Si parla spesso di fuga di cervelli e di centri d’eccellenza all’estero. Ma vi sono dei cuori pulsanti della ricerca anche in Italia. Parliamo di Venezia e di innovazione con il Prof. Achille Giacometti, ordinario di Fisica della Materia all’Università Ca’ Foscari di Venezia e direttore dell’European Centre for Living Technology.

Prof. Achille Giacometti

MM: Quando ha scelto di dedicarsi alla Fisica? Una scelta ragionata o una passione?

AG: Mi viene difficile pensare che si possa studiare una materia come Fisica sulla base di una scelta ragionata. Ci vuole passione. Da piccolo leggevo le biografie dei grandi scienziati (non solo fisici). Poi ho letto prima “La nuvola nera” di Fred Hoyle e poi “30 anni che sconvolsero la Fisica” di George Gamow e la scelta era fatta.

MM: Molti Suoi studi recenti vertono sull’interazione tra Fisica e Biologia, in particolare sulle proteine. Potrebbe informarne brevemente i nostri lettori? 

AG: In realtà io studio tutta la materia soffice, cioè la materia le cui interazioni sono “deboli” e di norma si presenta in una forma non cristallina, a differenza dei solidi atomistici governati da interazioni “forti”. Sono ad esempio classificabili come materia soffice i sistemi colloidali (creme ma anche la pasta!), i cristalli liquidi (i display dei nostri cellulari e laptop) e i polimeri (che costituiscono la base per la maggior parte dei medicinali). Tra quest’ultimi ci sono evidentemente anche i biopolimeri di cui fanno parte le proteine e il DNA. Dopotutto, anche i sistemi biologici sono formati da atomi e molecole e quindi seguono le regole della Fisica. 

Materia soffice. Immagine da: https://www.aps.org/publications/apsnews/201505/backpage.cfm

MM: C’è un dialogo, e se sì, come si svolge tra Fisica e Biologia e altre aree più teoriche, dalla fisica teorica, all’informatica teorica, alla matematica pura?

AG:L’interesse dei fisici per la Biologia non è certo nuovo. Probabilmente il primo esempio di un certo rilievo è quello di Erwin Schrödinger, uno dei padri della Meccanica Quantistica, che nel 1948 pubblicò il libro “What is Life” scritto durante il suo esilio a Dublino per via della guerra,

ma anche Richard Feynman, una delle figure leggendarie della Fisica Teorica, andava ai seminari dei Biologi. Oggi però l’osmosi tra Fisica e Biologia è molto più profonda a causa della combinazione di tre fattori concomitanti.

Il primo è la disponibilità e l’affidabilità delle banche dati che possono essere analizzate con gli stessi strumenti che i fisici usano per analizzare i big data provenienti dagli esperimenti delle alte energie.

Il secondo è legato ai progressi dell’intelligenza artificiale che sta rivoluzionando tutta la scienza, compresa questa. Il terzo è dovuto agli enormi passi in avanti che abbiamo fatto negli algoritmi e le tecniche computazionali, che hanno permesso una profonda comprensione dei meccanismi fondamentali che regolano le interazioni nei sistemi biologici. Tra un po’ arriverà anche in Quantum Computing.

MM: La didattica a Ca’ Foscari: qual è la cosa più difficile da insegnare agli allievi, e quale invece la soddisfazione più consistente che Lei abbia finora ottenuto dalla didattica?  

AG: E’ difficile far loro capire che fare ricerca è come comporre un puzzle: alla fine tutti i pezzi devono andare al loro posto, altrimenti c’ è qualcosa che non va.

Impagabile quando vedo uno dei miei studenti iniziare un suo percorso scientifico (di solito all’ estero), e che poi torna a trovarmi per fare due chiacchiere. 

Sede centrale di Ca’ Foscari vista dal Canal Grande. https://www.termoisolanti.com/portfolio/universita-ca-foscari-venezia/

MM: Quale potrebbe essere il profilo dell’allievo ideale in ambito scientifico?

AG: Entusiasta e fortemente motivato. Tutto il resto è colmabile.

MM: La Sua attenzione per l’Arte in tutte le sue forme deriva da sensibilità e inclinazione personale oppure si fonda anche su specifiche esperienze di studio o di contatti con artisti particolarmente “inspirational”?  

AG: Un libro molto stimolante in questo senso, anche se di difficile lettura per un giovane, è “Gödel Escher Bach” di Hofstadter, ma anche uno come Umberto Eco si divertiva a fare dei ragionamenti scientifici nel suo “Pendolo di Foucault”.

Agli studenti consiglio infine di leggere il discorso di accettazione del Premio Nobel in Chimica di Martin Karplus dove racconta di come essersi ispirato ad un quadro del Canaletto per una delle sue teorie. Lo stesso Karplus ha ricordato questa esperienza nel corso di una conversazione con me durante la sua permanenza a Ca’ Foscari.

MM: In che modo la visione olistica di arte e scienza può favorire lo sviluppo dell’uno e dell’altro ambito? Potrebbe trattarsi di una sorta di terza via, caratterizzata da sostanziale multidisciplinarietà, quasi un richiamo allo spirito rinascimentale che viene associato all’italianità?  

AG: Io non la vedo come una terza via, ma come l’unica via! La cultura è una sola e comprende le arti e la scienza, come ci hanno appunto insegnato i nostri padri fondatori.

MM: Una parte della scienza moderna mira ad approfondimenti specifici, unidirezionali; un’altra parte, guidata da una visione olistica della realtà, ne studia la complessità, ossia la considera un sistema di più elementi interdipendenti, tra cui esistono relazioni funzionali. Anche molti grandi studiosi del passato spaziavano tra ambiti molteplici. A parte le risorse tecnologiche attuali, quali differenze si possono cogliere tra studi multidirezionali del passato e l’attuale studio della complessità?   

AG: È vero: sembra una dicotomia apparentemente irrisolvibile. Da un lato le sfide della moderna ricerca richiedono una specializzazione sempre maggiore. Dall’altro, la complessità dei problemi richiedono un approccio multidisciplinare. In passato esistevano persone che riuscivano a combinare questi due approcci, ma oggi l’unico modo è quello del team work, in cui ognuno si occupa di una parte della soluzione usando la sua competenza specifica, ma tutti capiscono quale sia l’obiettivo finale. E questo approccio lo hanno inventato i fisici, anzi Enrico Fermi per la precisione.

Enrico Fermi. Da: https://news.fnal.gov/2017/01/why-are-we-called-fermilab/

MM: Venezia è famosa in tutto il mondo per l’incanto del presente e per il fascino del passato. Dove e come a Venezia si produce il “nuovo”, e come questo nuovo si collega con la bellezza?

AG: Nell’immaginario collettivo Venezia sembra essere una città prigioniera della sua unicità, come se bellezza ed innovazione non fossero compatibili. Si pensa quindi spesso, erroneamente, che salvaguardare Venezia e il suo inestimabile patrimonio culturale non possa coesistere con la moderna ricerca scientifica, il che la condannerebbe ad essere una città museo. Venezia invece ha l’innovazione nel suo DNA:  lo dice la sua storia come incrocio di civiltà diverse. Creare le condizioni per un ritorno di attività produttive ad alto contenuto tecnologico è una delle chiavi per la rinascita di questa città.

MM: Quali sono le sfide sottese alla fondazione e alla direzione di un centro di ricerca quale ECLT in una città come Venezia, e quali i vantaggi? Quali strategie si utilizzano per attrarre a Venezia, e per non disperdere, i cosiddetti “cervelli”, sia italiani che stranieri?

AG: ECLT vuole essere un luogo aperto a tutti, dove si discute liberamente di arte e scienza, provenendo da paesi e culture diverse, così com’è nella tradizione di Venezia Porta d’Oriente. Per poter raggiungere quest’obiettivo ci vogliono naturalmente dei finanziamenti, per cui molte delle attività che facciamo hanno una motivazione molto più prosaica. Però è bello poter pensare in questi termini ideali.

Ca’ Bottacin a Venezia, sede dei centri ECLT ed HSC. https://www.unive.it/pag/14024/?tx_news_pi1%5Bnews%5D=6857&cHash=335b8aee4b46663b889b76e75f44e908

MM: ECLT ha una forte vocazione interdisciplinare, e si sta rafforzando la collaborazione con HSC. Qual è la missione di questi due centri, e come si può intensificare il rapporto che intercorre tra di essi? 

AG: ECLT è nato come un centro per lo studio della vita artificiale, e quindi il suo background è fortemente incentrato sulla Scienza e Tecnologia. HSC è viceversa un centro sulle Humanities. La sinergia tra i due centri rappresenta quindi un connubio ideale che stiamo cercando di alimentare creando un humus culturale adatto.

MM: Venezia, ECLT, gli studi sulla complessità. Un sogno e un incubo per i prossimi cinque anni:  quali potrebbero essere, e come evitare il secondo e realizzare il primo?

AG: Partiamo dall’incubo: la stessa Venezia città museo di oggi anche tra cinque anni. Semplicemente inaccettabile e dobbiamo fare qualcosa. Il sogno è quello di vedere crescere tanti ECLT che attirino a Venezia scienziati ed intellettuali di ogni disciplina e di ogni cultura. 

MM: Grazie Professore!

Veduta di Venezia. Fotografia di Maria Mannone

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