Pubblichiamo questa intervista a Paolo Alessandrini, insegnante e divulgatore scientifico che recentemente ha pubblicato il libro dal titolo  “Bestiario matematico. Mostri e strane creature del regno dei numeri”.

Il libro è disponibile per l’acquisto per esempio qui e qui.

Paolo Alessandrini è autore, fra gli altri, dei testi “Matematica rock” e “La matematica dei Pink Floyd“.

 


Come è nata l’idea di scrivere questo libro?

Nel mio lavoro di insegnante mi accorgo spesso che molti studenti vedono la matematica come una disciplina fatta di regole inflessibili e totalizzanti, alle quali è necessario sottostare. Per certi aspetti è una visione consolatoria, perché l’idea di poter dominare la matematica imparando una collezione di formulette pronte all’uso è sicuramente rassicurante.

Sono solito smontare questa diffusa convinzione, mostrando come queste cosiddette “regole” siano il frutto più superficiale, e forse meno interessante, di un lungo e difficile percorso compiuto dai matematici nel corso dei secoli: un percorso nel quale la creatività e l’intuizione si sono spesso rivelati determinanti.

Non solo: la matematica che questi “creativi” hanno plasmato non appare sempre come una disciplina prevedibile, in cui i tasselli si incastrano perfettamente tra di loro: al contrario, è piena di elementi strani, conclusioni che non t’aspetti, risultati spiazzanti, sconvolgenti e addirittura mostruosi.

Nel libro Matematica e immaginazione, scritto da Edward Kasner e James Newman e pubblicato nel lontano 1940, c’è una frase che illustra bene questo concetto:

Ci si riferisce erroneamente spesso alla matematica come alla scienza del senso comune. In realtà, può trascendere il senso comune e oltrepassare sia l’immaginazione che l’intuizione. È divenuta un soggetto davvero strano e forse da paura da un punto di vista ordinario, ma chiunque riesca a penetrarvici troverà una terra fatata: strana, ma con un suo senso, anche se non è quello comune.

Questa frase, a mio parere bellissima ed evocativa, è stata una fondamentale fonte di ispirazione per il mio Bestiario, tanto che ho deciso di inserirla all’inizio dell’introduzione. L’idea centrale del libro è proprio questa: raccontare gli elementi più strani, sorprendenti e spaventosi della matematica, tratteggiare quella “terra fatata” che sfugge alle regole ordinarie e al senso comune, accompagnare il lettore alla scoperta delle idee e dei concetti che oltrepassano l’immaginazione e l’intuizione.

Nell’introduzione scrivi che questo libro vorrebbe essere una sorta di “bestiario” simile ai testi medioevali per raccontare come la matematica sia piene di concetti “strani”.

Può spiegare ai nostri lettori questa idea di fondo del libro?

La “terra fatata” citata da Kasner e di Newman, mi ha suggerito di dotare il mio libro di una cornice narrativa, una ambientazione a metà tra il fantasy di Harry Potter e l’atmosfera dei bestiari medievali. In un simile contesto immaginario mi sembrava molto naturale inserire i concetti della matematica che trascendono il senso comune e che fanno addirittura paura, facendoli diventare animali selvaggi. Ma non era tutto: mancavano i matematici, ovviamente. E ho pensato di raffigurarli, coerentemente alla metafora fantasy, come maghi (anzi matemaghi, che è il nomignolo che utilizzo nella pagine del libro) indaffarati a evocare, stanare, catturare e addomesticare le belve feroci, sfruttando i loro potenti incantesimi.

I capitoli del libro raccontano molte storie di matemaghi alle prese con le loro creature. In alcuni casi si tratta di bestie avvistate in tempi recenti, dopo che erano rimaste per molto tempo completamente sconosciute: per esempio, i gruppi monstre catturati nel Novecento, o i frattali, o gli organismi del “Game of Life” di Conway. In altri casi i matemaghi hanno evitato la belva per secoli, perché questa incuteva terrore o repulsione: è il caso dello zero, dei numeri negativi, dei numeri irrazionali, degli infiniti, ma anche di alcune antinomie della logica.

Altre volte la creatura è stata scovata per caso, o per errore, perché il matemago, novello Cristoforo Colombo, cercava altro: si pensi ai numeri immaginari e alle geometrie non euclidee.

E infine, alcuni animali matematici erano ritenuti frutti della fantasia ma si sono poi rivelati reali: è andata così per le stesse geometrie non euclidee e per alcune curve “patologiche”.

Per chi è pensato il testo?

Il libro può essere letto da chiunque. Non sono richieste conoscenze matematiche avanzate, ed è più che sufficiente la matematica che tutti abbiamo imparato a scuola.

Quel che conta è la curiosità di scoprire storie appassionanti e confrontarsi con creature insolite e sorprendenti.

Sicuramente il libro può rivelarsi molto utile per gli insegnanti di matematica a tutti i livelli, perché, al pari di Matematica rock, può suggerire modalità alternative per affrontare alcuni degli argomenti curricolari. E ovviamente anche gli studenti, dalla scuola media in su, possono divertirsi a leggere il mio Bestiario matematico e dare la caccia alle creature matematiche più strane e mostruose.

Quali sono i criteri che ti hanno guidato per scegliere gli argomenti dei vari capitoli?

Ho cercato di selezionare le creature che mi sembravano più insolite, sorprendenti e, in alcuni casi, mostruose. Nel compiere questa selezione mi sono reso conto che l’aspetto strano e spiazzante della matematica è strettamente a legato al concetto di bellezza. Un’idea matematica è tanto più bella quanto più inattese sono le sue proprietà e le sue affinità con altre aree della matematica.

Ecco perché, in definita, ho scelto di parlare soprattutto di creature belle. Belle perché sorprendenti.

Per esempio, lo zero è sorprendente, quindi bello e mostruoso al tempo stesso, perché possiede proprietà che nessun altro numero possiede (pensate al fatto che è impossibile dividere per zero, oppure al fatto che moltiplicando un numero per zero si ottiene ancora zero).

I numeri grandi sono un altro esempio. La loro bellezza non sta tanto nel fatto che sono grandi: d’altra parte non ci vuole chissà quale abilità per creare numeri giganteschi. La bellezza, e anche la mostruosità di certi speciali numeri grandi, consiste nel fatto che, sebbene siano smisuratamente giganteschi, possiedono alcune proprietà speciali: come il numero di Graham, che a dispetto della sua sconvolgente e inconcepibile stazza, interviene in un teorema di teoria dei grafi.

E nel libro troverete moltissimi altri esempi.

Perché il testo è suddiviso in tre parti e cosa caratterizza ognuna di queste parti?

Inizialmente il testo non era suddiviso in parti. All’ultimo momento ho pensato, d’accordo con la casa editrice Hoepli, di strutturare i capitoli in tre sezioni, per dare più ordine e leggibilità al libro.

La prima parte comprende i capitoli dedicati alle più sorprendenti creature numeriche: lo zero, i numeri negativi, i numeri irrazionali, i numeri normali, i numeri “grandi”, l’infinito e i numeri immaginari.

La seconda parte è la sezione geometrica del bestiario: le meraviglie delle geometrie non euclidee, le creature “impossibili” della geometria, le curve “patologiche” e i frattali, gli esseri che popolano il Game of Life di Conway.

Infine, nella terza parte descrivo esseri più astratti ed eterei: paradossali creature che si originano nel mondo della logica, gigantesche dimostrazioni di teoremi, strutture colossali della teoria dei gruppi.

Qual è stato l’argomento più difficile da trattare?

Probabilmente l’intera ultima parte, in cui descrivo creature molto complicate, astratte, refrattarie a una rappresentazione visuale. Soprattutto non è stato facile scrivere l’ultimo capitolo, in cui si parla della teoria dei gruppi, una delle branche più complesse dell’intera matematica.

Fra i tanti argomenti affrontati nel libro, ne scegliamo due che ti chiederemmo di anticipare con qualche dettaglio ai lettori (che ovviamente rimandiamo alle lettura integrale del testo).

Puoi per esempio anticipare ai nostri lettori cosa sono le “creature nell’universo scacchiera”? 

Nel capitolo 10 parlo di uno dei più grandi matemaghi degli ultimi decenni:

John H. Conway (fonte wikipedia)

John H. Conway, giocoliere della matematica, ideatore di giochi geniali e artefice di mille meraviglie in numerosi ambiti della matematica, dalla teoria dei numeri alla teoria dei gruppi, dalla teoria dei giochi alla topologia. Il capitolo si apre con una frase tratta da un bellissimo articolo che Andrea Zanni dedicò al grande matematico inglese in occasione della sua scomparsa, causata dal COVID, nell’aprile del 2020:

L’eredità matematica di John Horton Conway è incalcolabile, anche nei suoi rivoli più minuti. È stato insieme un matematico, un professore, uno showman e un giocatore ad altissimi livelli: un mago. Mi piace pensare che la vera eredità che lascia a noi poveri mortali è la certezza che la matematica è un gioco. E i giochi vanno sempre presi seriamente.

Il suo “gioco” più famoso non è un gioco vero e proprio. Viene chiamato Game of Life, ma non prevede giocatori che si affrontano, né vincitori o vinti. É invece l’esempio più famoso di automa cellulare: una griglia di celle in cui ogni casella si comporta in un modo che dipende dallo stato delle celle vicine.

L’automa di Conway si svolge su una scacchiera infinita, in cui ogni cella ha otto celle adiacenti. In un dato istante ogni cella può essere viva oppure morta, ma il suo stato dipende dinamicamente dallo stato delle celle vicine. In particolare:

  1. una cella viva che ha meno di due celle vive adiacenti muore per solitudine;
  2. una cella viva che ha più di tre celle vive adiacenti muore per soffocamento;
  3. una cella morta che ha esattamente tre celle vive adiacenti diventa viva, per riproduzione.

Ecco: queste tre regole semplicisime generano un sistema nel quale brulicano creature dalla complessità meravigliosa: esseri formati inizialmente da una configurazione di celle vive, che si stagliano sullo sfondo dell’universo-scacchiera.

Come scrivo all’inizio del capitolo:

Una moltitudine di creature brulicanti danzano senza sosta in una sterminata griglia di caselle. Non sono tutte uguali: una straordinaria varietà di specie popola questa sezione del bestiario. Ci sono forme che oscillano senza tregua tra due o più sembianze diverse. Altre, invece, rimangono sempre fisse, a dispetto della vita che pullula attorno, incessante. Alcune di loro stanno ferme, ma ogni tanto sparano in giro razzi e astronavi. Altre bestie di questo strano mondo tendono a diventare sempre più grandi, magari a discapito di qualche “compagna di cella” che viene inghiottita. Altre sopravvivono e si danno da fare per qualche generazione, ma alla fine soccombono e spariscono.

Insomma, in questo universo-scacchiera ne succedono di tutti i colori.

Nel capitolo descrivo accuratamente molte di queste creature sorprendenti e racconto alcune delle storie appassionanti legate a questo straordinario incantesimo del mago Conway: buona lettura!

Quali argomenti matematici, invece, vengono trattati nel capitolo dal titolo “Il Gigante buono e il mostruoso chiaro di luna”?

Il “gigante buono”, la creatura protagonista del capitolo, appartiene alla famiglia dei gruppi, particolari strutture algebriche che hanno assunto un’importanza crescente nella matematica degli ultimi due secoli. Il matemago francese che per primo catturò queste strane bestie, Évariste Galois, trovò la morte a soli vent’anni, nel 1832, in un duello motivato forse da questioni amorose.

Galois si era imbattuto in queste creature mentre studiava le relazione di simmetria tra le soluzioni di un’equazione. Dopo di lui, tra Ottocento e Novecento, molti altri matematici svilupparono la nuova “teoria dei gruppi”, e ben presto la ricerca si concentrò sulla caccia ai “gruppi finiti semplici”, cioè ai gruppi che sono composti da un numero finito di elementi, ma che non possono essere scomposti in gruppi più piccoli.

Dato che il concetto stesso di gruppo è strettamente collegato all’idea di simmetria, i gruppi finiti semplici possono essere considerati come gli atomi della simmetria: mattoni elementari con i quali possiamo edificare tutte le strutture simmetriche.

Man mano che i matematici catalogavano queste creature, si accorgevano che alcune di loro erano spaventosamente gigantesche. Nel 1980 fu catturato il più grande dei gruppi finiti semplici: il “gigante buono”, appunto, più noto come “gruppo Mostro”, formato da   elementi e inserito in uno spazio di 196.884 dimensioni. La mostruosa bellezza di questa struttura apparve ancora più evidente quando alcuni matematici, tra cui lo stesso Conway, scoprirono alcune inspiegabili connessioni tra la struttura e alcune idee della teoria dei numeri. Questo legame fu battezzato poeticamente “monstrous moonshine”, e nel libro vi racconto il perché di questa scelta.

Il tuo precedente libro si intitolava “Matematica rock”, che differenze ci sono fra questi due libri?

Sono due libri piuttosto diversi l’uno dall’altro. Apparentemente in

Matematica rock

entrambi i libri esiste un’ambientazione pop, una cornice narrativa: il rock in Matematica rock e il mondo fantasy in Bestiario matematico.

In realtà si tratta di due progetti molto diversi. Nel primo libro il contesto musicale era ben più che un’ambientazione: rappresentava piuttosto il vero ambito di indagine della mia ricerca, visto che l’intento principale era mostrare come la matematica sia così pervasiva da saltare fuori anche da storie apparentemente lontane, come le vicende della storia del rock.

In Bestiario matematico, invece, i riflettori sono puntati direttamente sulla matematica e sul suo aspetto strano e mostruoso: l’espediente narrativo in chiave fantasy, con tanto di matemaghi e bestie, è una cornice creata per rendere la lettura più divertente e accattivante.

Però qualcosa lega in effetti i due libri. Il tema della bellezza, per esempio, che era presente anche in Matematica rock e torna anche in questo nuovo libro.

E poi, l’idea stessa del concetto matematico che spiazza, sorprende, o addirittura sconvolge e atterrisce: ebbene, non si potrebbe riassumere tutto questo usando una sola parola, rock? In effetti, molte delle storie che racconto in questo Bestiario sono vicende di matematici che hanno avuto il coraggio di esplorare territori nuovi, che erano stati a lungo ignorati o temuti, e individuare collegamenti inattesi tra idee diverse della matematica.

In Matematica rock avrei detto che sono stati rockstar della matematica, mentre in Bestiario matematico li accolgo nel novero dei matemaghi, abili nello stanare, catturare e addomesticare creature selvagge e bellissime.

Venendo a delle domande più generali, come pensi sia cambiata dal tuo punto di vista la divulgazione (in particolare quella matematica) specie in questo periodo di pandemia?

Indubbiamente molte cose sono cambiate, proprio a seguito della pandemia.

Non è facile distinguere, tuttavia, tra ciò che è cambiato solo temporaneamente e ciò che invece ha subito una trasformazione che resterà anche dopo che l’emergenza sarà passata.

Nel periodo del primo lockdown era stata annullata ogni iniziativa in presenza: presentazioni, conferenze, e così via. La divulgazione si era interamente spostata su internet ed erano diventati molto frequenti i webinar, le dirette YouTube, gli streaming sui social ecc. Qualcosa di simile era accaduto anche con la seconda ondata, nell’autunno dell’anno scorso.

Io stesso fui spinto dalla situazione a dare nuova vita al mio canale YouTube (che giaceva inutilizzato da molto tempo), proponendo video e dirette.

Quando l’emergenza sarà definitivamente rientrata, torneranno alla grande gli eventi in presenza, ma credo che la tendenza a spostare una rilevante parte dell’offerta sui canali digitali continuerà a manifestarsi.

Pur se forzata da un contesto drammatico, questo trend è in fin dei conti un’interessante opportunità per noi divulgatori, perché ci ha portato a confrontarci con strumenti tecnologici, piattaforme e canali che fino a poco tempo fa erano sconosciuti o poco utilizzati dalla maggior parte di noi.

Oggi un divulgatore al passo con i tempi, che desideri raggiungere una fetta della popolazione non elitaria, non può ignorare questo mondo. Canali più tradizionali, come il libro, la presentazione o la conferenza dal vivo, continuano a essere importanti, ma non possono essere considerati l’unica strada per fare divulgazione. Ovviamente, questo significa, per noi divulgatori, imparare molti linguaggi diversi, perché non si può usare lo stesso codice comunicativo per scrivere il capitolo di un libro, il contenuto di una conferenza dal vivo, il testo di un video su YouTube, un post su Twitter e un podcast costituito da solo audio.

Tutto questo riguarda in generale la divulgazione scientifica, ma vale nello specifico anche per la comunicazione della matematica.

Quale ruolo dovrebbe avere secondo te la divulgazione matematica rispetto alla scuola e all’informazione più generalista?

La questione è molto complessa e importante. In estrema sintesi, dovrebbe avere un ruolo di primo piano, ma conseguire questo risultato è impresa molto difficile. In questi mesi di pandemia ci siamo accorti tutti di quanto sia importante che i divulgatori scientifici seri facciano sentire la loro voce forte e chiara, per sovrastare il rumore di fondo creato da complottisti, fake news e ciarlatani vari. Ed è particolarmente importante che questa voce si possa sentire all’interno dell’informazione generalista e nella scuola, perché sono questi i contesti più critici per la crescita culturale della popolazione.

Questa urgenza, ovviamente, è valida sempre, non solo in tempi di pandemia.

Il ruolo dei divulgatori matematici, in particolare (così come quello degli insegnanti di matematica), è assolutamente critico, perché un solido set di competenze matematiche dovrebbe costituire uno dei pilastri irrinunciabili per la cultura di base di un cittadino del XXI secolo.

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