Siamo molto onorati di pubblicare questa intervista ad  Alfio Quarteroni, professore presso  il Politecnico di Milano e l’EPFL di Losanna.

In particolare in questa intervista si parlerà del suo recente libro “Algoritmi per un mondo nuovo”.

Il libro è disponibile per l’acquisto per esempio qui e qui.

 


Com’è nata l’idea di scrivere il libro “Algoritmi per un nuovo mondo”?

L’idea è nata per caso, constatando che si parla moltissimo di intelligenza artificiale e di algoritmi che hanno ormai, nell’immaginario collettivo, una capacità quasi sovrumana di risolvere problemi, ma anche di generare inquietudini. Ho quindi pensato che fosse opportuno fare un po’ di chiarezza esponendo il mio pensiero nel  modo più semplice possibile in modo tale che potesse giungere ad un pubblico più vasto possibile.

Per chi è pensato il testo?

Il testo è appunto pensato non soltanto per gli addetti ai lavori ma vorrei quasi dire per l’uomo della strada,  che subisce un bombardamento mediatico senza peraltro disporre di elementi di giudizio per distinguere il vero dal falso, e soprattutto quanto affermato senza alcuna cognizione di causa o addirittura allo scopo di impressionare negativamente.

Il primo capitolo è intitolato “Epidemia” e contiene una spiegazione dei modelli matematici che sono alla base di quelli utilizzati nel caso della pandemia da Covid-19. Qual è stato secondo lei il ruolo che questi modelli matematici hanno svolto nel  gestire  la pandemia?

La pandemia è stata una incredibile palestra di generazione di dati. Ogni giorno veniamo bombardati dai dati. Il bollettino delle 17 ci dà dati nuovi, sovente acquisiti in maniera non coordinata e spesso con criteri eterogenei.   In questo contesto, è difficile trovare una chiave descrittiva che permetta di capire rapidamente come l’epidemia stia evolvendo. Penso che la matematica abbia un ruolo fondamentale in questo: nell’aiutarci a leggere meglio i dati, interpretarli meglio, fare una fotografia più realistica della situazione ma anche usare questi dati in una logica di alimentazione di modelli matematici predittivi che possano meglio spiegare a che punto siamo e come verosimilmente sta procedendo la diffusione della pandemia

Pensa che da parte dell’opinione pubblica e dei decisori politici ci sia stata una piena comprensione delle potenzialità e dei limiti di questi modelli?

Sicuramente no, perché è molto difficile spiegare in termini semplici un modello matematico. E’ difficile far capire che quando si usa un modello matematico per fare previsioni non si sta semplicemente facendo una previsione sulla base di una intuizione o sulla base di una esperienza pregressa. Molto spesso abbiamo assistito a previsioni fatte sulla base di pura sensazione.  Un modello matematico cerca invece di descrivere il processo di diffusione della pandemia attraverso equazioni che naturalmente hanno tanti margini di incertezza, ma nell’ambito di questa incertezza il modello vuole fornire in maniera deterministica  informazioni sull’evoluzione della pandemia. Non solo, può anche descrivere scenari differenti corrispondenti all’implementazione di diverse misure di contenimento, prevedendo  come questi differenti scenari poi atterrino su evoluzioni diverse dell’epidemia.

Da questo punto di vista il modello può rappresentare uno strumento estremamente efficace nelle mani, di chi è chiamato a prendere responsabilmente delle decisioni,  grazie ad elementi a supporto di tipo quantitativo forniti dal modello stesso.

Nel primo capitolo lei fornisce una spiegazione particolarmente chiara di modello matematico indicando come “una macchina matematica che trasforma un input in un output, un ingresso in una uscita, relativamente ad un fenomeno che si sta osservando”. Può spiegare ai nostri lettori perché nel fare questo è essenziale che il fenomeno (sociale o naturale) deve potersi scrivere in termini matematici?

Questa è una questione importante. Cosa fa un modello matematico: descrive un processo naturale, tecnologico sociale, economico, biologico, medico e per farlo ha bisogno di equazioni che rappresentino la dinamica di questo processo.  Queste equazioni devono essere equazioni universali che non descrivono solo uno specifico processo ma tutti i processi della stessa classe.

Facciamo un esempio: quando si fanno modelli matematici per la previsione del tempo, si fanno modelli che descrivono la dinamica dell’atmosfera. Questi modelli in principio valgono per qualunque area del pianeta, ovvero  lo stesso insieme di equazioni può essere utile per fare previsioni meteorologiche in Italia, nella steppa siberiana, nel deserto africano, in Patagonia, o in qualunque altro posto. Quello che cambierà sarà la descrizione dello specifico contesto e questo avviene attraverso i dati. I dati caratterizzano il contesto, cambiano al variare del contesto, mentre le equazioni caratterizzano il processo, ovvero il fenomeno fisico, e valgono per qualunque contesto. Le equazioni del processo,  alimentate con i dati che descrivono il contesto specifico (per esempio nel caso della meteorologia il sito a cui si vuole applicare), forniranno le  soluzioni (in questo caso  la previsione meteorologica per i giorni a venire). Il trinomio dati, modello, soluzione  caratterizza  la modellistica matematica.  L’elemento pivotale di tutto questo processo è appunto il modello. Quello non cambia. I dati cambiano e ovviamente la soluzione cambia.

In modo analogo, se si realizza un modello per descrivere come si comporta il cuore umano, questo modello complicatissimo, fatto di equazioni, descriverà in principio il comportamento di un qualsiasi cuore umano. Avremo poi bisogno dei dati che caratterizzano il cuore di uno specifico individuo,  ad esempio la forma del suo cuore e alcuni dati di contesto che descrivono in quel momento la sua situazione di salute.  Le equazioni del cuore sono però universali, valendo in principio per ogni possibile individuo. 

Nel secondo capitolo parla di algoritmo come di un mediatore fra equazioni approssimate e computer. In che senso?

I modelli matematici si traducono in equazioni, equazioni così complesse che nessun matematico al mondo riesce a risolverle con carta e penna. Abbiamo bisogno della mediazione di un computer.  Non perché il computer sappia risolvere equazioni che l’uomo non sa risolvere, ma perché ci dà la possibilità di risolvere equazioni approssimate, ovvero simili ma diverse da quelle del modello di partenza. La soluzione corrispondente, ottenuta grazie al computer,  non è esatta ma ha il pregio di descriversi attraverso un algoritmo, ovvero una sequenza determinata, logica,  finita,  di passi  che un computer può affrontare. L’approssimazione permette di descrivere il problema in termini non esatti ma accurati. La soluzione ottenibile dal computer, ancorché non esatta, sarà comunque in generale accurata e vicina a quella esatta (ideale, incalcolabile).

Sempre in questo capitolo sottolinea che “molto spesso i problemi matematici difficili non si sanno risolvere “completamente”.” In che senso questo aspetto sembrerebbe smentire il luogo comune della matematica come scienza “esatta”?

E’ un po’ quello che ho spiegato prima. Il mondo matematico perfetto, ideale, luminoso, è quello in cui ogni equazione si risolve esattamente. Carta e penna.  Tuttavia, nel mondo reale succede che le equazioni siano spesso troppo difficili per poter essere risolte.  Ci si deve pertanto accontentare di una soluzione approssimata. Questo può creare a priori qualche piccolo  prurito a chi pensa che la matematica sia una scienza esatta, ma in fondo se pensiamo bene non c’è nulla al mondo che per noi sia importante in quanto esatto (ogni qualvolta ci allontaniamo dai numeri interi..). Anche quando diamo l’ora esatta, la diamo approssimata.  Se diamo l’appuntamento alle 4 del pomeriggio credo che siamo tutti d’accordo nel dire che se anziché alle quattro si arrivasse, ad esempio,  alle 3:59 e 45 secondi nessuno avrebbe niente da ridire.  Quello che è importante è la nostra percezione di esattezza e in questo senso la matematica si presta ad una mediazione finalizzata a risolvere problemi che altrimenti non sarebbero risolvibili.

Tra gli esempi di modelli matematici presentati nel capitolo, c’è quello della simulazione del sistema cardiovascolare. Può spiegare l’importanza e le difficoltà ancora presenti della sua attività di ricerca in questo campo?

Questo è un campo enorme. E’ uno degli esempi in cui la matematica diventa molto utile, assume un ruolo fondamentale nella ricerca medica. Partiamo intanto dal presupposto: perché ci si interessa a questa problematica? Perché le malattie del sistema cardiovascolare hanno un grande impatto nella nostra società. Sono responsabili di oltre il 30% di tutte le morti naturali nel mondo occidentale. L’idea è capire se attraverso i modelli matematici si riesce a dare una descrizione realistica e quantitativa dei processi fisici che avvengono nel nostro corpo, in particolare di cosa succede quando il cuore pompa il sangue nel nostro sistema circolatorio e, qualora  vi sia una patologia,  che cosa si può fare in ambito terapeutico, o forse addirittura per migliorare un eventuale intervento chirurgico.

Il cuore è una macchina fantastica ma ipercomplessa dove tanti processi coesistono. C’è un campo elettrico che determina il potenziale elettrico che si propaga nel cuore, i singoli cardiomiofilamenti vengono attivati elettricamente e questo dà luogo ad un loro allungamento e accorciamento,  determinando in ultima analisi la contrazione e dilatazione del cuore. All’interno del cuore ci sono quattro camere, due atri e due ventricoli, e vogliamo descrivere la fluidodinamica del sangue al loro interno nonché la dinamica di apertura e chiusura sincronizzata delle quattro valvole cardiache. Sono tutti processi che vorremmo descrivere con le equazioni. Se ci riuscissimo avremmo poi un cuore matematico, non un cuore artificiale fisico, ma un cuore virtuale fatto solo di equazioni. Se le  sapessimo risolvere avremmo la possibilità di riprodurre su computer la dinamica cardiaca con benefici straordinari per la comprensione di processi che sono altamente complessi.

Nel terzo capitolo parla di rivoluzioni mancate e di rivoluzioni inattese. In che senso, secondo lei, quella dell’esplorazione spaziale è stata disattesa, mentre quella derivante dai computer è stata imprevista?

Quella dell’esplorazione spaziale è stata disattesa nella misura in cui ha creato delle grandissime aspettative quando quelli della mia generazione erano adolescenti sulle possibilità che l’uomo esplorasse lo spazio. Intendo dire, non solo che gli astronauti esplorassero lo spazio, ma che lo spazio divenisse accessibile a tanti: così come viaggiavamo sugli aerei avremmo potuto viaggiare sulle navicelle spaziali, avere una sorta di turismo spaziale. Sto parlando degli anni ‘60 e ‘70 del secolo scorso. Adesso questo, a distanza di oltre mezzo secolo, sta diventando realtà, ma solo per quei  pochissimi che avranno tantissimi soldi per togliersi questo capriccio.  Negli anni ’70 pensavamo che la luna, o le stazioni spaziali,  sarebbero diventate in fretta posti  alternativi in cui l’uomo avrebbe installato le sue colonie, ma questo non si è avverato. Invece, abbiamo avuto la rivoluzione dei computer, la rivoluzione del web. Chi negli anni ’70 e ’80 avrebbe immaginato tutto questo? Il web è arrivato nella prima metà degli anni ’90, quando è incominciato a diffondersi ma nessuno, fino alla fine degli anni ’80, avrebbe mai immaginato una evoluzione di questo tipo. Questa è stata la vera rivoluzione che ha cambiato il nostro mondo, il mondo di tutti, perché ci sono tanti miliardi di persone che utilizzano questo strumento ogni giorno.   Una rivoluzione inimmaginabile fino a pochissimi anni prima che si manifestasse.

Gli ultimi capitoli del suo libro si concentrano su un tema di grande interesse: quello dell’apprendimento automatico (più noto forse con il termine inglese “Machine Learning”). Quali sono, secondo lei, le sfide attuali in questo campo? E, in particolare, qual è il ruolo svolto dai matematici?

Questo è davvero un mondo in divenire ed è anche questa una sorta di rivoluzione: computer che imparano, senza essere espressamente programmati per farlo.  Il machine learning cambierà la nostra vita, la vita di tantissimi. Perché i matematici hanno un ruolo? Perché per imparare i computer hanno bisogno di algoritmi.  Per esempio delle reti neurali artificiali, strumenti matematici che cercano di simulare il comportamento delle reti neurali biologiche ma lo fanno risolvendo problemi di training e di testing che passano attraverso l’individuazione di modelli comportamentali, espressi da funzioni non lineari e ottenuti dalla minimizzazione di funzioni-costo. Come si vede siamo ancora nel regno della matematica. Matematici e informatici hanno un ruolo determinante in tutto questo: siamo solo agli inizi di un processo evolutivo straordinario che sarà dettato dai ritmi che matematici e informatici riusciranno ad imprimergli.

Perché ritiene che la sinergia fra l’approccio basato sui modelli derivanti da leggi fisiche e quello del machine learning sia potenzialmente foriera di sviluppi che avranno grande impatto dal punto di vista delle applicazioni della matematica?

Ci sono due scuole di pensiero, quella che dice che il mondo reale si rappresenta attraverso i modelli basati su leggi fisiche, di Newton, di Maxwell, di Laplace, di Schrödinger, etc.,   e quella  secondo cui tutto si può ricostruire attraverso l’analisi di dati, dei big data. Questa è la data science che sta portando grandissimi progressi al machine learning e alle reti neurali. Si tratta di due approcci che solo apparentemente sono alternativi. Di fatto anche i modelli matematici utilizzano dati e possono generare soluzioni che a loro volta possono rappresentare nuovi dati utili all’addestramento delle reti neurali.  Queste ultime, a loro volta, possono fornire un aiuto prezioso per arricchire i modelli matematici, ad esempio nella descrizione del comportamento di processi fisici alla scala microscopica. Sono soltanto due esempi di come si può creare sinergia fra questi due mondi, ma credo che nei prossimi anni vedremo dei progressi fantastici da questo punto di vista.

Un altro tema di grande interesse che tratta nel testo è quello degli aspetti etici e morali dell’uso dell’Intelligenza Artificiale. Ovviamente il tema è discusso in dettaglio nel libro (a cui rimandiamo i nostri lettori). Però potrebbe qui anticipare almeno alcuni degli aspetti principali di questa problematica?

L’intelligenza artificiale sta creando dei robot capaci di carpire le nostre sensazioni ed emozioni e conseguentemente capaci di “reagire” ai nostri stati emotivi. L’intelligenza artificiale sta creando macchine a guida autonoma che si devono comportare in modo tale da risparmiare la vita del conducente ma anche dei pedoni (ad esempio). Spesso questo si traduce in una scelta da fare, il che comporta evidentemente una questione etica.  L’intelligenza artificiale permette di creare algoritmi che carpiscono le nostre identità, quindi di fare profiling. Questo può essere usato a beneficio nostro ma anche a vantaggio di strumenti che, nelle mani di altri, hanno come interesse il beneficio economico di chi ci osserva.  Se l’uso degli algoritmi che vengono alimentati dai dati che noi forniamo spesso inconsapevolmente ai social media non venisse regolato da una giurisdizione sovranazionale, credo che ci sarebbe spazio per una deriva non eticamente accettabile.

Veniamo ora a domande di carattere più generale non più strettamente legate al suo libro.

Per prima cosa vorremmo chiederle come è nata la passione per la matematica e in particolare la matematica applicata.

La passione per la matematica è nata tardivamente, quasi all’ultimo momento. Non era previsto che continuassi a studiare dopo il diploma in ragioneria,  era invece previsto che dovessi lavorare in banca.  Poi durante l’esame di maturità i professori insistettero molto perché continuassi a studiare e quindi ho deciso un po’ all’ultimo di iscrivermi a matematica, materia di cui avevo pochissima conoscenza in realtà; non sapevo cosa fosse una funzione o la trigonometria, ad esempio, però mi affascinava l’idea di fare qualcosa di oscuro ma di potenzialmente molto importante per il mondo futuro. Questa era l’intuizione che avevo. Quindi è stata un po’ una sfida a cui ho voluto sottopormi.

Perché la matematica applicata?  Visti i presupposti, durante l’università pensavo che appena laureato mi sarei occupato  in una industria.  Per questo motivo mi interessavano le applicazioni. In effetti ho poi fatto questo: per alcuni mesi ho lavorato in una grande industria nazionale,  la Montedison. Fui però assai presto invitato dai miei professori all’Università di Pavia a partecipare ad un concorso di ricercatore al CNR.  Divenni ricercatore a pochissimi mesi dalla laurea e da lì in avanti non ho più abbandonato l’ambiente della ricerca.

Direi quindi che scegliere di studiare matematica prima e di fare il ricercatore matematico poi non siano state scelte premeditate. Sono state opportunità che si sono create all’ultimo momento e che ho colto. Ovviamente poi sono stato molto contento di averle fatte.

Quali sono i campi di interesse che sono soggetto della sua ricerca?

Cerco di sviluppare da un lato i metodi di base per risolvere problemi tipicamente alle derivate parziali, problemi che come è noto  stanno alla base di tantissimi processi fisici. Sono inoltre molto sensibile a tutti i problemi applicativi che vengono da ambienti molto diversi.

La mia passione principale attualmente è rivolta alla medicina computazionale. Mi occupo tuttavia anche di altri ambiti: l’epidemiologia, la sismica dei terremoti e la previsione  degli effetti che avranno su strutture civili e sulla popolazione, lo sport da competizione, e altri problemi con  impronta di carattere industriale in svariati ambiti.

Può spiegare ai nostri lettori il risultato da lei ottenuto di cui va più fiero?

Forse deve ancora arrivare. Come detto, la realizzazione del modello matematico completo del cuore sarebbe un achievement sensazionale. Siamo a buon punto ma insomma l’ultimo miglio è quello più difficile. Quando vedrò un cuore matematico pulsare come se fosse il cuore di una persona reale, bene quello sarà il momento in cui toccherò il cielo con un dito perché spero che questo risultato avrà un impatto importante per la vita di tante persone.

Che consigli darebbe ad un nostro giovane lettore interessato a intraprendere il percorso di studio della matematica o, più in generale, di una facoltà scientifica?

Oggi questa è una bella scelta:  oltre a dare tante soddisfazioni nella fase dell’apprendimento, ripaga anche dopo la laurea perché apre tantissime strade. Oggi matematici ed informatici sono probabilmente le figure professionali più richieste in assoluto.

Da un lato fatelo senza paura del futuro, dall’altro cercate di succhiare il più possibile tutto il nettare che esce da una disciplina che è veramente straordinariamente ricca e che lascia grandissimo spazio all’immaginazione e alla creatività. 

Cosa pensa della situazione della divulgazione della matematica in Italia?  In questo periodo della pandemia ci sono state delle criticità nell’interazione con l’opinione pubblica e i mezzi di comunicazione?

Comunicare la scienza è difficilissimo.  In  particolare lo è per la matematica. E non dobbiamo pretendere che un bravo matematico sappia comunicare la sua disciplina. In Italia ci sono dei comunicatori scientifici eccezionali che non sono degli scienziati, Piero Angela è  un esempio su tutti. Non fa lui la ricerca eppure sa comunicare benissimo. Ci sono ricercatori bravissimi che tuttavia comunicano molto male. Non sono abituati a farlo, non hanno avuto una preparazione specifica, e non è nemmeno giusto che il mondo se lo aspetti. Personalmente mi limito a comunicare i risultati della mia ricerca, non la matematica in senso lato. Lo faccio quindi con  cognizione di causa,  senza enfasi ma sforzandomi di fare apprezzare tutto il potenziale che hanno i risultati che ottengo con i miei collaboratori. Interpreto questo come una mia missione. 

Per noi che usiamo denaro pubblico perché lavoriamo in università,  è importante avvertire il bisogno di rendere agli altri la conoscenza che deriva dalle nostre ricerche.

Ripeto: non è assolutamente facile, però se riusciamo a farlo credo che stiamo facendo qualcosa di utile. Questo impegno, incidentalmente,  ci rende anche più autorevoli quando facciamo petizioni e ci esponiamo per chiedere maggior sostegno alla ricerca pubblica.

Nella vita di ognuno ci sono degli incontri che cambiano la vita e ci aiutano a intraprendere la nostra strada.  Puoi raccontarci qualcuno di questi?

Ce ne sono stati diversi. Se devo raccontare dei miei maestri parlo di Enrico Magenes e Franco Brezzi che sono stati in modo diverso dei mentor straordinari per me. Persone che mi hanno aperto la testa con il loro esempio, con la loro personalità e la loro grande capacità  e genialità.

E poi un incontro che è stato per me particolarmente importante è quello con uno scienziato israeliano, David Gottlieb, che mi invitò a Tel Aviv all’inizio della mia carriera di ricercatore,  insieme al mio collaboratore ed amico Claudio Canuto, quando ero giovanissimo perché interessato ad alcuni nostri risultati in un settore abbastanza nuovo dell’Analisi Numerica.

David Gottlieb, già famosissimo all’epoca dei fatti,  ci propose di raggiungerlo al  Langley Research Center della NASA durante le pause estive.  Al Langley Research Center sono venuto a contatto con scienziati di tutto il mondo nell’ambito della matematica applicata ed ho maturato in modo ancora più acuto il mio interesse per i problemi reali.  

Quali sono i suoi progetti di ricerca per il futuro?

I miei progetti che hanno avuto più successo sono maturati in modo… imprevisto. Vorrei lasciare questa porta aperta (all’imprevisto) anche per i prossimi anni della mia attività di ricercatore.

Intervento del prof. Quarteroni al TEDxTrento

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