Presentiamo ai nostri lettori questa intervista a Sandra Lucente incentrata sul  libro  intitolato “Quanti? Tanti! Le potenze del dieci e la potenza delle domande” recentemente pubblicato da Dedalo.

Il libro è acquistabile per esempio qui e qui.

 In passato abbiamo avuto già occasione di intervistare Sandra Lucente per recensire i suoi libri di divulgazione.


Come è nata l’idea di scrivere questo libro?

Ho una poligamia culturale! Dopo il successo dei testi sugli Itinerari Matematici in Puglia e in Basilicata che mi avevano tenuto molto tempo sul bellissimo argomento del vedere la matematica nei luoghi, in particolare nell’arte, avevo bisogno di cambiare. Ho scritto tanti articoli su riviste e quotidiani in questi anni e questa scrittura è stata un nuovo spunto per descrivere la matematica attorno a noi, nel mondo dell’informazione in particolare. All’inizio ho lavorato ad un libro sulle scelte, come se il concetto matematico di scelta fosse il più adatto per quello che volevo raccontare. Poi ho capito che gli ordini di grandezza traducevano meglio il disagio che spesso si avverte verso la matematica sui social e tra le news e quindi ho spostato il focus su questo tema.

Perché questo titolo?

Nella parte dialogica del libro T&Q sono la parte bambina di noi che pone domande. Quindi il titolo riprende queste iniziali nell’ordine in cui ci facciamo le domande per misurare: Quanti…? E nella vaghezza delle risposte: Tanti!

Per chi è pensato questo testo?

La parte dialogica è davvero per tutti. Nelle risposte alle domande mi sono concessa una scrittura con un lessico più ricercato ed evocativo. Credo si legga bene dal terzo superiore in poi, di certo il pubblico appassionato di scienza sarà felice di ritrovare famose o meno note storie presenti nel libro. Io immagino un pubblico speciale: tutti i docenti di ogni ordine e grado che riportino in aula queste storie. Gramsci sosteneva che per costruire un paese ci vogliono “repertori, enciclopedie e dizionari”. Io amo i repertori, le storie che collegano un concetto al nostro immaginario.

Nell’introduzione scrivi che “All’inizio era un libro sui numeri grandi, poi è diventato un  libro sui grandi della scienza”. Puoi spiegare ai nostri lettori questa frase che poni proprio nell’introduzione del tuo testo?

Ad ogni dialogo di T&Q non rispondo io come narratore onnisciente (anche perché non sono affatto onnisciente), ma arriva una lettera immaginaria da un grande scienziato che in qualche modo si è confrontato con la domanda posta nel dialogo. All’inizio i dialoghi erano il centro del racconto sugli ordini di grandezza, poi però scrivendo ho sentito la necessità di raccontare anche gli estensori delle lettere e così il lettore colleziona numeri e pezzi di biografie.

Nell’introduzione suggerisci che il testo può essere letto in diversi modi. Puoi spiegare queste diverse modalità ai nostri lettori?

In tutti i miei libri consento una lettura verticale (dalla prima all’ultima pagina) oppure orizzontale del testo: ci sono 36 capitoli ma il lettore può leggerli nell’ordine che predilige, non perde senso quanto scritto. In questo libro persino io ho deciso verso la fine di andare dai numeri piccoli a quelli grandi, fino ad un mese prima della consegna non sapevo se avrei fatto un itinerario opposto oppure se avrei alternato le potenze positive e negative.

Alan Turing (fonte wikipedia)

In ogni capitolo dopo l’iniziale parte in cui sono coinvolti T&Q, segue una lettera che immagini sia, di volta in volta, rivolta a T&Q dalle scienziate e dagli scienziati che hai scelto.  Quale delle lettera è stata più difficile da scrivere? 

Quella di Alan Turing. Anni fa si sarebbe detto che io appartengo ai matematici puri e quindi scrivere di Intelligenza Artificiale e Crittografia è più difficile per me. Ma credo che il problema è che la vicenda di Alan Turing richiedeva una scrittura delicata. Lui è un misto di determinazione e fragilità, proprio come noi quando diciamo di temere l’Intelligenza Artificiale e ne siamo affascinati.

Quale invece dei dialoghi fra T&Q ti ha più impegnato?

No i dialoghi sono stati tutti facili, sono nati da dialoghi veri e poi avevo un editor speciale e severissimo: dopo averli scritti li leggevo a mio figlio di 13 anni e lui diceva se sembravano domande fittizie oppure urgenti per la mente ragazzina.

I titoli dei capitoli sono molto suggestivi. Ne presentiamo qualche esempio per fare una idea della ricchezza di questo libro. 
– $10^{-30}$ Un quintilionesimo, un quecto. Emmy Noether: conservare la bellezza.
– $10^{-18}$ Un trilionesimo, un atto. Albert Einstein: l’antigulliver senza naufragio
– $10^{15}$ Un bilardo, un peta. Sophie Germain: quello che non è qualcos’altro
Quale è stato il percorso che ti ha portato ad associare scienziati a corrispondente ordine di grandezza?

Anche questo si è chiarito via via che scrivevo. Prima di questo libro per me i numeri erano tutti uguali. Poi però ho capito che dare nomi speciali a degli ordini di grandezza è stata una necessità via via che l’immaginazione e la tecnologia si sviluppavano. Questo percorso storico sul nome degli ordini di grandezza mi ha guidato nell’associare Archimede a diecimila (per i suoi calcoli della miriade), Einstein all’atto per via delle onde gravitazionali e così via. Se Einstein non avesse previsto le onde gravitazionali probabilmente non avremmo avuto bisogno di chiamare in modo speciale $10^{-18}$.

Il testo è arricchito anche dalle vignette di Fabio Magnasciutti. Come è nata questa collaborazione e come avete interagito per individuare le vignette adeguate per le varie parti del libro?

Una delle vignette oggi presenti nel libro era stata realizzata da Fabio durante una mia conferenza ad Urbino alcuni anni fa. Io avevo parlato mezzora ma tutto quello che volevo dire era in quella vignetta. Allora ho voluto fortemente lui per illustrare i dialoghi. Sentirci per confrontare la parte matematica con quella grafica e linguistica del suo lavoro è stato davvero emozionante. Scusate l’enfasi ma io stravedo per l’acume di tutte le sue vignette!

Nel capitolo “dedicato” al continuo, fai dire a George Cantor le seguenti parole “Ho sempre sostenuto che in matematica l’arte del porre domande sia più preziosa della sfida nella risoluzione dei problemi”. Puoi spiegare queste parole ai nostri lettori?

Qui come altrove è una vera citazione dello scienziato che scrive. La capacità matematica della nostra mente si riconosce dalle domande. Se passa questo concetto di George Cantor cadono moltissimi pregiudizi sulla mia materia!

Veniamo ora a  domande di carattere più generale. 
Ci sono dei divulgatori scientifici o dei testi a cui ti sei ispirata nello scrivere questo tuo libro?

Ho contato circa 200 tra libri, podcast, video, film usati per scrivere le lettere. Ma non ho in mente nessun precedente sulla struttura del testo. Se proprio devo trovare un colpevole a questo aspetto allora tre anni di lavoro su Calvino mi hanno implicitamente influenzato.

Pietro Greco

Cosa pensi dell’attuale panorama divulgativo italiano? Trovi che ci sono dei cambiamenti rispetto a 10-20 anni fa?
Sono molto felice che la divulgazione scientifica sia esplosa finalmente. Venti anni fa c’erano libri meravigliosi per un pubblico molto selezionato. Oggi c’è un  rischio opposto: per un pubblico tanto amplio si ricorre alla semplificazione estrema. Ma semplificare richiede molto studio e il comunicatore deve curare questo aspetto più dell’aspetto grafico, audio, video, scritto, public speaking. In matematica un contenitore senza contenuto corrisponde all’insieme vuoto. A me piace molto la sfida che i professionisti di una materia (nel mio caso la matematica) si impongono nel comunicarla. Ma non bisogna iniziare a fare troppe distinzioni, è tempo di diffondere la bellezza della scienza quindi nessuna critica anche a chi non è uno scienziato ma  un comunicatore. Ricordo sempre il principio di indeterminazione del grande Pietro Greco: il prodotto tra la variazione di comunicabilità e la variazione del rigore scientifico è strettamente maggiore di una costante positiva. Ovvero ognuno cerchi il proprio equilibrio tra pubblico ampio e rigore della scienza trasmessa.

In che modo secondo te un divulgatore dovrebbe cercare di interagire con realtà a lui affini come la scuola o una platea potenzialmente variegata come quelle che si incontrano in un evento dedicato alla divulgazione scientifica?

Oltre le storie io amo gli oggetti. Con gli oggetti si possono fare un sacco di minilaboratori e chi ci ascolta si sente coinvolto. Non credo di aver mai fatto divulgazione a mani vuote e parlando sempre di me! Insomma siamo come Marco Polo nelle Città Invisibili di Calvino: il pubblico non ha il nostro stesso linguaggio allora portiamo emblemi per raccontare l’impero della scienza.

In particolare nel tuo libro parli dell’esigenza che tu senti della “riconquista di un sapere unico” e del “superamento degli ambiti disciplinari”. Puoi spiegare meglio questa tua esigenza?

Nel libro c’è un poeta e un archeologo, ci sono fisici, matematici e chimici, informatici e geologi, filosofi e botanici. Fino al qualche secolo fa non esisteva lo scienziato nel senso attuale con competenze settoriali raffinatissime e magari orgoglioso di non saper nulla delle altre discipline. Io sono sempre stata innamorata di tutto il sapere e ho bisogno di nutrirmi di un interesse generale pur mantenendo una grande specificità quando faccio ricerca. Il locale nel globale è abitudine per noi studiosi di Analisi Matematica, allo stesso modo si superano gli ambiti disciplinari non facendo tutti ricerca su tutto ma sapendo che la nostra ricerca è immersa in uno contesto più ampio. A volte questo interessarmi di altre questioni mi attira delle critiche, ma credo fortemente che questa sia la strada anche per una comunità scientifica che guardi al futuro, quindi le ascolto poco. Se sbaglio si vedrà, come ho detto scherzando all’inizio forse sono solo affetta da poligamia culturale!

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