltà in geometria se consideriamo il fatto che a scuola lo studente non vede quasi mai dimostrazioni di algebra o teoria dei numeri ma studia un gran numero di teoremi di geometria e svolge svariati esercizi non così diversi, nella loro impostazione, da quelli delle gare?

R. Leggere e capire una dimostrazione, come avviene nello studio dei teoremi, è un processo abbastanza diverso dal produrre una dimostrazione. Leggere una dimostrazione è senza dubbio il primo passo per poterle saper fare: se uno non ha mai letto una dimostrazione, difficilmente sarà in grado di crearne una. A riguardo, mi sento di suggerire che per riuscire nelle gare non è importante solo conoscere i teoremi, ma forse è ancor più importante conoscere le dimostrazioni dei teoremi. I ragionamenti che vengono fatti all’interno delle dimostrazioni dei teoremi possono poi essere riciclati per risolvere esercizi, mentre non è detto che l’enunciato del teorema serva nella risoluzione del quesito.

Una delle tante squadre partecipanti alle gare nazionali di Cesenatico

D. Parlando di esercizi, ti ricordi un quesito delle gare che ti ha dato particolare soddisfazione risolvere?

R. Ho in mente diversi quesiti. In questi anni sono incappato in svariati esercizi nei confronti dei quali è nata una forma di stima e rispetto che mi ha portato a non accontentarmi di andare a leggere subito la soluzione, ma a voler arrivare autonomamente alla soluzione, eventualmente tornandoci sopra a distanza di tempo e provando ogni volta strade nuove. Quello che probabilmente mi ha dato più soddisfazione risolvere è proprio un caso di questo genere. Alle IMO del 1988 c’era stato un esercizio di teoria dei numeri che era risultato molto difficile per i partecipanti, sebbene una selezione di studenti di altissimo livello fosse stato in grado di risolverlo. Sono incappato in questo quesito durante la mia preparazione alle gare, resistendo alla tentazione di andare a vedere la soluzione, e me lo sono portato dietro per 2-3 anni senza riuscire a risolverlo. Durante l’estate di uno dei primi anni dell’università mi sono venuti in mente nuovi modi possibili di utilizzare le ipotesi e mi sono accorto di una struttura significativa che emergeva e che mi ha portato alla soluzione.

D. Ti ricordi il testo di questo esercizio?

R. Certo, non esito a definirlo un quesito celebre in quanto ha introdotto il cosiddetto Vieta jumping, tecnica che riapparve una decina di anni dopo ma all’interno di un esercizio non più complicatissimo, in quanto la procedura era ormai nota. E’ riapparso anche in un nuovo esercizio delle IMO del 2004 o 2005, ma oramai il Vieta jumping non era più un tabù e oggi viene regolarmente insegnato negli stage nazionali in preparazione delle IMO. Questo per dire che gli esercizi delle Olimpiadi “hanno memoria”, e così accade che una nuova tecnica che emerge nel 1988 dopo trent’anni magari è diventata uno strumento che fa parte del bagaglio di un buon concorrente olimpico. Ad ogni modo, l’esercizio in questione era molto semplice da enunciare: assegnati due interi positivi a, b tali che $ab+1$ divide $a^{2}+ b^{2}$, dimostrare che $\frac{a^{2}+ b^{2}}{ab+1}$ è un quadrato perfetto.

D. Un enunciato molto semplice, in apparenza!

R. Sappiamo bene che in teoria dei numeri non sono infrequenti enunciati semplici dalla difficile risoluzione [si pensi al cosiddetto Ultimo teorema di Fermat, NdR]. Proprio la sua semplicità e linearità mi avevano affascinato, anche se mi ha fatto sudare non poco. Ad ogni modo, ce ne sono molti altri che ancora non ho risolto.

D. A riguardo, ti ricordi un quesito delle gare che ti ha creato molti problemi, sul quale hai perso molto tempo o che hai sbagliato in modo grossolano?

R. Di errori ne ho fatti molti, come è normale che sia, talvolta imboccando strade sbagliate o altre volte facendo errori di calcolo anche grossolani. L’errore più clamoroso che ho commesso probabilmente risale alla mia partecipazione alle IMO del 1990, che senza dubbio è stata la gara più importante alla quale ho partecipato. Alla fine della prima giornata sono uscito dalla gara convinto di aver risolto il terzo esercizio, anch’esso di teoria dei numeri, il quale chiedeva di determinare tutti gli interi positivi n tali che $\frac{2^{n}+1}{ n^{2} }$ sia un intero. Si tratta anche questo di un esercizio che ha fatto scuola e la cui principale idea risolutiva viene insegnata ancora oggi negli stage. Pensavo di averlo risolto mentre avevo clamorosamente sbagliato usando una proprietà inesistente della funzione di Eulero $\varphi (n)$ . I miei compagni e i due docenti che mi accompagnavano, Stefano Mortola e Roberto “Bobo” Dvornicich, mi guardarono con gli occhi sgranati dopo avergli raccontato il mio errore. Ero convinto che $\varphi (n)$ fosse sempre un divisore di n, cosa vera solo in pochi casi. Certo è che se fosse stato vero, la soluzione da me ottenuta sarebbe stata particolarmente veloce e brillante… Va comunque detto che all’epoca non sapevo che gli esercizi sono tendenzialmente in ordine di difficoltà e quindi il terzo, ultimo della giornata, era il più difficile e non poteva avere una soluzione fatta di poche righe o comunque con un’idea così semplice. Quell’esercizio mi ha fatto capire quanto a volte ci si convinca che un fatto è vero, mentre non lo è, quando uno cerca di dimostrare a tutti i costi qualcosa.

D. Cambiando discorso, cosa pensi delle critiche che talvolta vengono fatte alle Olimpiadi della Matematica?

R. Alle Olimpiadi vengono mosse diverse critiche. Fra tutte, la più naturale che viene da fare è se sia giusto incoraggiare la competizione fra ragazzi a scuola quando il vero obiettivo è la formazione della persona, nella quale non ci dovrebbero essere né vinti né vincitori. E’ chiaro che tutti noi ci auguriamo che ciascuno studente che esce dalla scuola sia un individuo formato e capace di affrontare la vita prendendo decisioni e vivendo con consapevolezza all’interno della società. Io per primo non ho la volontà di accentuare l’aspetto competitivo, perché l’avversario non è mai quello che sta facendo la gara insieme a te, ma è il problema. La sfida con il problema che si ha davanti è uno scontro di tipo intellettuale, un’avventura che uno vive interiormente e che gli permette di scoprire cose e “vedere” concetti che non avrebbe visto altrimenti. Dunque la competizione sfrenata non è il mio approccio. Se però esiste chi le interpreta in modo molto competitivo facendo delle scelte condizionate da questo stato d’animo, capisco che questo può diventare un problema e produrre degli effetti negativi. Mi auguro però che questo approccio non sia intrinseco alle gare ma limitato alla sola interpretazione di alcuni concorrenti. Volendo fare un parallelo forse un po’ forzato, ma che rende l’idea, possiamo dire che lo sport fa bene ma il doping no, e non mi sento di dire che è colpa dello sport se esiste qualcuno che si dopa.

Una domanda che possiamo farci è se sia giusto dedicare delle energie per organizzare tutta questa grande collezione di gare, alla quale partecipano fondamentalmente gli studenti più bravi, quando poi ci sono moltissimi altri studenti, non al livello di chi gareggia, ai quali è altrettanto importante far apprezzare la matematica. E’ senza dubbio questa una domanda legittima, alla quale mi sento di rispondere che le gare di matematica possono essere organizzate se esiste un surplus di energie, permettendo così a chi è particolarmente bravo in matematica di avere le sue sfide e di avere stimoli nuovi per allenare la mente; ma il mondo delle gare non deve andare a discapito di chi le gare non le fa. Le gare sono possibili perché abbiamo le energie per farle e perché esiste già la scuola che si occupa della formazione di tutti gli studenti, anche di chi non gareggia.

D. Quali problemi ha creato al mondo delle Olimpiadi l’attuale situazione legata alla pandemia da Covid-19 e quindi al fatto di svolgere didattica a distanza?

R. Premesso che non conosco la situazione in tutte le scuole, senza dubbio ci sono state delle complicazioni per noi, che ci hanno impedito di organizzare delle attività che normalmente avremmo fatto (come la Gara delle Classi Prime), non tanto perché fosse impossibile organizzarle quanto perché il tempo e le energie da dedicare alle altre manifestazioni è stato maggiore. Anche gli stage locali sono stati quasi tutti annullati, non solo per le difficoltà, ma anche perché gli studenti passano già molto tempo davanti al computer e abbiamo esitato a proporre altri impegni online, senza contare che l’efficacia di uno stage a distanza è senza dubbio minore di uno fatto in presenza, dove c’è un’interazione diretta e dove è possibile svolgere in modo più efficace delle attività di gruppo. Sono saltati anche un paio di stage nazionali e, come già accennato prima, abbiamo avuto un certo numero di concorrenti in meno alle gare. A mio avviso, però, anche in questa circostanza la scuola ha dimostrato la sua resilienza riorganizzandosi e reagendo velocemente e fortunatamente pare che gli studenti, negli ultimi mesi, abbiano trovato una sorta di equilibrio per cui fanno quasi tutte le attività che facevano prima. Anche noi, come Commissione Olimpiadi dell’UMI, stiamo cercando di trovare una normalità con la speranza, però, di tornare quanto prima alle attività in presenza.

Mi piace ricordare infine le gare a squadre, le quali hanno avuto non pochi problemi vista la ridotta interazione a distanza fra i membri di ogni squadra, oltre ad alcuni problemi di carattere tecnico vista anche l’inevitabile rimodulazione dell’organizzazione; però devo dire che la passione di studenti e docenti ha permesso di superare molte di queste difficoltà.

D. Cosa puoi dire circa i risultati dell’Italia nelle diverse competizioni internazionali?

R. Senza dubbio mi è più facile parlare degli ultimi anni, che ricordo meglio. Si tratta di una domanda “felice”, nel senso che i risultati dell’Italia sono andati migliorando negli anni, anche grazie a tutti coloro che lavorano a questo progetto. In particolare, da quando è stata rivista e raffinata la preparazione alle gare internazionali (circa vent’anni fa), gradualmente la posizione dell’Italia nelle classifiche internazionali è andata migliorando. Sono stati organizzati molti allenamenti in tutta Italia in quanto non è sufficiente preparare un ristretto numero di persone, ma bisogna avvicinare alla matematica delle gare il più ampio numero di studenti aumentando così la probabilità di intercettare coloro che sono molto bravi. Chi si occupa del settore internazionale cerca continuamente di trovare dei correttivi per rimanere al passo con gli altri paesi, che a loro volta aggiornano i loro modi di allenare le squadre. Non posso non citare con soddisfazione l’ottimo piazzamento nelle IMO di settembre scorso, dove abbiamo raggiunto il risultato migliore di sempre classificandoci in sesta posizione, a parimerito con la Polonia, su 105 nazioni partecipanti. La gara, sebbene a distanza, è stata comunque tosta ed entrare nelle prime dieci posizioni non ci era mai riuscito, dunque parliamo di un’impresa maiuscola dei ragazzi e di tutto il team che lavora alle gare. In ogni caso, ribadisco, quanto accaduto alle scorse IMO è frutto di un lavoro di diversi anni.

Purtroppo non riusciamo ad avere gli stessi brillanti risultati nella competizione femminile internazionale, l’EGMO (European Girls’ Mathematical Olympiad), che tra l’altro presenta una gerarchia dei paesi molto diversa da quelli delle IMO, con i piazzamenti migliori negli ultimi anni da parte dell’Ucraina che, invece, non raggiunge gli stessi risultati alle IMO. Ad ogni modo la gara femminile è abbastanza giovane e quindi anche la preparazione della squadra italiana è ancora agli inizi e va ancora perfezionata per raggiungere risultati migliori. Va sottolineato che stiamo parlando comunque di giochi matematici: è obiettivo di tutti migliorare la performance dell’Italia, ma non è una sconfitta di nessuno se la squadra italiana arriva decima anziché sesta! Le Olimpiadi sono una grande festa e chi partecipa non torna mai indietro scontento di esserci andato, a prescindere dal risultato ottenuto.

Il logo delle IMO (sinistra) e delle EGMO (destra)

D. A proposito di EGMO, nel 2018 si sono tenute in Italia, per l’esattezza a Firenze. Pensi che ci potrà essere l’opportunità di tenere nel nostro paese le IMO che, come molti sanno, non si sono mai tenute in Italia?

R. Domanda interessante! Non esito a definirmi il più grande sostenitore dell’organizzazione delle Olimpiadi internazionali in Italia nei prossimi anni. Si tratta di una manifestazione la cui grandezza, in termini numerici, è aumentata nel tempo. Parliamo di più di cento nazioni, quindi almeno 700 concorrenti, a cui aggiungere gli accompagnatori, i correttori, gli organizzatori per un totale di circa un migliaio di persone. E’ chiaro che è necessario trovare dei finanziatori generosi. In alcuni paesi dove si sono tenute le IMO il principale finanziatore era lo Stato, in altri sono stati degli sponsor privati, o talvolta è stata adottata una forma mista. Una volta trovato uno o più finanziatori, credo che l’organizzazione di tale manifestazione in Italia sia possibile. Nel 2018 direi che è andato tutto bene; abbiamo ricevuto un cospicuo finanziamento ministeriale, abbiamo avuto numerosi collaboratori, c’è stato tanto entusiasmo e chi ha dato una mano nell’organizzazione, anche se in forma volontaria, è rimasto contento, come sono rimasti contenti i partecipanti. Dunque non è impensabile organizzare le IMO in futuro da noi, ma teniamo presente che per proporsi quale nazione organizzatrice è necessario dichiararlo con almeno 3-4 anni di anticipo. Trattandosi di un progetto a medio – lungo termine, la certezza del finanziamento è fondamentale e quindi finora non è stato possibile realizzarlo. Noi comunque siamo pronti.

D. Quale valenza didattica ritieni possano rivestire le gare matematiche nel percorso di coloro che vi partecipano?

R. Coloro che partecipano alle gare, in particolare coloro che superano la fase di istituto, di solito sono studenti con buone capacità matematiche e come tali non hanno particolare bisogno di aiuti o stimoli nel loro percorso scolastico. Quello che secondo me “porta a casa” uno studente che si avvicina alle gare è la capacità di non rimanere fermo davanti a un problema, ma di voler tentare di seguire delle strade per risolverlo. Il ragionamento è lo strumento fondamentale nella risoluzione di un qualunque problema e chi partecipa alle gare è spinto a fare qualcosa, assumendo un approccio forse più attivo rispetto all’alunno medio, il quale potrebbe adagiarsi talvolta sull’esecuzione di compiti e procedure imparate piuttosto che sulla ricerca attiva di una strategia. Inoltre chi prende parte alle gare comprende meglio il significato di dimostrazione, che cos’è, come si scrive e quando un’argomentazione è veramente una dimostrazione o meno. Uno studente che veramente vuole fare bene in gara è spinto ad assicurarsi che il suo ragionamento funzioni e quindi non si accontenta di una generica spiegazione, ma vuole mostrare al correttore la forza, l’efficacia e la validità della sua argomentazione, ponendosi domande e perseguendo la ricerca della soluzione con determinazione.

Da un punto di vista dei contenuti, le materie delle Olimpiadi includono buona parte della matematica che si fa a scuola, ma trattano anche argomenti extracurriculari. In ogni caso ciò che resta a mio avviso non sono tanto le nozioni, quanto l’approccio e il modo di affrontare la matematica, e la consapevolezza che con la matematica ci si può anche divertire.

D. Per concludere, che suggerimento vorresti dare a un partecipante alle Olimpiadi “alle prime armi”?

Va detto che un partecipante al giorno d’oggi trova con facilità delle comunità di pari all’interno delle quali confrontarsi, fare domande, esprimere dubbi o cercare risposte. Tra tutti, ricordo il Forum delle Olimpiadi (http://www.oliforum.it/), ma ci sono moltissimi social dove trovare informazioni. Frequentare questi canali è senza dubbio un ottimo approccio strategico.

Risolvere problemi, eventualmente delle gare passate, è un ottimo modo di procedere, ma vanno affrontati con gradualità. Non è possibile pensare di iniziare a risolvere problemi, ad esempio, di livello internazionale. Non perché siano sempre impossibili: alcuni saranno anche risolvibili con mezzi relativamente semplici, però la probabilità di rimanere ore a pensarci e uscirne frustrati è abbastanza alta. Volendo fare un parallelismo, l’allenamento olimpico è come quello sportivo: si comincia con obiettivi di poco sopra il nostro livello, quindi comunque raggiungibili, e poi col tempo si migliora.

Ultimo, ma non per importanza, è il fatto di essere guidati dal divertimento e dalla voglia di fare cose belle. Se ci si rende conto che risolvere esercizi delle gare non è motivo di divertimento, non bisogna escludere l’idea di prendersi una pausa oppure cercare un approccio diverso. Va bene fare esercizi e leggere dei testi di preparazione, ma deve essere un momento piacevole e mai un compito pesante. In questo modo sia se in gara si dovesse andare bene, sia se dovesse andare male, il tempo dedicato alla preparazione sarà comunque tempo ben speso.

D. Un grazie di cuore a te, a tutta la Commissione e tutti coloro che a vario titolo lavorano per le gare e un forte in bocca al lupo ai ragazzi che si divertono a fare le Olimpiadi!

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