In questa seconda parte dell’articolo (se ve la siete persa, la prima parte è disponibile qui) introdurremo il concetto di asset infungibili quindi descriveremo i token NFT e le loro applicazioni nel mercato del collezionismo e dell’arte.
Beni fungibili ed infungibili
In linguaggio giuridico, un bene è detto fungibile se è privo di individualità e dunque perfettamente intercambiabile con un altro appartenente alla stessa categoria.
Dunque, questi e moltissimi altri oggetti:
- Un barile di petrolio
- Una banconota da 50 Euro
- Un biglietto della metropolitana di Roma
- 500g di spaghetti Barilla Nr. 5
- Un paio di scarpe da ginnastica Adidas nuove modello “Air Pro2” taglia 41
sono esempi di beni fungibili.
Infatti:
Le materie prime (il petrolio e l’oro, ma anche il sale e la farina) sono sempre vendute a peso e, per definizione, ogni barile di petrolio è identico a qualsiasi altro.
Il denaro, bene fungibile per eccellenza, è per convenzione millenaria una risorsa “perfettamente intercambiabile”. Se un vostro amico vi presta un banconota da 50 Euro non è necessario restituirgli la medesima banconota ! Anche 50 monete da un Euro, per quanto scomode, andranno benissimo.
L’accesso ad un servizio, se concesso anonimamente al portatore (un ingresso ad un certo museo, una corsa in autobus), viene considerato un bene fungibile.
Infine, tutti i prodotti industriali realizzati in serie su larga scala (a partire dalle Bibbie di Gutenberg, 1455 e passando per la Ford Modello T, 1908, fino all’ultimo iPhone) sono assolutamente identici unità per unità. Soddisfano quindi le condizioni per essere definiti “fungibili”.
È sufficiente negare la precedente definizione per descrivere facilmente i beni “non fungibili“.
Questi oggetti:
- Una carta di identità
- Un paio di scarpe usate
- L’atto di acquisto di un appartamento
- Tutti i disegni fatti da vostro figlio quando aveva 5 anni
- La Gioconda di Leonardo da Vinci
non sono certamente venduti a peso, non sono prodotti da qualche fabbrica in Cina e soprattutto non sono “privi di qualsiasi individualità”.
Riassumendo, un asset è infungibile se è identificabile con certezza tra altri della stessa specie, ha una sua individualità, è stato prodotto in un’unica copia e/o, banalmente, riporta i dati di uno specifico soggetto.
I token NFT
I token infungibili (inglese: NFT, Non-Fungible Tokens), sono dei “riferimenti informatici ad asset infungibili, registrati in una blockchain”.
Questa definizione potrebbe sembrare un pochino ostica, ma a questo punto dell’articolo il lettore dovrebbe disporre di tutti gli strumenti per decifrarla.
Analizziamola. Prima di tutto, non è il token ad essere infungibile. Ovvero, effettivamente il token è infungibile, ma soltanto perché lo è il bene fisico o digitale da esso rappresentato.
In secondo luogo, il token non è un oggetto di per se’ e non alcun valore. È semplicemente una chiave numerica che permette l’identificazione univoca dell’asset registrato all’interno di una blockchain. Come già detto nella prima parte dell’articolo, asset e token sono intercambiabili.
Detto in termini più semplici: un token NFT permette di tracciare con certezza la “storia” di un asset infungibile (con il significato di: perfettamente identificabile), posto che tutte le transazioni che lo riguardano siano state inserite in una blockchain. Dalla creazione fino allo stato corrente.
Nella puntata precedente abbiamo introdotto la Blockchain Ethereum e gli smart contracts, annotati nella catena come transazioni che qualsiasi utente è libero di registrare.
Facendo un ulteriore passo in avanti, possiamo più correttamente descrivere gli NFT come “smart contracts relativi al possesso o all’utilizzo di un qualunque asset, purché univocamente identificabile”.
Breve storia dei token NFT
I primi utilizzi degli NFT sono stati, anche tecnicamente, ludici. Mi riferisco ai videogiochi e ai collectibles (“oggetti digitali da collezionismo”). Il successo di questi ultimi ha aperto le porte al mercato professionale dell’arte digitale.
L’introduzione degli NFT nel settore videoludico è stata la conseguenza dell’enorme diffusione dei giochi online. Senza la vendita, come in precedenza, di costose console da gioco o DVD le aziende specializzate hanno subìto una notevole riduzione dei margini.
Monetizzare un videogioco, in cui in pratica tutto si svolge tramite “pixel colorati”, non è certamente semplice.
Chi pagherebbe per dei pixel ? E quanto ? E perché ? E sopratutto: come creare un mercato affidabile per questi “pixel” ??
Tutte queste domande hanno trovato la loro risposta negli NFT: un personaggio di una saga, una spada, un “territorio” virtuale dentro il gioco possono essere associati ad un token. Ed i token, quelli sì, si possono vendere o comprare !
Disegnare vestiti e accessori per i personaggi, acquistare un terreno (virtuale) vuoto e costruirci sopra una villa principesca, creare degli asset di gioco in serie limitata o magari in unica copia …
Ecco quindi che i produttori di videogiochi sono stati in grado di creare i concetti di “scarsità” e “proprietà documentabile” a partire da un mondo che piu’ virtuale di così non si puo’.
La mossa è stata fatta. Sarà interessante scoprire se il pubblico dei giocatori apprezzerà e aprirà il borsellino …
Tornando alle origini del fenomeno NFT, i primi ad abbracciare con fiducia questa nuova tecnologia sono stati gli appassionati di collectibles digitali.
Anche complice il fatto che in queste comunità fossero abbastanza comuni sia il concetto di “scarsità” che l’attribuzione di un grande valore economico ad un oggetto che non ne avrebbe affatto (pensate alle figurine o ai francobolli).
Non deve quindi stupire che, al momento della loro introduzione, i CryptoKitties (gattini digitali tutti diversi tra loro) abbiano letteralmente mandato in crash la rete della blockchain Ethereum per eccesso di domanda !
I micetti e numerosi altri collectibles successivi (ad esempio, le rare figurine di Pepe The Frog o queste Scimmie Annoiate) hanno fortemente contribuito a strutturare il neonato mercato degli NFT. Rendendolo maturo per il fenomeno della cryptoarte, che sarà oggetto di un prossimo paragrafo.
Arte analogica e arte digitale
Le coordinate riportate qui sopra sono quelle della Chiesa di San Luigi dei Francesi, a Roma.
La chiesa contiene numerose opere d’arte, tra cui lo stupendo Ciclo di San Matteo, un trittico del Caravaggio terminato nel 1600.
Se vi interessa la pittura barocca ed amate i “giochi di luce” del Caravaggio non avete molte possibilità: dovete inserire le coordinate nel vostro navigatore GPS, uscire di casa, mettervi in viaggio e visitare la chiesa.
Certo, potreste forse vedere sul cellulare le foto del trittico scattate da un vostro amico e messe su Instagram. Oppure vedere sullo schermo più grande del PC la pagina di Wikipedia, dove ciascun quadro è fotografato professionalmente in risoluzione full-HD (1920 x 1080 pixel).
Ad ogni modo… i quadri sono alti più di 3 metri e Caravaggio li ha dipinti specificatamente perché fossero ospitati nella Cappella Contarelli, che tuttora li contiene. La fruizione attraverso un monitor o il televisore in salotto, magari con una luce LED azzurrata che splende dal soffitto non è esattamente ottimale e causerebbe più di un mal di testa all’autore; se non fosse (fortunatamente) morto da 4 secoli …
Volendo generalizzare quanto abbiamo detto, l’arte pittorica (cosidetta) analogica tra le altre ha queste caratteristiche:
- Può essere fruita solo “in presenza” (come si dice oggi), possibilmente nella stessa modalità prevista dall’autore.
- Il suo autore è, generalmente, noto in modo incontrovertibile così come l’attuale proprietario (quando si tratta di capolavori).
- Non può essere copiata, a meno di motivi puramente didattici / accademici. Tutti gli altri scenari, probabilmente, porterebbero a conseguenze penali.
- Può essere digitalizzata e, in questa forma, distribuita, duplicata, ristampata eccetera. Ma l’opera digitalizzata e/o copiata vale meno del materiale usato per realizzarla.
Pensiamo al dipinto della Gioconda: il Louvre potrebbe decidere di venderla per svariati miliardi di Euro, chi dice: “Uno o più”, chi dice: “Almeno dieci”. Bene, lo stesso museo vende nel suo shop degli stupendi poster della Gioconda, grandi il doppio dell’originale ! Prezzo? 10 Euro …
L’Arte digitale
Premessa. Per poter parlare di arte (digitale o meno, non fa differenza) occorrere essere artisti o almeno critici d’arte. Io sono quanto di più lontano immaginabile da questo mondo, e non ne faccio un vanto. Dunque il livello della trattazione sarà assolutamente superficiale (gli addetti ai lavori abbiano pietà).
In effetti più che di arte digitale parleremo “della sua rappresentazione informatica”, che è un argomento assolutamente tecnico, che posso affrontare.
Per capire davvero l’arte digitale vi rimando a testi dedicati, uno tra tutti: Surfing con Satoshi. Arte, blockchain e NFT anche per la sua eccezionale bibliografia.
L’arte digitale può essere fatta risalire ai primi anni ’60, quando i mastodontici calcolatori hanno abbandonato i sotterranei di università e centri di ricerca, si sono rimpiccioliti e sono diventati meno costosi. Questa crescente diffusione ha permesso la creazione (e la relativa fruizione) di opere d’arte completamente sviluppate al calcolatore.
Dal sito del Victoria and Albert Museum apprendiamo che i primi esperimenti di arte digitale avvennero utilizzando come schermo un oscilloscopio e macchina fotografica (i monitor non erano ancora stati inventati), seguiti dalle stampe mediante plotter. Qui trovate un esempio di arte digitale delle origini: Untitled (Manuel Barbadillo).
Persino Andy Warhol si divertì a creare dei dipinti utilizzando il suo computer Amiga. Sebbene lui fosse già famosissimo, pochissimi all’epoca mostrarono alcun interesse per quel tipo di opere …
Dal punto di vista tecnico, un’opera d’arte digitale altro non è che un file per computer (analogo a qualsiasi altro file esistente: un PDF con le istruzioni del tostapane, la foto JPEG del selfie col gatto, un MP3 con “Imagine” di John Lennon …)
Come chiunque sa perfettamente, un file per computer può essere copiato indefinitamente, con estrema facilità e senza alcun costo. Inoltre, ogni copia è perfettamente indistinguibile dall’originale e il processo di copia è ricorsivo.
Come nel caso precedente, possiamo riportare alcune caratteristiche di nostro interesse associabili all’arte pittorica digitale:
- La fruizione risulta possibile su qualsiasi dispositivo digitale, purché compatibile (esempio: banalmente in grado di visualizzare un file JPEG: dall’ebook al televisore).
- L’autore dell’opera può essere o meno noto in maniera incontrovertibile. In ogni caso, disporre del file contenente l’opera d’arte digitale non prova in nessun modo di esserne l’autore.
- L’opera può essere copiata infinite volte ed essere ancora perfettamente identica all’originale e fruibile nell’identico modo.
- Chiunque può eseguire una copia dell’opera e può distribuirla a chiunque: tale processo è inarrestabile e completamente fuori dal controllo dell’autore (o di chiunque).
Da questa premessa, non stupisce che il mercato abbia sempre visto con diffidenza, a dir poco, qualsiasi forma d’arte che non fosse tangibile, acquistabile facilmente, vendibile un’unica volta e a caro prezzo e soprattutto fosse priva di unicità o esclusività (il termine corretto è: scarsità).
La cryptoarte
Se l’arte digitale esiste da oltre 50 anni, la cryptoarte è assai più moderna, essendo basata sugli NFT.
A differenza di quello che può capitare di leggere sulla stampa generalista, la cryptoarte non è una forma di arte che viene “crittografata” per permettere la visione solo agli utenti paganti, come succede in TV con Sky o Netflix, ne’ soprattutto esiste un legame tra la cryptoarte e il DRM.
Ricordiamo, brevemente, che il DRM (Digital Rights Management) è l’insieme di tutte le tecnologie che permettono la fruizione di contenuti digitali nell’ambito del rispetto del diritto d’autore e delle licenze d’uso. L’impossibilità di duplicare il DVD di un film o copiare Microsoft Windows sono legate al DRM.
Come abbiamo anticipato, la cryptoarte non è una “tecnica antipirateria”. Però, in un certo modo, si collega al concetto di “lecito compenso” dell’artista digitale.
La cryptoarte è il sottoinsieme dell’arte digitale in cui le opere (ovvero, i files) sono state tracciate su una blockchain, generando un token infungibile. Il token rappresenta la singola opera d’arte e, conseguentemente, un opera d’arte può essere identificata univocamente attraverso il suo NFT.
Ormai abbiamo imparato che un asset e il suo NFT sono perfettamente intercambiabili.
Vale anche la pena di notare che la cryptoarte non prova in nessun modo a controllare (o limitare) la circolazione del file digitale contenente l’opera. Prima di tutto perché questa battaglia sarebbe virtualmente persa in partenza. In secondo luogo perché la limitazione della fruizione di un’opera d’arte visiva rappresenta un controsenso, specie se tale opera è digitale. Ovvero può essere duplicata all’infinito senza nessuna degradazione o perdita di qualità.
L’introduzione dei token NFT nel contesto delle opere d’arte digitali ha permesso di ri-introdurre alcuni concetti tipici dell’arte analogica, rimasti immutati dai tempi dello scultore Fidia (V sec. a.C.) e ai quali il mercato dell’arte ambisce:
- L’identificazione univoca dell’opera e soprattutto del suo autore.
- L’attribuzione certa della proprietà dell’opera, la possibilità di vendere e comprare facilmente opere d’arte e persino l’acquisto in comproprietà (o proprietà frazionata).
- Il concetto di scarsità (o unicità), che determina i prezzi: abbiamo già accennato alla “Gioconda” di Leonardo da Vinci, assolutamente unica nel suo genere.
Non è quindi un caso che il nuovo concetto di “scarsità digitale” (un ossimoro, se ci pensate) sia stato accolto dagli addetti al settore (ma anche: investitori, speculatori, semplici appassionati, ecc.) come un qualcosa di rivoluzionario.
Identificando un opera digitale con il suo NFT (che essendo infungibile è unico) è diventato possibile investire sull’acquisto di un file per computer. Lo stesso file che magari milioni di utenti hanno scaricato dal sito dell’artista digitale e utilizzano come sfondo del Desktop !
Al momento di scrivere questo articolo, il più grande market di opere d’arte e collectibles digitali su NFT è opensea.
Vi suggerisco di visitarlo se non avete mai visto un’opera di cryptoarte.
Se invece siete interessati ad investire nel settore, potreste iniziare dai CryptoPunks. Piccole icone di 24×24 pixel, immagino generate da un programma Python lungo meno di 10 righe. Il loro certificato di proprietà si acquista attraverso un’asta pubblica, anch’essa annotata su NFT e BlockChain. Prezzi: fino ai 7 milioni di dollari, però a partire da circa $100.000. Ce la potreste fare.
Se invece frequentati circoli un pochino più esclusivi (in questo caso grazie per aver trovato il tempo di leggere il mio articolo, vi pregherei di farmelo sapere), potreste contattare l’acquirente dell’opera di Beeple: Everydays: the First 5000 Days e chiedergli se è disposto a vendervela. È reduce dall’aver vinto un’asta di Christie’s per 70 milioni di dollari, ma magari è in crisi di liquidità e ve la cede allo stesso prezzo.
Concludiamo l’articolo riportando un esempio di come potrebbero apparire le transazioni di opere d’arte tracciate con NFT sulla Blockchain Ethereum:
4 Febbraio 2020. Transazione: 06129f. L’utente @caravaggio_4.0 (chiave pubblica: 0824e360bd4) dichiara l’intenzione di creare una nuova opera con identificativo: san_matteo+angelo.tif |
5 Febbraio 2020. Transazione: 2d6ecf. Utente @caravaggio_4.0. Descrizione nuova opera: san_matteo+angelo.tif. Numero pixel 1000×1000, 24-bit colore. Primo pixel: RGB 32AA20. Secondo pixel: RGB 33AB66. Terzo pixel: RGB 33BA50 … (in questo primo esempio vengono annotati tutti i pixel dell’opera) |
16 Settembre 2020: Transazione: 5a16b0. Utente @caravaggio_4.0. Descrizione nuova opera: vocazione_san_matteo.jpg. Dimensione: 463524 bytes. Firma digitale del file: 24be12ff70 (in questo secondo esempio si annota solo la firma digitale dell’opera) |
4 Gennaio 2021: Transazione: ac7fd8. Utente @caravaggio_4.0. Dichiarazione di vendita del file: golia_decapitato.jpg (firma digitale del file: 5632da3f00) all’utente: @sotheby_s (chiave pubblica: 9ea8080d8e) per un controvalore di: 10 Ether. |
La nostra carrellata sugli NFT e sull’applicazione ai certificati di proprietà e al collezionismo digitale termina qui.
Spero l’abbiate trovata interessante. Rimanete sintonizzati per altri articoli su quest’argomento !
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