Pubblichiamo questo contributo di Mario Castellana, già docente di Filosofia della scienza presso l’Università del Salento.
Tra le opere di Castellana segnaliamo:
- “Federigo Enriques e la «Nuova epistemologia»”;
- “Cuori pensanti in filosofia della scienza: Hélène Metzger, Simone Weil, Suzanne Bachelard e Barbara McClintock“;
- “Razionalismi senza dogmi. Per una epistemologia della fisica-matematica”.

Suzanne Bachelard con il padre Gaston
Per una teoria del presentimento nelle scienze: il contributo di Suzanne Bachelard
La filosofia della scienza venuta a maturazione nel corso del ‘900 ha prodotto, com’è noto, una notevole letteratura critica sulla struttura concettuale delle scienze con diverse tradizioni di ricerca sino a presentarsi come uno dei settori più originali del pensiero filosofico, tale da richiedere una specifica storia dell’intero patrimonio epistemologico venuto a formarsi al suo interno; sono sorti così a partire dagli ultimi anni del secolo scorso diversi percorsi di storia della filosofia della scienza con l’obiettivo di offrire delle ricostruzioni critiche e più oggettive dei suoi momenti più significativi. Ma come ogni autentico impegno di ordine storiografico ha anche delle intrinseche finalità più di natura teoretica dirette a far meglio capire la pluralità di ottiche con cui si può guardare al continente ‘scienza’ attraverso approcci e metodologie non riducibili solo a quelli messi in atto da una singola anche se pur importante e consolidata tradizione di ricerca epistemologica; guardare criticamente ad altre significa, pertanto, fare i conti con ulteriori strumenti scaturiti dall’analisi delle diverse modalità di acquisizione delle conoscenze scientifiche e di conseguenza arricchire di altre visioni il nostro ‘arsenale epistemologico-ermeneutico’, come lo ha chiamato qualche tempo fa Dario Antiseri.

Gaston Bachelard (fonte wikipedia)
Ed un altro non secondario risultato è stato quello di far comprendere meglio la piena dimensione umanistica della scienza e di inserirla con la sua specificità di ordine cognitivo nell’ambito del pensiero più in generale e di eliminare da essa, nello stesso tempo, quelle visioni scientiste, riduttive e soprattutto astoriche elaborate da filosofie ‘tendenziose’, ‘dimissionarie’ e ‘dubbie’, nel senso indicatoci quasi all’unisono da figure pur appartenenti a mondi diversi come Pavel Florenskij, Albert Lautman e Karl Popper, incapaci di dar conto della sua complessità storico-concettuale. E questo è stato uno dei non minori meriti delle cosiddette epistemologie storiche che, pur entrate in scena negli anni ’60 con i fondamentali lavori di Kuhn e Lakatos, hanno trovato in Francia sin dai primi anni del ‘900 diverse espressioni sino a trovare una più precisa fisionomia, soprattutto, nelle opere di Gaston Bachelard (1884-1962); i suoi studi sulle matematiche, dalle geometrie non-euclidee di Riemann alla teoria dei gruppi di Hermann Weyl, e sulle prime formulazioni della meccanica quantistica hanno messo sul tappeto altre problematiche, come l’importante problematica degli ‘ostacoli epistemologici’ e la strategica idea di pensée des sciences, la scienza come ‘pensiero’ tout court, non a caso come ha detto Dominique Lecourt qualche anno fa, ‘il grande dimenticato sia dello scientismo che dell’antiscienza’.
All’interno del successivo panorama francese, con l’introdurvi una ulteriore ottica, si è distinta Suzanne Bachelard (1920-2007), figlia di Bachelard, che non ha prodotto come il padre una cospicua serie di lavori dedicati alla filosofia della scienza, ma ha lasciato una sola opera organica La conscience de rationalité. Étude phénoménologique sur la physique mathématique, scritta nel 1958, e un insieme di altri saggi dedicati alla storia della scienza e della fisica in particolar modo. L’obiettivo sulla scia del padre è stato quello di chiarire i “caratteri della conoscenza apodittica” nel “porsi sul terreno mobile della cultura scientifica” per cercare di cogliere quella che chiama “la coscienza di razionalità” o meglio “il potere di assimilazione razionale della scienza” (p. 1); però questo già la porta al di là del percorso paterno anche perché nello stesso tempo ha accompagnato il suo percorso di ricerca con un costante confronto critico col pensiero di Edmund Husserl, di cui ha tradotto in francese Formale und transzendentale Logik, come risulta nell’opera La logique de Husserl del 1957.
Questi ultimi studi, che ad una prima lettura possono sembrare collaterali rispetto alle ricerche storico-epistemologiche, da una parte hanno dato un contributo non secondario alla conoscenza di questa figura, anche se poi la sua lettura si è discostata dalle interpretazioni più in voga negli anni ’60, quelle provenienti dalla letteratura esistenzialistica, con l’aprire di fatto un’altra linea interpretativa che poi negli anni’ 70-’80, grazie alla conoscenza degli inediti presenti nell’Archivio husserliano, è stata seguita da altri studiosi. Dall’altro hanno permesso al suo progetto di ricerca nell’ambito della filosofia e della storia delle scienze di aggiungere un tassello di natura teorica rispetto alle più note posizioni del padre sino al raggiungimento di una certa autonomia; ma è bene ribadire innanzitutto che il suo percorso si situa teoreticamente sui risultati ed i presupposti delle opere paterne a partire dall’interesse strategico per la fisica matematica e la sua storia, che è stato centrale e costante dalla prima opera di Gaston Bachelard, l’Essai sur la connaissance approchée del 1928 sino alle ultime opere del cosiddetto “secondo periodo epistemologico” e cioè Le Rationalisme appliqué (1949), L’activité rationaliste de la physique contemporaine (1951) e Le Matérialisme rationnel (1953).
L’unica ed organica opera di Suzanne Bachelard, La conscience de rationalité, risente fortemente dei risultati degli esiti del pensiero del padre e nello stesso tempo traccia le linee di una “epistemologia fenomenologica”(p. 7) non perché affronta un tema tipico di tale filone, come sembra indicare lo stesso titolo, ma perché si ritiene necessario lavorare ad un approccio più consono alla complessità storico-teoretica della scienza, come del resto avevano indicato quasi all’unisono il padre e altri filosofi della scienza francesi come Jean Cavaillès (1903-1944) e Albert Lautman (1909-1944), impegnati già negli anni ’30 a gettare le basi di una prospettiva diversa da quella che si stava imponendo con l’importante orientamento neopositivista. È da tenere presente che il dibattito si concentrava sulla natura, sul carattere conoscitivo, sulla specificità delle matematiche e sul loro rapporto con le teorie fisiche; l’esito di carattere analitico di tale ricca letteratura veniva giudicato in Francia riduttivo e unilaterale, come anche negli stessi anni da parte di alcuni matematici di altre aree, come ad esempio Heyting e Hermann Weyl, tale da portare poi negli anni ’50 alla necessità di scandagliare diversamente il mondo delle matematiche e della scienza in generale, esigenza questa avvertita su più fronti che troverà prima in Karl Popper e poi nelle cosiddette epistemologie storiche anglosassoni una più organica espressione.
I filosofi della scienza di area francofona già nel corso del primo Novecento, a partire da Gaston Bachelard in particolar modo, avevano già elaborato le linee portanti di una organica visione non analitica delle matematiche perché si erano criticamente confrontati con i lavori di Bernhard Riemann e di Felix Klein prima e con i risultati poi conseguiti da Hermann Weyl, lavori che evidenziavano lo stretto rapporto fra conoscenza matematica e reale fisico da indagare con strumenti più appropriati al di là delle pur importanti procedure logico-formali avanzate dai protagonisti del Circolo di Vienna e da Carnap in particolar modo. Ma ciò che veniva messo più in evidenza era l’idea che la matematica non può essere ritenuta un linguaggio amorfo e neutrale rispetto alle teorie fisiche, o solo uno “strumento perfezionato disponibile in ogni momento”, né si poteva parlare di una sua semplice applicazione alla fisica; essa è considerata sulla scia di Riemann connaissance polyvalente vera e propria, è un chemin (p. 33) o un viaggio in un altro territorio quasi con le stesse parole di Amalie Emmy Noether; per questo, sulla scia di altre figure del panorama francese di quegli anni e del padre che più di altri aveva imperniato il suo percorso epistemologico sull’idea di raison mathématique, Suzanne Bachelard è dell’avviso che con le matematiche si pensano i livelli del reale con l’astrazione, quasi in avanscoperta; e il suo percorso di ricerca viene ad inserirsi in tale contesto di quasi insofferenza verso certe esiti dell’orientamento neopositivista, già denunciati dal matematico Heyting sul finire degli anni ’30 che non caso parlava di esiti totalitari circa la riduzione della matematica a linguaggio. Nei primi anni ’50 nell’area francofona, sulla scia dei lavori di Gaston Bachelard e Albert Lautman, nascono diversi percorsi di ricerca, alcuni poco noti come quello di Ferdinand Gonseth e altri più noti come l’epistemologia genetica di Jean Piaget, che cercano delle strade diverse e alternative alla filosofia della scienza Standard.
L’”epistemologia fenomenologica” proposta da Suzanne Bachelard non è pertanto un caso isolato, ma si inserisce in un contesto più ampio anche perché trova anche un precedente nei lavori di fine anni ’30 di filosofia della matematica di Jean Cavaillès, figura insieme a quella di Lautman in questi ultimissimi anni al centro di una rinnovato interesse; viene a costituire uno di questi percorsi ancora poco scandagliati dalla ormai ampia letteratura critica sulla storia della filosofia della scienza dell’intero Novecento. Ma tale scelta da parte della Bachelard, come di altri, è determinata dalla necessità di aprire un varco nella rigida visione analitica delle matematiche per seguirne l’interna dinamicità e per comprendere meglio l’intrinseca dimensione storica, aspetto questo che nella pur ricca letteratura sulla matematica come scienza non ha trovato un’appropriata e specifica considerazione se non appunto nell’area francese a partire dall’analisi della struttura concettuale delle geometrie non euclidee; per questo motivo ella si situa con la sua prospettiva che è insieme storica ed epistemologica all’interno di tale tradizione di ricerca, dove il metodo fenomenologico è interpellato in funzione della capacità di offrire una visione più adeguata della struttura teoretica della conoscenza scientifica e della sua storia. Poi non è secondario il fatto che esso può offrire anche un valido strumento di natura ermeneutica circa le diverse modalità nel e per fare storiografia delle scienze, accusata di eccessivo empirismo proprio per la mancanza di una organica riflessione sulla sua natura e bisognosa pertanto di avanzare nelle concrete ricerche con una propria immagine della scienza che, presa a prestito dalla filosofia della scienza in voga, a volte può rivelarsi più un ostacolo che un aiuto, come viene detto nel denso saggio Épistémologie et histoire del sciences del 1968.
I lavori storico-epistemologici della Bachelard procedono in tal senso, ricchi nello stesso tempo dei risultati paterni e della prospettiva fenomenologica, che coniugati euristicamente fra di loro le permettono di parlare di una vera e propria conscience de rationalité nello sviluppo delle scienze; in questo modo ella prende una netta posizione contro diverse tradizioni di pensiero ancorate all’idea che conscience e rationalité procedono separatamente con l’elidersi quasi fra di loro o ad essere ritenute alternative, col cadere da una parte nello psicologismo e dall’altra in un rigido razionalismo logico sino a diventare queste posizioni rispettivamente sinonimi di non scienza o pseudoscienza e di scienza vera ed assoluta. Un primo approccio storico di tipo fenomenologico ne segue invece i diversi percorsi costituenti, e ne ridimensiona le implicite visioni assolutistiche in quanto frutto del fatto che non è stata data la giusta attenzione ai processi interni della conoscenza ed ai meccanismi non solo di natura cognitiva che essa innesca, alla storia della conoscenza tout court come impresa costante dell’attività umana e come tale ricca di diverse articolazioni. La storia delle scienze in generale e della fisica matematica in particolare è ritenuta dalla Bachelard invece il luogo privilegiato dell’impresa cognitiva dove le diverse facoltà dell’uomo emergono con una precisa fisionomia integrandosi e completandosi a vicenda; conscience e rationalité non sono pertanto due isole di Laputa che spuntano all’improvviso l’una indipendente dall’altra, come due demiurghi che modellano la realtà a loro piacimento. Esse sono il precipitato storico della volontà dell’uomo ed incarnano la sua capacità di costruire faticosamente il vero o meglio quelle che il padre chiamava, nell’ultima pagina della sua ultima opera di carattere epistemologico del 1953 Le matérialisme rationnel, “leggi veridiche… che rendono verità di diritto quelle che sono verità di fatto”.
Tale percorso di conquista di leggi sempre più veridiche è attraversato da diverse vittorie e da molte sconfitte che solo una storia pluriarticolata sul terreno metodologico ed una immagine della scienza non riduttiva, e non imperniata pertanto su uno solo pur importante modello di razionalità scientifica come è avvenuto spesso nel corso del primo Novecento soprattutto, vengono ritenute in grado di esplicitarne meglio le dinamiche; ma questo percorso per la Bachelard, resosi possibile grazie alla sempre maggiore comprensione delle dinamiche del mondo scientifico e delle sue plurilogiche, permette alle facoltà umane come la conscience e la rationalité di emergere, di costituirsi e di potenziarsi sul terreno teoretico reciprocamente in quanto i progressi e gli stessi fallimenti dell’una incidono notevolmente sulla struttura e l’evoluzione dell’altra. Ella perviene così attraverso questo autonomo percorso di ricerca, come negli anni ’20 e ’30 prima Léon Brunschvicg e poi il padre, a sottolineare la dimensione lato sensu “spirituale” della scienza per la sua continua tensione verso il vero e per il fatto che in essa vengono a trovare spazio in maniera continua i kantiani “luoghi dell’intelletto”; il difficile ma necessario interagire criticamente con tali luoghi è ritenuto il compito primario dello storico della scienza e non solo e dell’epistemologo da scandagliare con opportune modalità. Tutto ciò contribuisce alla costituzione delle strutture di fondo e alla formation de l’esprit humain per la capacità di allargare continuamente gli orizzonti di razionalità e di produrre diverse prospettive nell’indagare gli stessi ‘horizons du réel’ a dirla con un epistemologo svizzero Ferdinand Gonseth, aspetto questo che l’epistemologia francofona del ‘900 nel suo complesso ha avuto il merito, più di altre tradizioni di filosofia della scienza, di evidenziare nelle diverse articolazioni.
Il metodo fenomenologico è invocato per individuare i momenti-chiave delle scienze, per capire meglio la struttura del formale e per avere una idea del ‘logico’ al di là dell’impostazione data dal tournant analitico; e per questo per la Bachelard esso va integrato da una prospettiva orientata in senso più epistemologico che permette di evidenziare i processi di concettualizzazione progressiva ed i “caratteri della conoscenza apodittica”. La fisica matematica è pertanto considerata per la sua ricca storia conoscitiva un vero e proprio laboratorio di pensiero in quanto permette una continua assimilazione della conscience de rationalité da cogliere fenomenologicamente:
La scienza ci propone una costante esperienza del razionale che ci mette davanti incessantemente a nuovi oggetti di razionalità… [che] agiscono in profondità sulla coscienza di razionalità. Il razionale aumenta col riorganizzarsi, col prendere nuovi fondamenti a partire dalle basi allargate man mano che vengono a costituirsi strutture razionali sempre più complesse… La fisica matematica è una manifestazione eminente di una discorsività non elementare; essa rivela attraverso la costituzione razionale di risultati empirici la specificità della propria attitudine alla razionalità. A partire dallo studio della fisica matematica si può dunque, crediamo, delineare una fenomenologia della conoscenza discorsiva e della coscienza di razionalità ( pp. 2-3 e p. 178).
Seguire i concetti costitutivi di tale disciplina sul terreno concreto del suo farsi è il compito di questa attitudine di carattere fenomenologico che deve prendere il discorso epistemologico per liberarsi dalla tentazione di cercare fondamenti assoluti o esterni col collocarsi all’interno delle “diverse tappe della sua organizzazione come sapere”; ma la fisica matematica, a differenza della matematica pura che ha a che fare solo con difficoltà interne ai suoi processi di generalizzazione per “deficienza” di reale, arriva a dare una evidenza razionale e dimostrativa a dei fatti rivelati dall’esperienza ed essa “rappresenta una vera e propria inversione di tendenza” in quanto “realizza una conversione dell’a posteriori nell’a priori” (p. 12). La Bachelard sulla scia del padre è impegnata nel delineare lo specifico statuto epistemico della fisica matematica, che non è ritenuta intermediaria fra la fisica e la matematica, né una semplice applicazione della matematica alla fisica come nelle concezioni convenzionaliste; essa pertanto è una scienza autonoma ed unitaria ed è necessario per questo liberarsi da quello che chiama “espressionismo matematico…, la grande tentazione di dire che nella fisica matematica, la matematica esprime la fisica” (p. 17), tipico delle visioni ingenuamente realiste e corrispondentiste. Ella ripercorre le tappe salienti del pensiero fisico-matematico da Lamé a Poisson, da Thomson a Garett Birkhoff, da Maxwell ad Einstein per dimostrarne l’impianto unitario attraverso il ruolo delle equazioni differenziali sino a parlare di vera e propria “creatività” da parte del fisico-matematico, come nel caso dell’introduzione del concetto di tensore:
Il fisico matematico è creatore sia nel campo matematico e sia nel campo fisico. Se è creatore nel campo dell’esperienza, lo è perché è nel campo matematico; ed è creatore in quest’ultimo campo in parte perché mira alla spiegazione dell’esperienza. Solo a lei la fisica matematica offre un arsenale di obiezioni contro la tesi scettica del puro espressionismo delle matematiche… L’introduzione del concetto di tensore segna un nuovo punto di partenza per la fisica matematica… La rappresentazione tensoriale non si limita semplicemente ad offrire una soluzione ingegnosa che permette di tradurre e di riassumere elegantemente delle proprietà matematiche fondamentali; ci si trova di fronte ad una rappresentazione che porta ad una nuova modalità di pensiero ( p. 19 e p. 60).
Così la Bachelard offre anche rispetto al padre una visione storico-concettuale più organica della fisica matematica la cui storia viene studiata non solo ai suoi inizi ma allargata all’Ottocento e alle complesse vicende che l’hanno caratterizzata nel Novecento con le sue sostanziali differenze; per questa parla di “concezione non-elementare della conoscenza discorsiva” da essa alimentata a più livelli per la sua specifica dialettica messa in atto fra astratto e concreto. Per la sua organizzazione razionale è sempre oggetto di ristrutturazioni continue con l’apportare modificazioni sostanziali alle categorie concettuali, divenendo un particolare modello di attività conoscitiva ben chiarito da Kant nella sua teoria dello schematismo trascendentale ritenuto fondamentalmente la conscience de rationalité della meccanica razionale. Ma nelle pagine della sua opera parlare di conscience de rationalité significa contestualmente parlare di conscience d’historicité in quanto le forme astratte, mediate, matematizzate sono sempre il frutto dello stretto rapporto col reale che più viene conosciuto tramite queste stesse mediazioni più si rivela ricco di altre articolazioni producendo ulteriori “aggiustamenti fra il reale ed il teorico”, fra “il concreto e l’astratto”; il metodo fenomenologico, secondo come lo intende la Bachelard, serve a non isolare il momento astratto da quello reale, a non cedere alle tentazioni fondazionaliste e alle istanze aprioristiche sempre in agguato, a scandire i caratteri regionali, discorsivi, storici ed applicativi della fisica matematica i cui sforzi sono tesi all’intelligibilità e alla comprensione del reale tramite il fatto che essa è uno “strumento epistemologico sempre crescente che ci rivela la potenza della discorsività” (p. 210).
I risultati di tali sforzi irrobustiscono i processi conoscitivi veri e propri e dato che “l’attività fondamentale della fisica matematica è una attività di dimostrazione fa tutt’uno con le finalità del suo sforzo di conoscenza”; e farne la storia aiuta ad “abbozzare una fenomenologia della coscienza di razionalità” (p. 33) che fa i conti da una parte col reale e dall’altra con la intrinseca storicità non cumulativa, ma caratterizzata in termini kuhniani da una continua e feconda tensione fra il passato ed il futuro. Ma tale tensione verso il continuo superamento delle teorie date, che nei suoi scritti di metodologia della storia delle scienze Suzanne Bachelard chiama “teleologia” considerata una componente “innegabile della conoscenza scientifica”, viene prima individuata nei lavori di Lamé che “sono all’avanguardia nel loro tempo” (p. 192); ed essa viene ritenuta presente con tutta la sua forza euristica poi soprattutto nella fondamentale opera di Hermann Grassmann, Die lineale Ausdehungslehre (1844). Nell’introduzione di quest’opera si parla, infatti, di vero e proprio ‘presentimento’ (Ahnung) che, pur sembrando estraneo nel campo delle matematiche, vi gioca un ruolo non secondario nel senso che senza di esso sarebbe quasi impossibile concepire una nuova idea. Tale elemento teleologico si rafforza nel senso che nel far dialogare geometria ed algebra porta al ‘presentimento di una nuova scienza’ e allo strategico fatto che un sistema possa trasformarsi in un altro; in La logique de Husserl Suzanne Bachelard parla della sua funzione come una idea regolatrice che si comporta come una “forza motivante” nel passare da uno stadio statico ad uno stato dinamico sino a parlare di “assiomatica arborescente” (pp. 111-112), come del resto è avvenuto nel programma di Hilbert.
Il presentimento, di per sé difficile da interpretare in quanto oscuro, per Suzanne Bachelard se viene tenuto nella giusta considerazione e coltivato adeguatamente come l’hanno tenuto presente Grassmann e altre figure nell’ambito della fisica matematica come Lamé e Hamilton, ha la non comune capacità di far cogliere sia pure in maniera implicita ed incompleta l’intero percorso non certamente lineare di un nuovo evento di verità, per usare una espressione più recente di Alain Badiou, e di incominciare a fare i conti con la sua esistenza; mette in atto una non comune conscience de rationalité propria, consistente nell’avere “la capacità di vedere più lontano e di avere una visione d’insieme” propulsiva (p. 120), una volta messa fra parentesi il sapere precedente. Questa necessità interna alla conoscenza scientifica deve essere ben compresa prima sul terreno epistemologico per poi essere individuata dallo storico delle scienze in generale e dallo storico delle matematiche soprattutto per la presunta dimensione soprastorica assegnata loro; ecco perché nelle pagine di La conscience de rationalité vengono tracciate le basi per una teoria del presentimento nel mondo della scienza ritenuto strategico per pensare sia pure in maniera germinale, come affermava il padre con altre parole, l’impensato, il novum che viene a rompere il campo di una razionalità racchiusa nel suo insieme coerente e completo.
Il presentimento poi porta Suzanne Bachelard ad introdurre un altro concetto strategico per il pensiero scientifico e per capirne le dinamiche, come quello giocato dall’altrimenti; come per la maggior parte dei filosofi della scienza francesi del primo Novecento, diventa un obbligo prioritario inserire tale problematica all’interno delle matematiche per capirne la particolare natura, il modo di produrre ‘verità’ e la loro conseguente e specifica struttura storica anche se sembrano una scienza senza correzioni e “senza rotture” per la continuità e regolarità dei procedimenti messi in atto; esse pongono in effetti un problema cruciale ed unico nello stesso tempo:
Se le verità matematiche possono essere qualificate come atemporali, il loro integrarsi nella teoria non è astorico. Se i risultati matematici nel corso del tempo sono sempre rimasti un acquisto permanente, le scienze matematiche non ne hanno fatto un museo… Lo sviluppo delle matematiche non si riduce ad una crescita lineare dei risultati, ad un perfezionamento regolare delle tecniche di metodo. È anche ridefinizione dei concetti e soprattutto cambiamento possibile nella produzione di teorie. In definitiva, non si ricava dal più, ma dall’altrimenti (p. 118).
La fisica matematica ha la specificità di rendere le ‘verità matematiche’ operativamente valide in vari contesti di ricerca e di integrarle in prospettive teoriche particolari che portano spesso alla ridefinizione dei concetti basilari; in questi processi esse acquistano in pieno la dimensione storica, come il tensore e lo spazio curvo ad esempio, pur conservando la propria specificità oltre a manifestare la loro capacità euristica. Compito dello storico-epistemologo per la Bachelard è situarsi criticamente in tali processi di integrazione in casi concreti, dove emergono impulsi esterni e agisce l’altrimenti che si rivela essere una risorsa col provocare cambiamenti di rotta concettuali; tali processi di integrazione sono in termini popperiani veri e propri luoghi di crescita della conoscenza in quanto vengono ad arricchire di nuovi contenuti lo scenario teorico secondo una logica interna “teleologica”, a sua volta frutto della conscience de rationalité resa più forte dalla concomitante ed imprescindibile conscience d’historicité. Storia ed epistemologia della fisica matematica, pertanto, hanno il compito di far venire alla luce tale duplice conscience, di salvaguardare l’esperienza del razionale per liberarlo dalle tentazioni dei falsi assoluti. L’epistemologia fenomenologica della fisica matematica secondo la Bachelard è un aiuto orientato proprio in tal senso e nello stesso tempo è un valido supporto per considerare questa scienza, per i suoi livelli di razionalità raggiunti sul terreno storico, come una vera e propria “istituzione razionale”; in tal modo la storia delle scienze è insieme storia delle istanze conoscitive proprie di ogni atto teorico e delle necessarie messe a punto successive, vere e proprie tappe verso la razionalità: “la storia delle scienze… è la storia delle istituzioni razionali della conoscenza” (p. 8).
La Bachelard così dà il suo personale contributo alla chiarificazione metodologica della storiografia delle scienze, alla necessità che tale disciplina elabori autonomamente le sue ‘chiavi di intelligibilità’ utili per fare un giusto “filtraggio degli interessi” che albergano in ogni tipo di ricerca soprattutto quando si prendono in considerazione quelle che chiama “le forme passate di quelle globalità teoriche attraverso documenti sporadici ed eterogenei” (p. 126 e p. 118); se inevitabilmente lo storico ha di fronte il presente scientifico, non di meno lo deve mettere fra parentesi se vuole cogliere il passato e restituirgli il peso specifico sempre con la coscienza critica che il suo sforzo di comprensione è sempre limitato ed è in grado solo di rappresentare un frammento di tali “globalità teoriche”, in ogni momento poi soggetto ad ulteriori revisioni anche grazie all’inevitabile confronto con altre interpretazioni. Rispetto al padre che, com’è noto, era quasi tutto votato alla profonda comprensione del presente scientifico per il ritardo strutturale della riflessione filosofica dell’epoca, ella in maniera equilibrata tende a sottolineare la non-esclusività dell’elemento epistemologico che può fare della contemporaneità della scienza un ostacolo non di poco conto alla corretta interpretazione dei dati disponibili; e se ha introdotto nella vasta e complessa letteratura sulla logica della scoperta scientifica temi e problemi come il presentimento e l’altrimenti, però sempre setacciati con una sensibilità storica non comune nel concreto svolgersi del lavoro matematico e fisico-matematico, lo ha fatto per liberarli da visioni psicologistiche sempre in agguato all’interno di un discorso incentrato sull’assimilazione del razionale.
Nello stesso tempo, però, per il lavoro storiografico la preoccupazione epistemologica è ritenuta importante perché, lungi dall’indicare un modello rigido di riferimento, aiuta ad individuare meglio le specifiche situazioni conoscitive e la loro unicità: “l’istanza epistemologica cerca di dare alle nozioni, alle teorie e ai metodi quello che potremmo chiamare il loro peso epistemologico”. In più avendo essa stessa incorporato fra i suoi elementi fondanti la dimensione storica, rende la metodologia storiografica più cosciente del fatto che “la storia delle scienze deve sempre costruire il suo oggetto, poiché l’oggetto immediato che trova davanti a sé è sempre un oggetto incompiuto… La storia della scienza è coscienza della deformazione dei concetti e del relativo cambiamento dei metodi” (pp. 127-128). Questi risultati a cui è pervenuta la Bachelard già sul finire degli anni ’50 grazie al metodo fenomenologico, pur inseriti in quel contesto più generale caratterizzato dalla revisione dell’immagine neopositivista della scienza, sono approdati al riconoscimento del peso epistemologico della storia della scienza vista nella sua autonomia teorica ed in grado di produrre come tale una implicita epistemologia che a sua volta non può fare a meno di confrontarsi con le problematiche tipiche della stessa filosofia della scienza.
Riteniamo che il pensiero di Suzanne Bachelard meriti di far parte integrante della filosofia della scienza del ‘900 con l’occupare un proprio posto in quanto lo ha arricchito di altre articolazioni concettuali certamente frutto anche del fatto che sia una figura femminile; e anche se il suo nome va tenuto presente accanto a quello di altre protagoniste impegnate in tale ambito di indagine, va distinto da quelle figure che nel corso della seconda metà del ‘900 hanno dato vita alla feminist epistemology, importante movimento di pensiero epistemologico nato con altre finalità e ricco di altre prospettive di ricerca.
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