Paola Tellaroli

Proseguiamo la serie di interviste dedicata ad esempi di divulgazione che riteniamo al contempo interessanti e rigorosi intervistando Paola Tellaroli, biostatistica che ha realizzato il Podcast intitolato Statfulness.

Paola Tellaroli è biostatistica e autrice di diversi libri pubblicati con Newton Compton, Odòs, Pangea Cartonera e presto anche con Terredimezzo. Ha fondato e mantiene attivo il “Gruppo Statistici – Italia” su Facebook che al momento conta oltre 8800 membri.



Come è nata l’idea di creare un podcast incentrato proprio sulla statistica?

L’idea di fare qualcosa di divulgativo nel mio campo mi ronzava in testa da anni, dato che mi pareva non ci fosse nessuno nel panorama italiano che se ne occupasse, ed è andata rafforzandosi sempre più ogni volta che sentivo parlare di statistica a sproposito. Così un giorno mi sono detta che era arrivato il momento di unire le mie due professioni per cercare di far capire almeno le basi della statistica all’uomo della strada e (compito se possibile ancora più difficile) ho voluto provare a farlo in modo che questa materia risultasse divertente, per sfatare il mito che la statistica sia noiosa e al tempo stesso per cercare di arginare l’analfabetismo statistico galoppante che ci circonda.

Così ho cercato di mettere in fila gli esempi che facevo ai miei studenti quando insegnavo all’università, ho aggiunto qualche esempio più recente ed è nato un lungo articolo per Query, la rivista del CICAP (Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sulle Pseudoscienze fondato da Piero Angela), che ha riscosso un discreto successo. Perciò poi ho pensato di farne un podcast che fosse fruibile a tutti, non solo agli abbonati del CICAP che un po’ di statistica la masticano di già, e così è nato Statfulness.

Per quale pubblico è pensato?

È veramente per tutti: dagli studenti che pensano di odiare la statistica, a chi magari ci ha a che fare per professione ma alcuni argomenti gli sfuggono ancora, a chi è semplicemente curioso e vuole saperne un po’ di più. Ma in cuor mio mi auguro che aiuti i professori a trovare esempi più accattivanti per spiegare la statistica senza annoiare a morte i poveri studenti e che possa tornare utile soprattutto a chi sta per decidere quale percorso formativo vorrà seguire, perché in tanti non essendo a conoscenza dell’esistenza di dipartimenti dedicati alle Scienze Statistiche non la prendono nemmeno in considerazione.

Perché il nome “Statfulness”?

È un tributo a Hans Rosling e al suo Factfulness, e mi piaceva perché mi pare renda bene l’idea che sta alla base del podcast, ovvero che conoscere almeno le basi della statistica può migliorare la vita alle persone.

C’è un motivo particolare per cui hai deciso di creare un podcast e non, per esempio, dei video per un canale youtube?

Perché i podcast mi piacciono particolarmente e stanno funzionando bene, le persone possono ascoltarli mentre fanno altro e questa è la loro forza. Inoltre perché trovo che la mia faccia non sia particolarmente interessante e forse avrebbe distratto gli ascoltatori.

In che senso, come dici nel tuo podcast, la statistica è “la grammatica della scienza”?

È una citazione dello statistico britannico Karl Pearson che credo dia bene l’idea dell’utilità di questa materia. Dato che il metodo scientifico prevede che si raccolgano dei dati per verificare un’ipotesi, senza la statistica le scienze non riuscirebbero a giungere alle loro conclusioni. Ecco quindi che la statistica è diventata l’elemento fondante per qualsiasi altra scienza: le analisi finanziarie, la valutazione dell’efficacia dei farmaci o degli effetti di una politica e persino la datazione di un reperto archeologico non sarebbero spesso possibili senza di essa. “Il bello di essere statistici è che si può giocare nel giardino di tutti gli altri”, disse il matematico americano J.W. Tukey, ed è proprio questo l’aspetto più affascinante della statistica, la sua trasversalità, nel senso che può veramente essere applicata a qualsiasi campo: letteratura, sport, clima, economia, medicina, archeologia, psicologia. E in ognuno di questi campi utilizza però tecniche specifiche, diverse.

Ci puoi anticipare alcuni degli argomenti trattati nelle varie puntate del podcast?

Ho cercato di strutturarlo per gradi: ho iniziato parlando dell’importanza di un buon campionamento, del ruolo fondamentale degli indicatori di variabilità, poi ho trattato di risultati inattesi dovuti al paradosso di Simpson e all’uso non consapevole di frequenze assolute. Poi mi sono inoltrata nei grafici fuorvianti, ho parlato di eventi indipendenti e della tanto abusata legge dei grandi numeri, ma anche di correlazione, della Normale e di regressione verso la media. Infine ho osato parlare di Monty Hall, di significatività, di meta-analisi, del dilemma del prigioniero e di coincidenze.

Come hai scelto i temi da trattare?

Ho scelto questi argomenti perché sono quelli di un classico corso di statistica di base e perché penso che le persone equipaggiate con questa cassetta degli attrezzi possano essere meno indifese nel mondo là fuori.

Uno dei tuoi podcast è incentrato sull’argomento delle meta-analisi a partire dagli studi di Cochrane. Puoi anticipare qualcosa ai nostri lettori di questa puntata?

Volentieri! Dato che troppo spesso si sente dire “Uno studio dice che…” seguito da uno strabiliante

Archie Cochrane (fonte: Cardiff University Library, Cochrane Archive, University Hospital Llandough)

risultato che ribalta quello che si era sempre pensato su un dato argomento, in questa puntata – partendo dall’intuizione di Archie Cochrane – evidenzio il fatto che i risultati di un solo studio non saranno mai né sufficientemente attendibili né generalizzabili. Perciò sono nate le meta-analisi e le revisioni sistematiche che, includendo tutti gli studi simili di buona qualità svolti su di un tema, rendono possibile – combinando i loro dati o i loro risultati – prendere una decisione razionale in merito. O almeno dovrebbero.

Quale fra i temi trattati è stato più difficile da affrontare?

Probabilmente l’episodio sui grafici, data l’assenza di un supporto visivo.

Hai già in mente degli argomenti che vorresti trattare in futuro su podcast?

Premesso che non sono certa che ci sarà una seconda stagione di Statfulness, gli argomenti da trattare non mancano di certo! Ad esempio potrei spiegare perché esistono i falsi positivi (così che non ci si faccia prendere dal panico se ad un primo screening si risulta positivi), che la sfortuna non esiste e l’importanza del placebo.

Veniamo ora a delle domande di carattere più generale.

In che modo ti sei appassionata alla statistica?

Ad essere sincera… assolutamente per caso! 😅

Ammetto che la scelta di laurearmi in statistica fu del tutto incosciente. Io avrei voluto diventare giornalista ma la mia famiglia non era d’accordo. Fu la professoressa di matematica a consigliarmi di provare a proporre loro statistica, dato che le due materie nelle quali eccellevo senza sforzo erano matematica e inglese e visto anche che quella dello statistico era una carriera che iniziava ad emergere, dicendomi che poi avrei sempre potuto tentare la carriera giornalistica. Funzionò in famiglia (che non capendo cosa fosse acconsentì) e fortunatamente mano a mano che la approfondivo mi affascinò quel suo mettere ordine nel caos dell’incertezza. Ma quando mi iscrissi non avevo la più pallida idea di cosa mi avrebbe aspettato, perciò non ringrazierò mai abbastanza quella professoressa che ci vide lungo!

Qual è stato il tuo percorso formativo?

Alla triennale mi sono laureata in Statistica e Ricerca Sociale all’Università di Bologna, ma fu durante l’Erasmus in una grande école francese che scoprii l’esistenza della biostatistica, che mi affascinò fin da subito con le sue metodologie che mi avrebbero permesso di aiutare i malati senza per forza vedere del sangue! Perciò poi scelsi di iscrivermi al corso di laurea magistrale in Biostatistica e Statistica Sperimentale presso l’Università di Milano Bicocca, che terminai lavorando già per l’Istituto Oncologico Veneto a Padova. Alla fine della mia borsa di studio iniziai un dottorato di ricerca sempre a Padova che mi portò per un anno a Detroit, dove trascorsi il periodo di ricerca più entusiasmante della mia vita (fino ad ora, chè non si sa mai)!

Di cosa si occupa un biostatistico?

Le cose di cui si occupa un biostatistico possono variare in base al campo, dato che per ‘biostatistica’ si intende l’applicazione della statistica alle scienze biologiche, questa spazia in una vasta gamma di contesti, dalla medicina all’agricoltura. E anche nel mio ambito, che è praticamente sempre stato medico, ho potuto constatare come le cose di cui si occupa un biostatistico tendono a variare anche col posto di lavoro, che può essere tipicamente un istituto di ricerca, un’azienda ospedaliera o farmaceutica, un registro di patologia, un’azienda di servizi (Contract Research Organization) o gli enti regolatori.

In genere un biostatistico comunque aiuta a formulare il quesito di ricerca, sceglie il tipo di disegno per lo studio (ad es. studi controllati randomizzati, studi di coorte, cross-over, ecc.) e le analisi statistiche più appropriate, individua i metodi da mettere in atto al fine di ridurre i fattori confondenti e le distorsioni, si occupa di calcolare il numero di pazienti ottimale da arruolare, ed è sempre lui che programmando con software appositi (leggi, non con Excel 😂) pulisce i dati da errori, li analizza e, infine, li interpreta dal punto di vista statistico. Capite quindi che il biostatistico è una figura professionale indispensabile per condurre una ricerca.

Pensi che le competenze statistiche della attuale società siano sufficienti o c’è “ancora da lavorare”? Secondo te, la statistica trova abbastanza spazio nella scuola italiana e nella divulgazione scientifica? In che cosa, in caso, si potrebbe “migliorare”?

Temo proprio di no, dato che ancora troppe persone hanno paura di prendere l’aereo ma poi giocano al lotto! I programmi di insegnamento italiani hanno incluso la statistica da poco tempo (l’ISTAT dice che l’introduzione risale al 1979 per la scuola media [oggi scuola secondaria di primo grado] e al 1985 per la scuola elementare [oggi scuola primaria], ma io sono nata nel 1986 e la statistica ho dovuta andarmela a cercare, non mi è mai arrivata in classe), però la statistica ci viene continuamente propinata e senza padroneggiare gli strumenti necessari siamo indifesi, ci lasciamo ingannare ad esempio da sondaggi costruiti appositamente per fuorviarci da uffici del marketing che fanno il loro gioco. E i risultati si vedono, dato che abbiamo un’alfabetizzazione statistica inferiore alla media globale OCSE e, non a caso secondo me, abbiamo la percezione più distorta della realtà secondo una classifica IPSOS del 2018 che confrontava 13 nazioni occidentali.

Personalmente ritengo che oggi non conoscere le nozioni di media, varianza, correlazione e di fluttuazione casuale sia peggio di non saper fare una moltiplicazione o una divisione, dato che per queste non c’è calcolatore che tenga. Perciò bisognerebbe cominciare dall’istruzione, io introdurrei il ragionamento probabilistico e statistico in classe insegnandolo in modo interattivo, non la solita lezione frontale che non fa che confermare il pregiudizio che la statistica sia noiosa. Inoltre, bisognerebbe fare più divulgazione statistica anche per gli adulti, dato che sono la fetta più consistente della nostra popolazione e, soprattutto, perché questi hanno diritto di voto. Perché solo così possiamo essere cittadini consapevoli, non manipolabili delle statistiche spettacolo e allarmati per i problemi reali, invece che da quelli inventati. E poi andrebbero adeguatamente istruiti anche i giornalisti e chi lavora nel reparto grafico, professioni tipicamente carenti in quanto a nozioni statistiche. Ma questa temo sia fantascienza, dato che anche i nostri politici “usano le statistiche nello stesso modo in cui un ubriaco usa il lampione, per supporto piuttosto che per illuminazione” come disse lo scrittore scozzese Andrew Lang.

Potresti suggerire ai nostri lettori dei libri utili (divulgativi e meno divulgativi) per approfondire la conoscenza della statistica?

David Spiegelhalter, L’arte della statistica – Cosa ci insegnano i dati, 2020, Einaudi

Hans Rosling, Factfulness, 2018, Rizzoli

David J. Hand, Statistica. Dati, numeri e l’interpretazione della realtà, 2012, Codice Edizioni

Darrell Huff, Mentire con le statistiche, 2009, Monti e Ambrosini

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