Pubblichiamo questa intervista a Graziano Surace docente di matematica e fisica e attualmente dottorando presso il Dipartimento di Matematica della Sapienza di Roma.

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Come è nata l’idea di scrivere questo libro?

L’idea di questo libro – o forse meglio, l’idea degli articoli che hanno preceduto la pubblicazione di questo libro – è nata da una esigenza didattica che ho avvertito come docente quando ho dovuto elaborare un percorso di fisica moderna per il liceo. Sfogliando i manuali scolastici e universitari mi sono accorto che le questioni relative alle origini della fisica quantistica trovano poco spazio all’interno. La storia della nascita della fisica quantistica è relegata di solito in qualche paragrafo dal carattere minimalista, in cui si fatica a capire cosa Planck abbia quantizzato. D’altro canto, sebbene esista una vasta letteratura scientifica sulle origini della fisica quantistica, molte ricostruzioni storiche sono imprecise, acritiche e fuorvianti, sia sul lavoro di Planck, sia sul contesto in cui è stato fatto. È nata così l’idea di pensare al mio percorso storico-didattico. Un’idea che si è condensata in alcuni articoli e, infine, in questo libro. Il quanto di sfida è un saggio storico che raccoglie e amplia i contenuti di una tetralogia di articoli comparsi tra il 2018 e il 2020 sulla rivista di matematica e didattica Progetto Alice, in occasione del centenario del conferimento del premio Nobel a Max Planck. Il volume di sintesi che ne è scaturito non è il risultato di una ricerca originale quanto il frutto di un attento lavoro di revisione storiografica.

Per chi è pensato il testo?

Il libro ha come interlocutori privilegiati i docenti e gli studenti di discipline scientifiche o di storia della scienza. Ma non si rivolge solo a loro: quest’esposizione vuole offrire una lettura stimolante anche a un pubblico più ampio, che non è necessariamente specialista della disciplina ma è comunque desideroso di scoprire come le leggi della fisica siano diventate quelle che sono oggi. Come, in particolare la legge del corpo nero, una legge in apparenza innocua, abbia di fatto stravolto la scienza e la società del XX secolo.

Il titolo “il quanto di sfida” è un gioco di parole che, in base a quanto scrivi sul libro, si origina dal “guanto” di sfida che nel 1860 venne lanciato da Kirchhoff. Puoi spiegare ai nostri lettori in che cosa consisteva questa sfida?

Gustav Kirchhoff (fonte wikipedia)

La teoria dei quanti è figlia di un problema che si era posto nella seconda metà del XIX secolo: l’irraggiamento del corpo nero. Anche se può apparire singolare, il problema del corpo nero non ha una natura teorica. Come suggerisce il criptico disegno sulla prima di copertina del libro, quello del corpo nero è un problema tecnico-pratico che risale ai primi decenni dell’Ottocento, quando si pose il problema di scegliere la fonte luminosa più conveniente per illuminare le strade delle città. Nella seconda metà del XIX secolo, i fisici identificarono questa fonte di luce in una sorgente ideale, cioè una sorgente che emette la stessa radiazione indipendentemente dalle proprietà chimiche o dalla geometria della sorgente. Tale radiazione fu chiamata radiazione di corpo nero. Per decenni, le proprietà di questa radiazione rimasero misteriose e suscitarono l’interesse della comunità scientifica. La svolta si ebbe nel 1859 quando Gustav Kirchhoff stabilì una legge fondamentale su come la luce viene emessa e assorbita dalla materia. Kirchhoff comprese che a una fissata temperatura, il rapporto fra il potere emissivo e il potere assorbente di un corpo è una funzione universale della temperatura che non dipende dalla forma o dalla composizione chimica del corpo. Per il corpo nero, tale funzione universale coincide con il suo potere emissivo. Kirchhoff intuì che la determinazione del potere emissivo del corpo nero avrebbe costituito la chiave di accesso ai meccanismi di assorbimento ed emissione della luce da parte della materia. Nel 1860 egli scriveva:

«è compito di massima importanza determinare questa funzione. Grandi difficoltà si frappongono alla sua determinazione sperimentale. Tuttavia, non appare priva di fondamento la speranza che essa abbia una forma semplice, come accade per tutte le funzioni indipendenti dalle proprietà dei singoli corpi e noti finora».

Alle orecchie degli esperti di radiazione le parole di Kirchhoff risuonarono come un guanto di sfida. Per circa quarant’anni, il problema di dare una forma matematica a questa funzione si rivelò un vero e proprio rompicapo.

Nel preambolo al testo scrivi che il libro è un saggio sulle origini di quella che viene indicata normalmente come la Old Quantum Theory (OQT). In che cosa consiste la OQT e cosa la differenzia dalla meccanica quantistica successiva?

Con old quantum theory gli storici della fisica indicano i modelli e le teorie che si sono sviluppati nel primo quarto del XX secolo come correzioni euristiche alla fisica classica (p.e. il principio di sclusione di Pauli, il modello di Bohr-Sommerfeld dell’atomo, etc.). Ciò per distinguere la old quantum theory da una teoria più matura, la quantum mechanics, o che si sviluppò a partire dal 1925 grazie ai contributi sulla meccanica delle matrici dei fisici Werner Heisenberg, Max Born e Pascual Jordan.

Sempre nel preambolo scrivi che la scommessa fatta nello scrivere questo testo consiste nel coniugare “divulgazione scientifica” con “rigore disciplinare della fisica e della storia”. Puoi spiegare meglio questa idea e le difficoltà collegate?

Per il tema che tratta e la platea eterogenea di lettori a cui si rivolge, questo libro ha l’obiettivo ambizioso di coniugare la divulgazione scientifica (per chi non ha troppe pretese) con il rigore della fisica e della storia (per chi ha qualche pretesa in più). Più di qualcuno mi ha messo in guardia dal miscelare due generi così diversi. In effetti si tratta di un’operazione delicata e, pur trattandosi di un suggerimento saggio, non l’ho seguito. Ho voluto mescolare i due generi e questa sorta di critica preventiva si è rivelata una motivazione aggiuntiva a non desistere dal perseguire l’obiettivo che mi ero prefissato.

In che modo il tuo testo si differenzia dalla trattazione dell’argomento che viene fatta nei libri scolastici e universitari?

Il quanto di sfida non è un manuale; è piuttosto un trait d’union fra il mondo della letteratura accademica, la manualistica e quello della divulgazione scientifica. Per raccontare l’evoluzione dei fatti, delle idee, delle ipotesi, dei modelli, delle teorie e degli esperimenti che hanno condotto alla nascita della fisica quantistica, ho privilegiato l’utilizzo delle fonti storiche primarie. Molte di queste fonti sono disponibili in rete, tradotte dal tedesco in inglese, talvolta anche in italiano. I contributi scientifici dei protagonisti di questa storia sono stati riordinati cronologicamente e la loro analisi è una parte consistente di questa ricostruzione. Lo stile della presentazione è poco formale. Per alleggerire la lettura del testo ho inserito in nota le dimostrazioni più tecniche e ho aggiunto delle note biografiche che aiutano a contestualizzare i protagonisti. Sparso qua e là nel testo, ho riportato qualche aneddoto, senza che il tutto si riduca ad aneddotica, come talvolta si intende la divulgazione in una sua accezione distorta. Sorprenderà il lettore scoprire che in un libro dedicato alla nascita della fisica quantistica, ho evitato di rispondere a una domanda ricorrente fra il pubblico dei non esperti: “cos’è la fisica quantistica”.

Nello scrivere il libro ti sei ispirato a qualche libro di riferimento dal punto di vista dell’impostazione e dello stile divulgativo?

Non mi sono ispirato in maniera esplicita a libri in particolare. Tuttavia, è, probabile che lo abbia fatto implicitamente! Ciò che posso dire con certezza è che molte delle letture indicate nei suggerimenti bibliografici finali del libro (p.e. Emilio Segré, Max Jammer, Hans Kangro, Thomas Kuhn, Jagdish Mehra, Olivier Darrigol, Martin Klein, Abraham Pais, etc. ) sono state letture molto stimolanti.

Nell’introduzione evidenzi, prendendo spunto dalle parole di Max Born, che il 14 dicembre 1900 accade qualcosa di rivoluzionario. Cosa è successo in quel giorno?

Max Planck (fonte wikipedia)

Nell’introduzione del libro ho paragonato il 14 dicembre 1900 al 12 ottobre 1492, la data della scoperta dell’America che separa il medioevo dalla storia moderna. Il 14 dicembre 1900 rappresenta qualcosa di analogo per la storia della scienza: è la linea di confine fra l’epoca della fisica classica e l’epoca della fisica moderna. Il 14 dicembre 1900 è la data di nascita della fisica quantistica. Il fisico tedesco Max Planck fu il padre di questa creatura. All’epoca ‘del fatto’ aveva quarantadue anni; e il ‘fatto’ si svolse a Berlino durante una riunione del venerdì della Società Tedesca di Fisica (DPG). L’atto di nascita della fisica quantistica è una Comunicazione di Planck ai membri della DPG lunga appena nove pagine: è qui che compare per la prima volta l’ipotesi del quanto d’azione h. L’impresa scientifica del fisico tedesco ricorda per alcuni versi quella di Cristoforo Colombo: cercando la via delle Indie come il navigatore genovese, anche Planck, partendo da presupposti sbagliati, aprì a un mondo nuovo: quello ideale della conoscenza e delle implicazioni di una nuova fisica che riguardano la vita di tutti. Ormai sono trascorsi più di centoventi anni da questa scoperta, un tempo lungo a sufficienza per stimarne l’importanza per la scienza e per lo sviluppo del pensiero umano. Per dirla con le parole di Max Born riportate anche in quarta di copertina, la scoperta del quanto d’azione è stato «un evento di prim’ordine, paragonabile alle rivoluzioni scientifiche portate da Galileo e Newton, Faraday e Maxwell. Come queste ha cambiato l’intero aspetto della fisica e ha profondamente influenzato tutte le scienze vicine, dalla chimica alla biologia. Le sue implicazioni filosofiche vanno ben oltre l’epistemologia della scienza stessa, fino alle radici più profonde della metafisica»

Il primo capitolo si intitola “La crisi della fisica classica e l’enigma del corpo nero”. Puoi riassumere ai nostri lettori di cosa parla questo capitolo?

Vista sotto la lente della storia, la nascita della fisica quantistica segna la crisi della fisica classica proprio quando l’edificio dei modelli e delle teorie ottocentesche (meccanica, elettromagnetismo e termodinamica) sembra incrollabile. Una crisi che esplode alla fine dell’Ottocento, quando gli scienziati iniziano a descrivere le proprietà del mondo alla scala microscopica di atomi, molecole e di luce interagente con essi: si pensi, per esempio, alla scoperta dei raggi X, a quella dell’elettrone, della radioattività, alla radiazione di corpo nero, all’effetto fotoelettrico, alla variazione di frequenza della radiazione diffusa da un materiale, al comportamento anomalo dei calori specifici a basse temperature, etc. Ma i primi sintomi di crisi della fisica classica si erano già presentati intorno alla metà del XIX secolo quando fu necessario interpretare gli spettri di emissione (e assorbimento) degli elementi chimici e collocarli all’interno di un quadro esplicativo e coerente di fisica classica.

La teoria dei quanti elaborata nei primi anni del Novecento è figlia del problema dell’irraggiamento del corpo nero. La radiazione di corpo nero è una particolare radiazione termica, cioè quella radiazione elettromagnetica che viene emessa per irraggiamento da un corpo a temperatura superiore allo zero assoluto. Oggi sappiamo che l’energia di tale radiazione si distribuisce su tutto lo spettro delle frequenze e che la sua intensità cresce al crescere della temperatura. Nel corso del XIX secolo, per decenni, le proprietà della radiazione nera rimasero misteriose. In particolare, i fisici faticavano a spiegarne lo spettro energetico, ossia il modo in cui l’energia si distribuisce fra le frequenze di questa radiazione. Si sa, nella scienza, le parole mistero e fascino vanno spesso a braccetto! Forse per questo l’interesse della comunità scientifica verso questo tipo di radiazione si è mantenuto vivo a lungo.

Nel libro si intrecciano i percorsi teorici e sperimentali che hanno portato ai grandi progressi scientifici dell’ ‘800 che portarono alla creazione della teoria della radiazione termica. Il secondo capitolo è appunto incentrato su questo. In particolare in quel capitolo parli di Bunsen e Kirchhoff e della serie di esperimenti da loro realizzati. Puoi dare qualche dettaglio su questo ai nostri lettori?

Le ricerche sul calore condotte durante l’Ottocento avevano convalidato l’ipotesi che si potesse trasferire calore nel vuoto per mezzo della radiazione. Attraverso una serie di esperimenti dedicati alla determinazione della quantità di calore raggiante trasferito fra due corpi, i fisici francesi Pierre Dulong e Alexis Petit avevano ricavato una legge empirica che esprimeva la dipendenza del potere emissivo di una sorgente dalla sua temperatura. La legge di Dulong-Petit riusciva a spiegare il trasferimento di calore alle alte temperature ma prediceva un trasferimento di calore anche a temperature uguali allo zero assoluto. Con la messa a punto delle tecniche sperimentali di spettroscopia basate sulla dispersione della luce, nel corso del XIX secolo, le ricerche sull’irraggiamento virarono sullo studio della radiazione solare, in particolare del suo spettro nella regione dell’infrarosso, oltre il visibile. Nel corso del XIX secolo, la teoria dell’irraggiamento poté beneficiare degli apporti provenienti da due “giovani” discipline: l’astrofisica e la spettroscopia. Un esempio di questo benefico apporto è costituito dalle ricerche che aprirono il campo alla spettrochimica, cioè l’analisi chimica degli spettri ottici. Fra le più importanti, ricordiamo gli studi sugli spettri luminosi prodotti dalla combustione di sali condotti da Kirchhoff e Bunsen all’Università di Heidelberg tra il 1859 e il 1860 e quelli condotti da Kirchhoff sulle linee di Fraunhofer. Come ho già accennato in una precedente risposta, nella seconda metà dell’Ottocento, la teoria della radiazione termica si sviluppò come conseguenza della legge di Kirchhoff del 1859 sullo scambio di luce e calore. Vale la pena ritornare su questo che è un punto fondamentale della storia: introducendo i metodi della termodinamica classica nello studio della radiazione elettromagnetica, Kirchhoff aveva dedotto che, per un corpo a una fissata temperatura, il rapporto tra il suo potere emissivo e il suo potere assorbente era una funzione universale dipendente soltanto dalla temperatura del corpo e non dalla sua forma o dalla sua composizione chimica. Tale funzione universale, a cui i fisici iniziarono a dare la caccia dagli inizi degli anni ‘60, coincideva con il potere emissivo del corpo nero. L’aspetto da sottolineare è il seguente: pur non conoscendone l’espressione analitica, Kirchhoff aveva intuito che la determinazione di questa funzione universale avrebbe costituito la chiave di accesso ai meccanismi di interazione radiazione-materia.

Il terzo capitolo si incentra sul periodo 1895-1899. Cosa succede in quel periodo di così importante?

È un periodo importante per gli sviluppi sperimentali. Negli anni Novanta si fece un grosso passo in avanti con lo sviluppo delle cavità nere (Lummer e Pringsheim) e dei corpi neri elettrici (Lummer e Kurlbaum) con cui si ovviava ai limiti sperimentali imposti dall’utilizzo dei corpi anneriti come sorgenti di radiazione. Grazie a figure come Heinrich Rubens e i suoi collaboratori all’Istituto di Fisica Tecnica (PTR) di Berlino-Charlottembourg, gli esperimenti sul corpo nero iniziarono a esplorare lo spettro della radiazione emessa nella regione del cosiddetto lontano infrarosso. Il risultato scientifico più significativo dell’opera di messa a punto di nuova tecnologia sperimentale fu la scoperta, nel 1896, dei raggi residui (Reststrahlen) da parte di Rubens e del fisico statunitense Ernest Nichols. Per rilevanza, ricordiamo anche gli studi sperimentali condotti da Friedrich Paschen ad Hannover e la messa a punto, con un suo collaboratore, di un metodo fotometrico per determinare una delle costanti della legge esponenziale di Wien.

Nel quarto capitolo, la ricostruzione storica da te descritta nel testo arriva al suo compimento con la figura di Planck. In che senso questi era un “fisico conservatore radicato nella scienza e nella cultura tedesca della seconda metà dell’Ottocento”?

Il quarto capitolo è interamente dominato dalla figura di Planck. Nel libro si dice poco delle sue vicende biografiche, delle sue tragedie familiari, del suo credo religioso, dell’accademico amante della musica e del pianoforte, dell’uomo tutto d’un pezzo, corretto, generoso e onesto descritto da amici e colleghi. Mi sono soffermato, invece, sull’ipotesi del quanto d’azione, un aspetto peculiare della sua produzione scientifica che mette in risalto la figura ossimorica di Planck conservatore-rivoluzionario. Planck era «un fisico classico al cento per cento» – per dirla con le parole del cosmologo russo Georg Gamow –, di fatto un ‘termodinamico’ di formazione, e non si era mai occupato prima del 1892 di radiazione elettromagnetica. Le sue prime ricerche teoriche si erano concentrate sul secondo principio della termodinamica e sul concetto di entropia, di cui era divenuto uno dei massimi esperti a livello mondiale. In particolare, egli si era avvicinato alla fisica e alla chimica dell’equilibrio studiando fenomeni come le transizioni di fase e le dissociazioni elettrolitiche, tematiche affrontate prima di lui già dal chimico fisico statunitense Josiah Gibbs e dal chimico fisico svedese Svante Arrhenius. Planck iniziò a occuparsi di radiazione termica intorno al 1895 mosso dai suoi interessi verso due settori disciplinari specifici: quello delle onde elettromagnetiche, scoperte nel 1887 dal fisico tedesco Heinrich Hertz; quello della termodinamica, per l’importante ruolo giocato nella descrizione dei fenomeni di interazione radiazione-materia.

Cosa ti ha colpito di più del percorso che ha portato Planck a formulare l’ipotesi del “quanto di azione”?

Mi colpiscono molti aspetti che sarebbe difficile sintetizzare in quest’intervista. Mi piace, tuttavia, sottolinearne uno. Furono necessari quarant’anni per risolvere l’enigma del corpo nero. La teoria di Planck della radiazione termica di equilibrio, che giunse a termine di un percorso controverso e tormentato, fu la risposta al «guanto di sfida» lanciato da Kirchhoff quattro decenni prima. Ma la soluzione del rompicapo costò cara. La teoria del corpo nero di Planck valicava il confine della fisica ottocentesca poiché rinunciava a un concetto fondante della fisica classica: l’idea che le grandezze fisiche varino con continuità fra due valori. La quantizzazione era un’ipotesi azzardata e, di sicuro, non era l’obiettivo primigenio del fisico tedesco. L’ipotesi quantistica fu un suo «atto di disperazione». Non sorprende che lo storico della scienza Olivier Darrigol abbia dipinto Planck come un «rivoluzionario suo malgrado». Nel quarto capitolo, di cui si è accennato nella domanda precedente, il lettore scopre le difficoltà e le sofferenze del fisico tedesco. Un capitolo che richiama a una visione di storiografia, propria di scienziati illustri come Steven Weinberg, secondo la quale non si possono capire veramente i successi della scienza «se non si capisce anche quanto essi siano sofferti: quanto sia facile essere fuorviati, quanto sia difficile sapere, in ogni circostanza, qual è la prossima cosa da fare». Per due mesi, fra l’ottobre e il dicembre del 1900, «il periodo eroico della sua vita», Planck lavorò in modo febbrile per dare un’interpretazione alla formula del corpo nero ricavata nel mese di ottobre. Nella comunicazione del 14 Dicembre 1900 in cui egli ipotizzò l’esistenza del quanto d’azione, egli non aggiunse alcun commento alla sua teoria. Nemmeno nei cinque anni successivi, a onor del vero. Pensando al Planck rivoluzionario etichettato nei manuali, sorprende constatare che nel dicembre 1900 non si verificò nessuna rivoluzione propriamente detta.

Nell’epilogo del libro scrivi che

“La maggioranza dei fisici, ad eccezione di H.A. Lorentz e Paul Ehrenfest, non comprese fino in fondo gli aspetti innovativi della teoria quantistica e vide nella procedura di Planck una sorta di continuità con i suoi lavori precedenti, un semplice sviluppo della sua linea di ricerca”. Puoi spiegare perché questo è accaduto?

Sembra che Planck fosse conscio dell’importanza della sua scoperta. Uno dei suoi figli raccontò che il padre, durante una passeggiata, gli confidò di aver scoperto qualcosa degno di Newton. Tuttavia, fino al 1907, Planck non enfatizzò gli aspetti rivoluzionari della sua teoria. Secondo lo storico Martin Klein, l’atteggiamento di indifferenza della comunità scientifica verso la scoperta di Planck si può spiegare in vari modi. Il più ovvio, è che la teoria della radiazione non fosse al centro dell’interesse della fisica nel 1900 (c’erano state scoperte più appassionanti pochi anni prima: i raggi X, la radioattività, l’elettrone, il radio etc.). Ma probabilmente il lavoro di Planck stentò a decollare anche a causa di aspetti congiunturali. Infatti, proprio nel periodo in cui l’atomo conquistava il centro della scena sperimentale, un nutrito e influente gruppo di studiosi dell’Europa continentale, con orientamento filosofico positivistico, si opponeva alla teoria atomica. Sul fronte insulare, in Inghilterra, Lord Rayleigh e James Jeans indagarono il significato del lavoro di Planck solo nel 1905. Né Rayleigh, né Jeans erano simpatizzanti dell’idea di quanto d’energia e nessuno dei due era interessato a sviluppare ulteriormente l’idea. Albert Einstein, invece, colse subito la portata del lavoro di Planck. Come scrisse molti anni dopo, il profondo divario tra i quanti di Planck e la fisica classica «mi fu assolutamente chiaro subito dopo la pubblicazione dell’opera fondamentale di Planck». Secondo il fisico di Ulm la quantizzazione dell’energia non era limitata ai soli processi di assorbimento ed emissione della radiazione ma si manifestava anche nella propagazione dell’energia radiante o luminosa nello spazio. Einstein mostrò che la radiazione stessa possedeva una sorta di struttura granulare, il che era ovviamente in contraddizione con la teoria di Maxwell e andava al di là di qualsiasi conclusione che lo stesso Planck avesse tratto.

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