Pubblichiamo questa intervista a Fabio Maiorino e Michele Marenco autori del libro “Le matetafore. Dodici racconti al servizio della matematica”
Il libro è disponibile all’acquisto, per esempio, qui e qui
Qual è la vostra formazione?
Michele è laureato in fisica a Genova e ha conseguito il Master in comunicazione della Scienza della SISSA di Trieste; Fabio ha studiato fisica e matematica alla Sapienza e successivamente si è laureato in Tecniche Cinematografiche presso la New York University e ha conseguito un Master in Comunicazione presso l’Università C.E.L.S.A. – Sorbona di Parigi.
Come vi siete avvicinati alla divulgazione scientifica e, in particolare, matematica?
Io mi ci sono avvicinato grazie al Master in Comunicazione della scienza della SISSA e grazie al fatto che, nella mia città, Genova, negli stessi anni nasceva l’esperienza del Festival della Scienza che ha coinvolto ha vario titolo diversi miei compagni di studi.
Fabio ha lavorato per alcuni anni come regista di Un Posto al Sole e poi, sempre per la RAI, ha pensato di unire le due discipline, scientifica e cinematografica, proponendo un nuovo format di Divulgazione Scientifica a RAI 5 dal titolo fEASYca. A una prima puntata pilota è seguita una serie di 6 documentari che coniugano intreccio narrativo a pillole di scienza. La serie è tuttora in riprogrammazione su RAI Scuola. In seguito ha collaborato con Festival della Scienza e musei romani per divulgare concetti di fisica e matematica ai bambini attraverso dei laboratori interattivi.
Com’è nata l’idea di scrivere questo libro?
L’idea di scrivere un libro del genere è nata in me moltissimi anni fa, e scaturisce da un’esigenza che sperimento quotidianamente a scuola: tentare di fare capire il senso di quello che spiego. Ma il libro non avrebbe mai visto la luce se non avessi conosciuto Fabio e la sua spiccata vena divulgativa. Fabio che di fronte a un cornetto e un cappuccino a un tavolino di un bar di Ventotene si esaltò sentendomi dire che ogni volta che riesco, la matematica la racconto in questo modo, inventando metafore. E così, chiesta carta e penna al barista, abbiamo tirato giù anche noi il nostro ‘Manifesto di Ventotene’ per la “metaforizzazione” della matematica.
Da dove deriva la scelta del titolo “Le Matetafore: dodici racconti al servizio della matematica”.
Matetafore è un termine che abbiamo inventato, è la fusione delle parole Matematica e Metafore. Ci ha convinti maggiormente rispetto ad altri possibili titoli che avevamo immaginato perché pensiamo sia una valida sintesi del nostro lavoro.
Per chi è pensato il testo?
Pensiamo che possa essere letto da chiunque, perché non vuole essere altro che una raccolta di racconti, non ha alcuna pretesa didattica. Crediamo però che possa giovare ai ragazzi dell’ultimo anno delle superiori ancora occupati dallo studio della matematica e possa essere apprezzato da coloro che, avendola subita tempo fa a scuola, sono curiosi di riconsiderarne alcuni concetti sotto una luce nuova, diversa da quella che avevano allora.
Come descrivereste il libro ai nostri lettori?
Come recita il sottotitolo, è un libro di racconti, liberamente ispirati a concetti matematici. Racconti che, forse, possono restituire agli stessi concetti da cui prendono corpo il ‘servizio’ di avvicinarli un po’ di più alla realtà quotidiana.
Da dove avete tratto ispirazione per scrivere questo testo?
L’ispirazione nasce tutti i giorni dal lavoro che facciamo, sia nelle aule scolastiche, sia nelle attività più informali di laboratori di divulgazione scientifica.
Come siete riusciti a scrivere dei racconti a “quattro mani”?
Non abbiamo seguito la logica, che sappiamo essere molto feconda, secondo cui una persona inizia a scrivere e poi passa il testo all’altra che lo prosegue. Più semplicemente ci siamo suddivisi i racconti in modo da scriverne sei a testa. Ma l’esperienza è stata a dir poco esaltante perché abbiamo avuto un continuo scambio di idee, e credo che ci siamo regalati a vicenda momenti di rara complicità e sintonia mentale. Vivendo in posti diversi abbiamo sfruttato ogni periodo di vacanza per incontrarci, curiosamente sempre in un posto diverso, e abbiamo dedicato quei giorni di ‘ritiro’ per scrivere gomito a gomito da mattina a sera.
Il secondo racconto, dal titolo “Te la spiego così”, vede come protagonisti due adolescenti che vengono “utilizzati” per introdurre un particolare modo di spiegare le disequazioni. Potreste anticipare qualcosa di questo ai nostri lettori?
Umanizzare equazioni e disequazioni rendendo le ultime esponenti del genere femminile e le prime di quello maschile enfatizzandone somiglianze e differenze sia fisiche sia caratteriali è la una delle prime metafore che inventai molti anni fa in non ricordo più quale classe. E che uso tuttora. Nel racconto, ambientato in una qualunque scuola italiana di oggi, la metafora non è concepita dall’insegnante, ma da una studentessa particolarmente smaliziata che la illustra passo passo a un compagno più impacciato e completamente invaghito di lei.
Il racconto ” ‘A statua” è incentrato su uno scultore (abbastanza particolare) e del suo progetto di realizzare un statua di Pitagora a Crotone. Vorreste spiegare perché questa scelta e perché per voi il teorema di Pitagora è emblematico di quale sia lo scopo principale della matematica?
Il teorema di Pitagora, con le sue innumerevoli diverse dimostrazioni, è uno dei pochi temi che credo travalichi i confini della disciplina e sia un patrimonio culturale di quasi tutti noi. In questo senso ci è sembrato emblematico per passare l’idea della matematica come di una disciplina viva che batte territori ancora inesplorati per giungere a nuove verità incontrovertibili. La tesi di un teorema è la meta, la dimostrazione il viaggio per giungervi. Purtroppo i media generalisti usano la parola teorema come sinonimo di ipotesi o congettura: qualcosa su cui non è stato ancora sciolto, e probabilmente mai si arriverà a farlo, il dilemma della sua verità o falsità.
Mentre il comune di Siracusa ha commissionato a uno scultore locale una statua di Archimede, inaugurata nella primavera del 2016, i Crotonesi ancora non hanno reso il dovuto omaggio al ‘loro’ Pitagora. Per fortuna Gaspare, lo scultore protagonista del racconto ‘A statua, che davvero abbiamo incontrato per caso nella sua bottega di San Pantaleo in Sardegna, è abbastanza visionario e cocciuto per poter riuscire a realizzare il suo sogno. Nelle scorse settimane infatti è partito un crowdfunding per raccogliere i 210 mila euro necessari per finanziare il cantiere.
Nel racconto “Queneau assolutamente” scrivete che “La lingua è analogica, la matematica, per lo meno questa matematica, è binaria, digitale.” Cosa intendevate?
Come un pittore con il suo dipinto, quando parliamo o scriviamo scegliamo le sfumature della sintassi, degli aggettivi, dei predicati, modulandoli in maniera quasi infinita per rendere un significato molto preciso nelle sue sfumature. Senza soluzione di continuità si può passare in maniera analogica da un concetto grave e profondo a qualcosa di molto leggero e divertente. La matematica, per lo meno la matematica semplice del liceo, ci dà quasi esclusivamente risposte giuste o sbagliate. È una realtà che non ha molto spazio per le sfumature. Altra cosa è la matematica più avanzata, per esempio l’analisi. Già quando pensiamo per esempio allo sviluppo in serie di Taylor possiamo decidere quale livello di precisione dell’approssimazione ci interessa, quale resto di Peano, quanto piccolo, vogliamo scegliere. E questa inizia a essere una matematica più “analogica”.
Nel racconto dal titolo “Nudo integrale” parlate del concetto di integrale? In che modo riuscite a farlo?
Qui l’espediente letterario è un momento di dialogo-confronto tra una madre rimasta vedova da pochi mesi dopo un lungo matrimonio e suo figlio. Questi la sprona a non struggersi, ma a fare un’analisi serena della vita passata accanto al marito, tra momenti felici e difficoltà. Il tutto essendo costretto a illustrare alla madre, digiuna di matematica, il concetto di integrale definito, saltato fuori da una definizione delle parole crociate. In questo modo prende forma il parallelismo tra operazione matematica e bilancio della vita di coppia.
C’è stato un racconto in cui vi siete trovati in disaccordo nel scriverlo o che per voi è stato più complicato da portare a termine?
Ognuno di noi è stato il giudice più severo, e il primo editor, dell’altro. Senz’altro il racconto più lungo, N-landia, è quello che ha generato le discussioni più accese. Stavamo correndo il rischio di farlo diventare un testo solo per “iniziati”, e quindi lo abbiamo tagliato e aggiustato un po’; speriamo che alla fine sia godibile anche per i non matematici.
Veniamo ora a domande di carattere più generale.
Qual è secondo voi il ruolo delle metafore nella matematica e più in particolare nella sua divulgazione e nell’insegnamento?
Credo che pur semplificando il problema, una metafora abbia il pregio di farcelo cogliere sotto una prospettiva diversa, laterale. Può accendere un circuito mentale che poi, se sviluppato, può portare anche all’accensione della lampadina necessaria a far luce sul nodo matematico vero e proprio.
Voi vi occupate anche di divulgazione della fisica. Quali sono i punti di contatto e di diversità fra il divulgare la fisica e la matematica?
Crediamo che divulgare la fisica sia più un po’ più semplice. Perché, se escludiamo la moderna fisica teorica, ci sono più chances di “aggrapparsi” a esempi concreti. Dunque è più facile innestare una narrazione e arricchirla di colori diversi. Anche se poi la fisica, alla fine, risulta sempre più ostica da capire rispetto alla matematica…
O sbagliamo?
Come pensate che debbano interagire divulgazione e insegnamento? Attualmente, in base alla vostra esperienza, questa interazione funziona?
La divulgazione informale, attraverso mostre, laboratori, video, film e libri è una risorsa ormai imprescindibile per un buon percorso di insegnamento. L’insegnamento però, deve passare attraverso l’acquisizione degli strumenti formali. Cioè, non deve perdere di vista il fatto che deve mirare a fornire solide competenze formali: deve insegnare il linguaggio della scienza. Se si accontentasse di una pur ottima divulgazione, potrebbe contribuire a formare cittadini curiosi ma non costruirà più professionisti capaci.
Quali sono i vostri progetti per il futuro?
L’idea che da qualche settimana ha iniziato a ronzare nelle nostre teste è scrivere, sempre a quattro mani, un giallo in cui il protagonista sia un matematico.
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